Un viaggio "in salita" dalla brama di ricchezza degli uomini del I secolo d.C. al cielo che ci copre, coi suoi segreti: anidride carbonica e metano.
Nella storia dell’umanità ogni individuo possiede due case: la prima — particolare — è quella comunemente conosciuta oggi, quella costituita dalle pareti e dal tetto; la seconda — universale — è il pianeta che ci accoglie: la Terra.
Il rapporto ancestrale uomo-natura è da sempre uno dei principali spunti di riflessione del genere umano. L’uomo infatti è riuscito non solo ad adattarsi nell’ambiente che lo circondava, ma anche a trarre da esso benefici per la sopravvivenza. Così i primi ominidi passarono dal costruire strumenti da caccia a coltivare i campi; poi inventarono la ruota, crearono strade, deviarono il corso di fiumi. Insomma, riuscirono a modificare l’ambiente circostante a proprio favore. Quando si parla di modifica però non sempre i confini sono chiari; fin dove infatti possiamo spingerci noi esseri umani? O più precisamente: quando questa modifica diviene sfruttamento?
Il tema della natura violata può sembrare esclusivamente attuale, ma se ci si addentra attentamente tra le linee del pensiero umano, ci si renderà conto che la consapevolezza di una crisi ambientale muove i suoi primi passi nell’antichità. Così infatti Plinio il vecchio, nel I secolo d.C., esordiva nel XXXIII libro della Naturalis historia, dedicato al regno minerario:
Ricerchiamo tutte le fibre della terra e viviamo sopra i suoi scavi, e poi ci meravigliamo se qualche volta trema o si spalanca, come se questi fenomeni non potessero esprimere l’indignazione della nostra santa madre. Penetriamo nelle sue viscere e cerchiamo ricchezze nella sede degli inferi, come fosse poco benigna e fertile dove la calpestiamo. Pochissime delle nostre ricerche sono volte a cercare farmaci: quante persone scavano avendo per fine la medicina? Benché, anche i farmaci la terra li fornisce in superficie come le messi, generosa e benevola in tutto ciò che è utile.
È chiaro qui come Plinio denunci il comportamento del genere umano, accusando l’uomo di essere colpevole di profanare le viscere del pianeta. Così facendo l’uomo distrugge, scava, penetra in luoghi dove la sua presenza non sarebbe ammessa; viola — dall’interno — la sua più grande casa; e la cosa più inaccettabile è il movente: non la medicina, non il bisogno, ma una spregiudicata brama di ricchezza. Del resto lo stesso Plinio riconosce la diversità dell’uomo da tutti gli altri esseri viventi; riferendosi al genere umano infatti afferma che:
Solo a lui [è stata data] l’ambizione, l’avidità, una smisurata voglia di vivere, la superstizione…
Plinio il vecchio Naturalis historia, libro VII, 5.
Insomma, solo il genere umano possiede le passioni, le quali, negli uomini poco virtuosi, si radicano e portano alla distruzione dell’ambiente. Questi individui, curanti solo dei benefici a breve termine che potranno trarre, non si preoccupano dell’autodistruzione che stanno mettendo in atto. A tal proposito:
Noi inquiniamo sia i fiumi che gli elementi della natura, e rendiamo dannosa la stessa aria che respiriamo.
Plinio il vecchio Naturalis historia, libro XVIII, 3.
La visione di Plinio lo rende il proto-ecologo del mondo romano. Il suo messaggio — attualissimo tuttora — spinge gli uomini a riflettere sulle conseguenze delle loro azioni, attraverso l’immagine di una terra profanata, sviscerata, svuotata da coloro che sulla superficie avrebbero potuto trovare tutto il necessario per condurre una vita in armonia con la natura. Forse il progresso scientifico non ancora all’altezza, forse un più stretto contatto con la natura circostante, hanno spinto Plinio a compiere un movimento discendente, fino ai meandri del nostro pianeta, per smascherare i soprusi del genere umano.
Col tempo, parallelamente a un miglioramento delle conoscenze scientifiche, l’uomo ha innalzato il suo sguardo, spostandosi dai remoti labirinti di grotte e cave, al cielo e alle sue meraviglie. Quel cielo, che forse ai tempi di Plinio sembrava inaccessibile, ha concesso all’uomo contemporaneo di conoscerne i segreti.
