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#5 Mente: Un pensiero ingannevole

Fin dove si spinge la nostra capacità di pensiero? È così potente da riuscire a giocare autonomamente ad un videogioco, ma allo stesso tempo è in grado anche di ingannarci. Come? A tal proposito è la psicologia clinica a risponderci.

Ringrazio Federica Laguardia, Dottoressa in Psicologia Clinica, per le fonti rintracciate e per la collaborazione nella stesura di questo articolo.

Che cos’è il pensiero?

Per rispondere a questa domanda in termini filosofici dovremmo dispiegare un’ampia letteratura, la quale ci presenterebbe visioni molto differenti e contrastanti sull'ontologia e la funzionalità del pensiero umano. Funzionalità che specificamente muove e disegna la pratica filosofica dai suoi albori, in quanto grazie a questa attività neurale siamo anche in grado di interrogarci sulla realtà tentando di interpretarla, senza limitarci ad una sola illustrazione di essa.

Ma oggi voglio allontanarmi dalla vastissima tradizione filosofica per avvicinarmi ad un campo in cui il pensiero e la sua traducibilità si definiscono come l’essenza del nostro Io: quello psicologico-neurale. Anche se siamo ancora molto lontani dal comprendere esattamente come il cervello produce il pensiero, è chiaro che questo non può prescindere dall'attività neurale dal punto di vista soggettivo.

A livello psicologico il pensiero può apparire come un linguaggio interno della mente, una sorta di dialogo interiore che può assumere molte forme diverse.

Tutte le modalità di pensiero concorrono alla nostra capacità di ragionare, risolvere problemi e impegnarci in molte forme di comportamento. Il pensiero è la forza motrice del nostro “attuarci”. Ma fin dove si spinge la forza del PENSARE? Il pensiero da solo potrebbe mai essere in grado di muovere le montagne? Forse non ancora, ma già in autonomia può giocare a un videogioco: in una scena che potrebbe essere tratta da un film di fantascienza, il diciannovenne Tristan Lundemo, paziente affetto da epilessia, fa muovere con il solo pensiero un cursore elettrico rosso in alto e in basso, a destra e a sinistra, semplicemente guardando uno schermo collocato accanto al suo letto d'ospedale, senza dire o una parola o alzare un dito, attraverso 72 elettrodi applicati sulla testa che registrano l'attività elettrica del suo cervello. Un computer analizza il tipo e l'intensità di questi segnali cerebrali scaturiti dal pensiero di Lundemo e utilizza le informazioni date per controllare i movimenti del cursore che appare sullo schermo: Lundemo, infatti, racconta che pensando “su, su, su” oppure “sinistra, sinistra, sinistra”, il cursore si muove seguendo precisamente le sue indicazioni.

Così, come il pensiero di Lundemo muove il cursore sullo schermo sviluppando il videogioco, così il pensiero genericamente muove gli eventi della nostra vita.

Presentato così possiamo dedurre che il pensiero sia infallibile e impeccabile: in modo computazionale lo azioniamo davanti ad un input per trasformarlo in un output concreto/comportamentale, volto a darci un risultato esatto. Ma ahimè la realtà è più complessa di così. Il pensiero, proporzionalmente alla sua grandiosità, può contenere degli errori “strutturali” che nell’ambito psicologico sono definiti come errori cognitivi: in quel momento, il pensiero si trasforma nei nostri confronti in un linguaggio “menzognero”. Diresti mai che il pensiero possa mentire? Ti fideresti ciecamente della tua mente? Saresti pronto ad affermare che
la mente ti mente?  

Esiste una categoria di pensieri che la psicologia definisce come automatici o intrusivi: si definiscono tali in quanto appaiono nella nostra mente improvvisamente (come l’intrusione improvvisa di qualcuno in casa nostra), senza che possiamo fare nulla per impedirne l’arrivo (fondamentale è a questo proposito affermare una delle condizioni più importanti ma non sempre scontata del pensiero, ovvero la sua incontrollabilità).

Questi pensieri che noi asseriamo come veritieri, cioè che produciamo e consideriamo automaticamente validi, in realtà hanno alla base della loro produzione uno schema che provvede ad organizzare le informazioni mettendole in relazione tra di loro. Tale schema, che in questo caso definiamo schema di pensiero, differisce da individuo a individuo e risulta essere radicato al punto che viene messo in atto senza volontà e consapevolezza: è questo meccanismo che genera il pensiero automatico. Questi schemi, privi di coscienza e razionalità, non rispecchiano i fatti tangibili presenti all’esterno dello spazio-mente e ci portano ad avere come risultato un pensiero DISTORTO ed un comportamento manifesto NEGATIVO rispetto ai fatti. Quella che ci appare, infatti, altro non è che un’interpretazione che noi abbiamo dato alla realtà, di cui noi siamo AUTOMATICAMENTE convinti. I pensieri intrusivi, infatti, selezionano la parte di dati che ci permette di attuare il nostro schema e stimolare uno specifico pensiero.

