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All'origine dei diritti: da Dio agli uomini

Attraverso battaglie, editti, liberi pensatori sovvenzionati dai monarchi, scontri tra confessioni religiose e rivoluzioni, ripercorriamo la storia dei diritti da Dio agli uomini.

“Cuius regio, eius religio”. Per quanto oggi ci possa sembrare aberrante imporre a un popolo la religione dei suoi governanti, nel bel mezzo del XVI secolo, quando Carlo V d’Asburgo giunse a questo compromesso con i riottosi principi protestanti della Lega di Smalcalda, questa semplice frase era a dir poco rivoluzionaria.

Un Sacro Romano Imperatore, il cui titolo era almeno teoricamente basato su una sorta di investitura divina di matrice cattolica e che rappresentava la più prestigiosa monarchia d’Europa, riconosceva per la prima volta il diritto degli staterelli membri del suo impero a scegliere una confessione religiosa da seguire in piena autonomia.

Certo non bastò un editto per cementare questo concetto. Le tensioni religiose in Germania e nel mondo protestante si protrassero ancora per circa un secolo, culminando in un vero e proprio bagno di sangue che noi ricordiamo come Guerra dei Trent’anni. Per comprendere quanto gli effetti di questa guerra furono brutali nei Paesi germanici basti pensare che lo spopolamento dell’Impero è stimato oltre il 20%, una percentuale questa superiore a quella delle vittime tedesche di ambedue le Guerre Mondiali messe assieme. Alcuni Stati come il Württemberg, tra saccheggi, carestie ed epidemie giunsero a perdere addirittura più di metà della loro popolazione.

La Guerra dei Trent’anni ebbe però il merito di chiarire definitivamente che l’Europa continentale sarebbe stata da quel momento in poi religiosamente divisa, e che questa divisione sarebbe stata tollerata, obtorto collo, anche dai cattolici, i veri sconfitti di questo conflitto. L’influenza di una confessione che si dichiarava universale come il cattolicesimo diminuì drasticamente in quegli anni e così la sua funzione di tutela ecumenica degli individui di fede cristiana. I diritti naturali all’epoca infatti venivano fatti per lo più risalire a Dio che diveniva quindi anche una sorta di garante dei principi fondanti su cui si basava la convivenza civile.

Se però viene a mancare un’unità religiosa, Dio (e quindi la Chiesa) non può più essere l’unico garante della dignità degli individui. Ecco che così tra il XVI e il XVII secolo non è più la fede a essere alla base del giusnaturalismo, ma il razionalismo cartesiano, che ha il compito di definire una nuova forma di diritto che tuteli i rapporti tra i diversi popoli e individui senza affidarsi a una comune religione. E nel concreto? Se le istituzioni religiose non possono più porsi come riferimento, toccherà ai sovrani questo compito. Una soluzione questa che viene definitivamente canonizzata da Hobbes, con il suo assolutista Leviatano, e Locke, più vicino all’idea di un parlamentarismo sul modello della recentissima esperienza inglese, in cui il sovrano è comunque garante dei diritti dei suoi sudditi e coopera col parlamento (con un ruolo sempre più marginalizzato).

A questo punto occorre fare un passo indietro e spostarsi oltre Manica per vedere che cosa è successo in Inghilterra, dove un nuovo sistema rivoluzionario è ora il faro di molti intellettuali del Vecchio Continente. Enrico VIII Tudor, noto per le sue sei mogli, per questioni decisamente pratiche di successione aveva deciso all’alba del XVI secolo di distaccarsi dalla Chiesa Romana e di fondare la Chiesa Anglicana, un miscuglio tra credenze protestanti e cattoliche.

Questo provvedimento, accolto con immenso favore dai protestanti, che finalmente vedevano ridursi le persecuzioni nei loro confronti, ovviamente causò notevole risentimento tra i cattolici. Con le seguenti crisi di successione che dai Tudor portarono il regno nelle mani degli Stuart, decisamente più aperti verso un ritorno alla dominazione cattolica, e la conseguente guerra civile che portò alla decapitazione di Carlo I e alla breve parentesi alla guida dello Stato di Oliver Cromwell, i protestanti riuscirono a guadagnare sempre più terreno, marginalizzando la minoranza cattolica, che era ormai esclusa dalla possibilità di accedere a cariche pubbliche.

Alla morte del Lord Protettore, titolo semi-regale di cui Cromwell si fregiava in quella che avrebbe dovuto essere una repubblica, una nuova ascesa degli Stuart con Giacomo II mise a serio rischio tutte le prerogative ottenute dai protestanti, ma la Gloriosa Rivoluzione, così chiamata per il fatto che furono miracolosamente evitati spargimenti di sangue, pose sul trono nuovamente un protestante, Guglielmo III d’Orange Nassau.

A stretta posta furono approvati due degli atti più importanti della storia d’Inghilterra: il Bill of Rights che sancisce tra le altre cose la libertà di parola in Parlamento, le libere elezioni dello stesso e in generale indebolisce fortemente le prerogative del sovrano, e l’Act of Settlement il quale stabilisce definitivamente che, onde evitare insorgenze cattoliche assolutiste, il trono possa essere ereditato solo da principi protestanti (legge valida ancora oggi e che portò Giorgio I Hannover a ereditare il regno pur essendo solo 23° in linea di successione e non spiccicando una parola d’inglese). Tutt’ora l’Act of Settlement viene definito da molti esperti di diritto britannico secondo per importanza solo rispetto alla Magna Carta stessa.

Sembra quasi un controsenso pensare che la tutela della libertà religiosa e di espressione si basi sull’esclusione dei cattolici dalla vita pubblica, e soprattutto dalla regalità, ma al tempo non si può negare che i cattolici avessero vedute decisamente più reazionarie rispetto ai loro concittadini protestanti ed erano in media molto meno disposti a confrontarsi su un livello di parità con le altre confessioni, derubricate fino a pochi decenni prima a semplici eresie.

È con questo complesso affresco politico-istituzionale che ci affacciamo al XVIII secolo, quello che nella mente di tutti è l’età dei Lumi e delle due grandi rivoluzioni, prima quella francese poi quella americana.

Stabilitosi infatti un nuovo sistema molto più vicino alle esigenze e ai desideri dei cittadini in uno degli Stati più influenti e ricchi d’Europa, un vento di cambiamento non poteva che influenzare pesantemente gli ideali di chi invece viveva tutti i giorni la realtà di una censura opprimente in una monarchia assoluta, come ad esempio nella Francia borbonica. Grandi intellettuali come Voltaire, Diderot, Montesquieu e molti altri, pur nella contraddizione di essere spesso sovvenzionati dagli stessi monarchi assoluti a cui si opponevano, contribuirono a cambiare per sempre l’idea di diritti e doveri del cittadino, fino allo scoppio, meno di un secolo dopo la Gloriosa Rivoluzione, della ben più nota e sanguinosa Rivoluzione Francese.

Le campagne napoleoniche contribuiranno poi a diffondere questi ideali in tutto il Continente e nell’arco di appena un secolo, nonostante la caduta dell’Empereur, sarà sempre più evidente a tutti come la tutela dei diritti e della dignità degli individui non sia un qualcosa di astratto che può essere demandato a Dio o alla Chiesa, ma una questione concreta di cui debbono occuparsi gli uomini per gli uomini, come del resto pensiamo tutt’ora.