Arte concettuale, mente estesa e intelligenza artificiale : ecco come la storia dell’arte, le neuroscienze e le nuove tecnologie interrogano le frontiere tra la mente e l’estetica.
SERGE: A te, si sa, la pittura contemporanea non è mai interessata neanche di striscio e non hai la benché minima conoscenza in questo campo, ragion per cui come puoi affermare che la data cosa, concepita in ossequio a delle leggi che ignori nel modo più assoluto, possa essere una merda?
MARC: ...Perché è una merda. Scusami, ma debbo.[1]
Questo breve scambio di battute è uno dei più celebri dialoghi presenti nella pièce teatrale Arte, composta dall’autrice francese Yasmina Reza nel 1994. La trama è piuttosto semplice: tre amici di vecchia data si ritrovano a casa di uno di loro, appassionato estimatore d’arte, per ammirare il suo ultimo acquisto, che inaspettatamente si rivela essere un quadro totalmente bianco. La sorpresa lascia presto il posto all’indignazione e nel corso della vicenda la tela monocromatica, ormai scenario di dissacranti freddure sul destino dell’arte e della vita, diventa lo stimolo capace di riaprire assopiti rancori in grado di lacerare i fragili rapporti di amicizia. A un certo punto uno dei protagonisti, guardando la tela, pronuncia questa convinta e apparentemente incontestabile citazione:
Che ora dietro a quell’affare ci sia anche un pensiero!... Quello che vedi è una merda però, achtung, non lo diciamo perché dietro c’è un pensiero!... Cioè, fammi capire... tu, ad esempio, ce lo vedi un pensiero dietro questo paesaggio?... (Accenna al quadro vicino a lui.) Certo che no, non se lo merita. È troppo esplicito. Troppo detto. Tutto è sulla tela! Dove diavolo potrebbe mai starci un pensiero là dentro?[1:1]
Se si pone a qualcuno la classica domanda di definire l’arte, molto probabilmente farà subito riferimento a categorie come la bellezza, l’armonia, la perfezione; qualcun altro si appellerà all’emozione, pochi si ricorderanno delle etimologie imparate a scuola e assoceranno arte ed estetica, facendo ricorso all’ambito della sensazione richiamato dalla parola aisthesis.
Con certezza, tuttavia, quasi nessuno citerà la mente, apparentemente un dominio totalmente altro rispetto alle aleatorie sensazioni artistiche. Fin dai tempi di Platone, infatti, l’arte ha assunto un ruolo marginale nelle teorie ontologiche e gnoseologiche di esplicazione del reale; ma che cosa accadrebbe se si cominciasse a considerare proprio l’estetica come punto di partenza per la conoscenza della mente umana? In quale modo il suo funzionamento può essere rivelato dall’analisi della pratica e della percezione artistica?
A questo proposito, è possibile identificare alcuni momenti salienti che dimostrano quanto in realtà l’estetica sia fondamentale per comprendere l’interazione dell’uomo con l’ambiente circostante, in particolare la nascita della corrente dell’arte concettuale, le teorie cognitive della mente estesa, e più recentemente l’intelligenza artificiale applicata alla creazione di opere d’arte.
Ma prima di tutto, occorre fare un po’ di chiarezza: in primo luogo, è fondamentale essere ben coscienti della distinzione tra arte ed estetica, due ambiti la cui estensione non combacia perfettamente. L’arte, dominio più ristretto, è definibile come l’oggetto privilegiato dell’estetica, che al contrario si presenta come un ambito più ampio che ingloba al suo interno molteplici pratiche relative alle modalità di percezione. In secondo luogo, la mente viene intesa come “il complesso delle facoltà umane che più specificamente si riferiscono al pensiero, e in particolare quelle intellettive, percettive, mnemoniche, intuitive, volitive, nella integrazione dinamica che si attua nell’uomo” : questa definizione è da tenere presente in quanto già attraverso le parole “integrazione dinamica” suggerisce un terreno di complessità che si rivela essere fecondo per lo sviluppo delle teorie estetiche.[2]
Per capire come tutti questi elementi interagiscono tra loro, torniamo al progetto iniziale; ci siamo lasciati con Platone, ora facciamo un salto di millenni fino all’emblematica opera d’arte concettuale Una sedia, tre sedie, realizzata dall’artista statunitense Joseph Kosuth[3].
