#4 Legge e giustizia: Tecnica e precauzione
È lecito introdurre limiti alla ricerca scientifica e tecnologica? La ricerca deve o non deve essere incondizionata? Gli scienziati possono avvalersi di immunità morale? Quale deve essere il rapporto tra legge e tecnica?
Il rapporto tra legge e tecnica è molto discusso e i punti di vista fra chi sostiene in modo assoluto la libertà di ricerca e chi invece la nega sono estremamente contrapposti. Per evitare di incorrere in esiti drastici, a livello internazionale è prevalsa la necessità di regolamentare la ricerca; uno dei principali sostenitori di questa posizione è il filosofo tedesco Hans Jonas, il primo ad aver teorizzato il "principio di precauzione" che ha ricevuto il riconoscimento normativo sovranazionale (Dichiarazione di Rio del 1992 e Trattato di Maastricht del 1992).
Tale principio si basa sul test d’inversione dell’onere della prova, vale a dire che gli esperti in ambito scientifico-tecnologico devono assumersi a priori la responsabilità dei rischi che il loro sapere potrebbe provocare, a dimostrazione del fatto che sapere è già agire. Secondo tale principio, infatti, prima di attuare un progetto di ricerca deve essere fatta l’analisi dei rischi, con annessa loro comunicazione, e deve essere chiarificata la capacità di gestirli.
Per ritenere legittimo un progetto, quindi, bisogna preventivamente dimostrare la sua razionalità. La stessa Commissione Europea ha scritto che il principio di precauzione
trova applicazione a tutti casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, possano essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità.[1]
Per capire meglio la relazione che c’è in Europa (e non solo) tra diritto e tecnica, basata appunto sul principio di precauzione, bisogna capirne l'origine : la tesi esposta nel libro Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, pubblicato nel 1979. In questo testo Hans Jonas sostiene che ciò che distingue gli uomini dagli altri esseri viventi è l’essere in grado di responsabilità, e sottolinea che l’umanità ha valore intrinseco; da questo deriva il diritto di essere dell’umanità futura.
Ma perché l’umanità deve continuare ad esistere? Secondo il filosofo tedesco, il primo motivo è che quando cerchiamo di immaginare la fine della specie umana proviamo paura e siamo spaventati; inoltre, in maniera più specifica, se partiamo dal presupposto che l'umanità esiste è razionalmente migliore scegliere il suo proseguimento piuttosto che il nulla che si accompagnerebbe alla sua distruzione. Entrambe le scelte non hanno un principio valido a sostenerle, ma già il semplice dato di fatto dell'esistenza dell’uomo porta con sé l’esigenza che essa continui ad essere.[2]
È dunque la razionalità morale che ci porta a dire che è meglio che l’umanità sia piuttosto che non ci sia; da ciò Jonas desume la responsabilità dell’uomo nei confronti dell'umanità, la quale dovrà anch’essa preservarsi.
Per Jonas «noi non abbiamo il diritto di scegliere o anche solo di rischiare il non-essere delle generazioni future in vista dell’essere di quelle attuali»[3].
L’uomo, dunque, ha il dovere di rendere possibile l’esistenza nel futuro, ma a tal scopo è necessario sviluppare una nuova etica, in quanto nella società tecnologica e caratterizzata dall'auto-riproduzione cumulativa in cui viviamo:
gli effetti si addizionano in modo tale che la condizione delle azioni e delle scelte successive non è più uguale a quella dell’agente iniziale, ma risulta diversa da essa in misura crescente e sempre di più un risultato di ciò che già è stato fatto.[4]
In un contesto come questo, in cui non siamo più in grado di gestire le nostre azioni e in cui il sapere è già agire, non può esserci libertà di ricerca né tantomeno immunità morale. Jonas crede necessario creare una rete normativa nuova basata sulla diversa concezione di diritti e doveri.
Ricollegandoci all’obiettivo iniziale di capire l’origine del principio di precauzione, possiamo allora dire di avere chiaro che esso si sia sviluppato a partire dal principio di responsabilità, il quale è alla base della legge sovranazionale riguardante la tecnica. Per quanto riguarda la regolamentazione della ricerca, a partire dal 1992 il diritto internazionale deve molto alla teoria filosofica di Hans Jonas; il rapporto tra legge e tecnica ingloba in sé questioni etiche, per questo si confronta costantemente e necessariamente con la disciplina della bioetica, la quale
si occupa dell’analisi razionale dei problemi morali emergenti nell’ambito delle scienze biomediche, proponendosi di definire criteri e limiti di liceità alla pratica medica e alla ricerca scientifica, affinché il progresso avvenga nel rispetto di ogni persona umana e della sua dignità.[5]
In conclusione possiamo dire che il contesto giuridico-politico è parte integrante della bioetica come etica pubblica. Nella società attuale il rapporto tra legge e tecnica è in stretta connessione con le questioni etiche e questo dimostra che molto spesso i principi filosofici sono alla base di decisioni e azioni pratiche.
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