Chiariamo il concetto con alcuni esempi. Magari proprio a chi sta leggendo in questo momento sarà capitato di focalizzare un commento negativo in un giudizio fatto sul proprio lavoro, trascurando automaticamente altri commenti positivi: questo modo di pensare ed agire conseguentemente alla situazione è dato dall’errore cognitivo definito “astrazione selettiva”. In questo caso si tende a considerare soltanto un aspetto di una situazione, mentre altri elementi rilevanti vengono ignorati. Vengono in particolare squalificati i lati e le esperienze positive, in contrasto con la visione negativa che noi abbiamo dato.

Ancora, in una relazione amorosa spesso si desidera voler ricevere spontaneamente un’attenzione particolare dal proprio amante: può essere infatti capitato di aver esplicitamente espresso un desiderio e di aver in seguito svalutato la conseguente attenzione ottenuta, con la motivazione di averla ricevuta soltanto dopo averla richiesta e non dalla spontaneità del proprio amante. Questa situazione appena descritta è stata definita anche come “paradosso della spontaneità”: si ottiene un comportamento che però non vorremmo fosse provocato da noi, ma che fosse spontaneo dell’altra persona. Dopo averlo generato noi non ci sentiamo più di definirlo come desiderabile, perché acquisisce un carattere di forzatura e di autoinganno. Qui ci troviamo di fronte all’errore cognitivo definito "doverizzazione", ovvero la confusione tra il dovere e il desiderare.

Per esempio, io desidero dei fiori dal mio amante, ma confondo il mio desiderio come un dovere dell’altra persona che, in termini di pensiero, potrebbe manifestarsi come “è normale che i mariti regalino i fiori alla propria moglie”. La mancata distinzione dei “pretendo” da i “vorrei” porta l’individuo ad avere delle possibilità irrealistiche circa il raggiungimento dei propri scopi. Al contrario invece, la persona smette di considerare gli “oggetti” del desiderio come fossero dei mezzi perseguibili, riuscendo a pensare a tali desideri in modo libero, spontaneo e realistico.

Questi sono solo alcuni esempi di una lunga serie di errori cognitivi, alla cui a base sembra esserci sempre la seguente schematizzazione: generalizzazione di informazioni; eliminazione di informazioni; distorsione di informazioni.

Abbiamo notato come l’individuo non sia attivato emotivamente da fatti, eventi o stimoli, ma dalle proprie personali considerazioni di questi, dai processi mentali e dai giudizi che possono riguardare se stessi, gli altri o le circostanze generali della vita. Non sono le emozioni ad attivare il soggetto rispetto ad una situazione, ma i suoi conseguenti pensieri!

Il pensiero automatico è in questo senso un sistema di adattamento perché è un'attivazione economica: rimanda cioè ad una risposta “ovvia”, veloce, che risponde organicamente e veritieramente ai nostri schemi. Ma come detto precedentemente, questi sono veri nella forma tale che noi VI CREDIAMO QUANDO APPAIONO, solo per il semplice fatto che li stiamo PENSANDO, ma non aderiscono a fatti oggettivi, alla realtà, bensì sono interpretazioni delle situazioni che stiamo vivendo rispetto ai nostri schemi di giudizio e di dati assorbiti. Questi pensieri, per quanto abbiano una natura adattiva, possono tuttavia diventare tranquillamente disfunzionali nella misura in cui interferiscono nella vita quotidiana andando a minare la normale gestione degli eventi.

Ma allora ne siamo coscienti? No. Ma possiamo rendercene coscienti indagando le nostre emozioni, a loro volta attivate dai pensieri: prestando attenzione ad esse possiamo dunque giungere al pensiero attivante. In questo senso possiamo prestare attenzione al nostro pensiero e, se vogliamo, DIROTTARLO (torniamo quindi al videogioco che obbedisce ai comandi del nostro pensiero) incanalandolo verso uno spazio più oggettivo di considerazione, modulando i nostri schemi di pensiero e i conseguenti comportamenti.

Abbiamo scoperto così l'inganno del pensiero (in questa accezione). È perciò necessario porre maggiore attenzione a ciò che esso propone e riproduce nella nostra realtà mentale. Aprici al "dialogo" con esso vuol dire dargli una differente e nuova considerazione, che non limiti il pensiero a una condizione meramente mentale, intesa come uno spazio che non può essere né esplorato, né indagato.

Non possiamo più far finta che la "realtà psicologica" sia una vacua chimera, essa è una condizione tangibile del nostro Io. Il potere di questa realtà in cui è inscritta la stessa capacità di pensiero è tale da poter distorcere l’oggettività stessa. É per questo motivo che il linguaggio della mente possiamo definirlo (con cautela) un linguaggio in grado anche di ingannare gli stessi protagonisti. È un po', se vogliamo, come l’inganno arendtiano, in cui non vediamo come tale l'inganno di cui siamo protagonisti ma ci convinciamo che effettivamente sia parte della realtà, e solo per il nostro semplice convincerci vi partecipiamo.

É fondamentale a questo proposito riconoscere la menzogna e partecipare attivamente, con l'aiuto che ne consegue, per uscire da un limbo mentale che svaluta e negativizza la nostra vita.