Come anticipa il titolo, attraverso il prisma dell’arte Kosuth si focalizza su un elemento di uso quotidiano presentandolo in tre forme differenti, come oggetto tridimensionale concreto,** riproduzione fotografica** e definizione linguistica. Come spiega Renato Barilli a proposito di quest’opera,
tre tipi di riferimento ci sono concessi, nei confronti della realtà fisica: la realtà “tale e quale”, attraverso il rapporto diretto; l’immagine proiettiva, fedele e mimetica; e infine il ricorso al suo “significato”, al concetto, mediante il relativo vocabolo.[4]
È la nascita dell’arte concettuale, la prima avanguardia capace di rivoltare la concezione negativa dell’arte platonica e di porre il concetto, ossia la mente, al centro del campo artistico.
L’attività dell’artista si presenta come un lavoro prettamente intellettuale e la sua produzione non si condensa solo nelle opere esposte, ma viene completata dai trattati teorici che, sulla scia delle avanguardie moderniste, mettono in luce gli stretti legami con la riflessione filosofica.
È sufficiente considerare l’emblematico titolo del testo L’arte dopo la filosofia, pubblicato da Joseph Kosuth nel 1969: le due discipline appaiono allo stesso livello, consequenziali, l’intenzionalità dell’artista e l’immaterialità dell’idea predominano sulla realizzazione stessa dell’opera. Per la prima volta autoreferenziale soggetto di se stessa, l’arte riflette sulle sue stesse procedure interne e la prima strategia per declinare l’analisi artistica sulla mente è proprio la parola, il concetto linguistico.
Alla frontiera tra filosofia del linguaggio,** arte visiva** e poesia, il collettivo di artisti Art & Language espone delle opere che non devono più semplicemente essere guardate e giudicate come belle, ma che suscitano una riflessione sulla capacità della sfera artistica di dare espressone visuale a un concetto linguistico.
Tuttavia, a suon di “sarei capace di farlo anche io”, “non serve nessuna abilità per scrivere una parola su una tela!” e “questa non è vera arte!”, il tentativo di questo movimento di valorizzare il concetto viene comunemente interpretato come un’etichetta di salvataggio, utile per classificare ogni installazione contemporanea distante dalle tecniche tradizionali.
Come ben testimoniano le reazioni dei protagonisti dell’opera di Yasmina Reza di fronte al quadro bianco, sono numerosi i fraintendimenti che relegano la riflessione concettuale a una semplificazione eccessiva e incomprensibile del processo creativo, considerato come una pratica elitaria e lontana da vere corrispondenze scientifiche.
Ma l’esito dell’intreccio di arte e mente non si esaurisce qui: che cosa succede nel cervello dei fruitori che entrano a contatto con esposizioni artistiche? Da dove nasce la creatività che spinge un artista a produrre forme d’arte?
Sulla scia di tali questioni, le neuroscienze hanno messo in luce il rapporto di dipendenza reciproca tra il funzionamento della mente e la produzione artistica, essenziale non solo per comprendere la genesi di un’opera d’arte ma anche per capire l’evoluzione storica dell’umanità.
La teoria della mente estesa, infatti, è una delle più affascinanti traiettorie nello studio del pensiero, il quale non si presenta più come un organo chiuso in se stesso ma piuttosto come una “modalità correlativa collusiva: il cognitivo è distribuito nell’ambiente e la mente integra fluidamente vettori dell’interazione con l’ambiente irriducibili a un’interiorità soggettiva intracraniale”[5].
Attraverso un processo dinamico, la mente forma una sua identità in maniera inseparabile da ciò che la circonda, e dunque è incarnata, a pieno titolo integrata nell’ambiente. Ancora una volta, la dicotomia cartesiana che distingueva nettamente soggetto e oggetto risulta insufficiente per descrivere i processi di comprensione e formazione della realtà e dell’individuo che sono all’opera nei dispositivi artistici, dove si verifica uno scambio dinamico tra il fruitore e l’ambiente circostante, fautore di nuova esperienza.