L’idea di concepire il cielo come un tetto è indispensabile per conoscere i suoi meccanismi. L’immagine di qualcosa che copre e dunque "unisce", apre a pensieri filantropici che facilitano l’idea del pianeta Terra come la nostra casa collettiva. Tuttavia, per comprendere al meglio i meccanismi di questa Terra che ci accoglie è utile immaginare questo grande tetto celeste come una serra. Si parla tanto di “effetto serra”, ma in cosa consiste questo avvenimento?
Bisogna partire dal Sole: la nostra stella colpisce la Terra con i suoi raggi, i quali, riflessi dalla superficie, giungono nuovamente nell’atmosfera, all’interno della quale sono presenti alcuni gas, chiamati “gas serra”, che assorbiscono i raggi e ne reindirizzano una parte, sotto forma di radiazioni infrarosse, ovvero calore, verso la Terra. Se ciò non si verificasse il nostro pianeta sarebbe molto più freddo di quanto non lo sia oggi. Proprio per questo motivo questi gas sono detti “serra”, perché come una serra permettono alla luce solare di entrare, ma impediscono che la maggior parte del calore si disperda nello spazio. Fin quando la quantità di gas serra rimane costante nell’atmosfera (tra le 250 e le 290 parti per milione), le temperature medie sul nostro pianeta non varieranno.
Tuttavia, a causa di un incessante utilizzo di combustibili fossili, vengono riversate nell’atmosfera quantità sempre crescenti di CO2 (anidride carbonica), il gas serra per eccellenza. Più CO2 viene riversata nell’atmosfera, più caldo diventata il pianeta. Questo effetto è denominato global warming, e le sue conseguenze sono tragiche per biodiversità ed ecosistemi. Altro effetto derivante dell'eccessiva quantità di gas serra nell'atmosfera, tanto noto quanto il primo, è lo scioglimento dei ghiacciai, ma non bisogna andare lontano per avere testimonianza di altri eventi anomali e innaturali. Per esempio, proprio nel bacino del Mediterraneo, si assiste sempre di più a periodi di siccità prolungati.
Eppure ritenere che la CO2 sia l’unico gas responsabile del riscaldamento globale è errato. Tra i gas serra più noti si hanno infatti anche metano, gas alogenati, protossido di azoto e diversi altri. In particolare il metano (CH4) è responsabile di almeno un terzo del riscaldamento storico. È importante però fare una distinzione tra questo gas e la più comune anidride carbonica: mentre quest’ultima è una molecola molto stabile, il metano ha invece una vita atmosferica relativamente breve.
Infatti, nonostante il metano sia un agente riscaldante 83 volte più potente dell’anidride carbonica, esso è temporaneo. Accade che, emessa una certa quantità di metano nell’atmosfera, quarant’anni dopo il gas è tutto scomparso; al contrario, se al posto del metano si emette la stessa quantità di CO2, dopo lo stesso arco di tempo, ne rimane nell’atmosfera quasi il 50%[1].Da questi dati si comprende che se le emissioni di metano rimangono costanti, rimarrà costante nel tempo anche la quantità di metano in atmosfera; se invece rimangono costanti le emissioni di CO2, la CO2 atmosferica continuerà ad aumentare, fin quando le emissioni di anidride carbonica non verranno ridotte quasi a zero.
Appare evidente come dal I secolo d.C fino ai tempi odierni, la consapevolezza dell'uomo circa le condizioni ambientali del pianeta sia notevolmente migliorata, e sembra anche che l’uomo si sia reso conto del suo impatto sulla stabilità ambientale dello stesso pianeta Terra. Utilizzare la parola impatto è di per sé esplicativo. Questa parola sottolinea violenza e aggressività ed è congeniale a descrivere l’azione dell’uomo sull’ambiente. Nonostante questa consapevolezza sempre più nota, le azioni concrete per la salvaguardia del pianeta (e di noi stessi) sono limitate. Non solo non stiamo curando la nostra grande casa dallo sfascio, ma stiamo abbattendo muri e pareti. Se facciamo zoom-out[2] ci renderemo conto che la nostra azione non è più intelligente di colui che taglia il ramo sul quale è appoggiato.
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