Al centro di queste ricerche scientifiche, l’estetica assume dunque una nuova dignità cognitiva: infatti, “la mente è estetica solo se è estesa. La mente è estesa quando è estetica”[5:1], e questa disciplina diventa il terreno ideale per concepire l’esperienza come un’interazione dinamica tra diversi poli - un vero e proprio campo estetico, per usare l’espressione di Arnold Berleant.
Le ricerche del filosofo americano superano la rigida dicotomia tra l’interiorità della mente e l’esteriorità del mondo per esplicare il processo di transazione estetica, definito come l’attivazione del potenziale estetico di un oggetto da parte di un individuo che mette in pratica una relazione costante con l’ambiente in cui è immerso.
Questo significa che, a discapito di quanto augurato dalle correnti artistiche degli anni Sessanta, la pregnanza estetica dell’arte non può risolversi in teorie meramente concettuali, ma la funzione conoscitiva deve essere ampliata da una modalità esperienziale “presentazionale e non rappresentazionale, immediata e non mediata, percettiva e non concettuale, unica e non astratta, intuitiva e contestuale e non analitica e frammentaria, e soprattutto né cognitiva, inferenziale, né discorsiva”[6].
Seguendo un invisibile fil rouge, ecco come l’analisi del concetto si evolve in una nuova interpretazione della mente, che a sua volta si condensa in un’alternativa modalità di intendere l’intelligenza; le ultime frontiere della produzione artistica espandono il campo di esperienza all’impercettibile realtà dei dati informatici, utilizzati dai nuovi artisti-programmatori per realizzare opere d’arte computerizzate e dinamiche.
I dati prendono il posto dei pigmenti utilizzati dall’artista, e sono sempre di più i casi in cui prestigiosi concorsi d’arte sono vinti da opere realizzate dall’intelligenza artificiale, visionarie nella misura in cui ricreano una percezione del mondo irraggiungibile attraverso l’apparato sensoriale di cui l’uomo è dotato.
A questo proposito, non mancano certo le controversie per garantire l’autenticità dell’opera o la sua paternità: senza addentrarci in queste problematiche, il punto focale è che attraverso la produzione artistica siamo in grado di oltrepassare ancora una volta i limiti delle capacità umane e di generare esperienze che pongono sempre nuovi interrogativi sul modo di fare esperienza della realtà.
Una testimonianza di questo possibile cambiamento di prospettiva? Alla fine della pièce teatrale di Yasmina Reza, con la quale è cominciato questo articolo, il quadro bianco all’origine del dibattito viene percepito diversamente - la tinta monocromatica non è più una sterile tela vergine, ma diventa candida neve sulla quale scivola uno sciatore.
Per approfondire:
- KOSUTH, Joseph, L’arte dopo la filosofia (1969), Costa & Nolan : Genova, 2009.
- BERLEANT, Arnold,* Il campo estetico. Una fenomenologia dell’esperienza artistica* (1970), Mimesis : Bologna, 2020
- Art in the age of machine intelligence https://www.ted.com/talks/refik_anadol_art_in_the_age_of_machine_intelligence
- AI - Intelligenza artificiale, macchina, arte e creatività https://youtu.be/JmLpclmh46s
REZA, Yasmina, Arte (1994), Piccola Biblioteca Adelphi : Milano, 2018. ↩︎ ↩︎
KOSUTH, Joseph, One and three chairs, 1965, tecnica mista, New York : Museum of Modern Art (MoMA). ↩︎
BARILLI, Renato, L’arte contemporanea: Da Cézanne alle ultime tendenze, 1984, Universale Economica Feltrinelli : Milano, 2005, pag. 319. ↩︎
MATTEUCCI, Giovanni,* Estetica e natura umana. La mente estesa tra percezione, emozione ed espressione*, 2019 : Carocci, Roma, pag. 54. ↩︎ ↩︎
DEWEY, John, Arte come esperienza (1934), Aesthetica: Palermo, 2020, pag. 227. ↩︎
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