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Caino e Abele

L'esperienza della parola è l'esperienza del lutto dell'illusione di essere tutto. Porta con sé la necessità di limitarsi e morire, la necessità di interrompersi per fare spazio all'altra parola, alla parola dell'altro. In questo processo vi sono due violenze, una vitale e una omicida.

Caino e Abele
Caino uccide Abele. XIX secolo, anonimo, collezione privata, Francia, Olio su tela.

La parola come esperienza di lutto ed esperienza dell'altro

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La presente riflessione nasce da un intervento del professor Massimo Recalcati presso La Repubblica delle idee tenuto il 17/06/2022 a Bologna. In fondo si trova l'intervento integrale che consiglio vivamente.
4 Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore». 2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. 3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo». 8 Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9 Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?».

Genesi 4, 1-9

L'essenza della parola, ovvero ciò che rende qualcosa parola, sono il suo inizio e la sua fine. Un suono che inizia e non finisce è un sibilo insignificante che col tempo si finisce col non ascoltare. Il nostro cervello distoglie automaticamente la nostra attenzione, ad esempio, dal battito del nostro cuore proprio secondo questo principio: qualcosa di costante e infinito non merita la nostra attenzione perché non ci dice nulla. Al contrario, inseriti in un contesto completamente privo di suoni come una camera anecoica, possiamo letteralmente impazzire. Abbiamo bisogno dell'inizio e della fine delle parole.

L'esperienza della parola è allora un'esperienza di lutto. Ogni parola deve nascere e morire per permettere a quella successiva, e quindi al discorso, di prendere vita. Ma chiariamo meglio: la parola in sé, in realtà, non muore mai completamente, non cessa mai del tutto di esistere. Anche in questo caso, infatti, non avremmo discorso se ci dimenticassimo della parola collocata precedentemente rispetto a quella che stiamo ascoltando. A morire sarà allora non la parola in sé ma un'illusione: l'illusione di essere tutto. La parola porta con sé la necessità di limitarsi, di interrompersi per fare spazio a un'altra, la parola dell'altro; quando parliamo, viviamo il lutto di noi stessi in quanto totalità.

Se è vero che l'essere umano inizia con la parola, l'essere umano nasce e fin dal suo principio egli nasce e si scontra con questo lutto. Caino, il primo figlio dell'umanità, nasce e si illude di essere tutto. Finché Eva «partorì ancora suo fratello». Caino, primo figlio dell'umanità, si illude di essere tutto fino a quando Eva «partorì ancora suo fratello», momento in cui Caino vive l'esperienza di non essere il tutto che immaginava: il primo figlio termina lì dove inizia suo fratello.

Vivere questo lutto non è facile ovviamente e Caino non riesce. Preferendo vivere l'illusione di essere tutto piuttosto che affrontare il lutto egli commette il primo omicidio della storia del genere umano: uccide Abele, annienta l'altro-da-sé, generando così la prima forma di totalitarismo.

Da quel giorno ci portiamo dietro quella chimera totalizzante, assolutizzante e unicizzante che grida a gran voce: «Ci sono solo io!».

Il delirio di Babele racconta la stessa illusione: esiste un solo popolo, una sola lingua, un solo Io. Tanto che quell'Io, ingannandosi ancora, crede di essere Dio. Ma, durante la costruzione silenziosa e unificata della torre, cosa accade? Si iniziano a sentire voci altre, parole differenti da quelle che ci si aspettava di sentire. Discorsi diversi, mai uditi prima, che mettono in crisi il sistema codificato e accettato.

Da questi quadri possiamo dedurre che esistano due tipi di violenza. Una violenza necessaria alla vita dell'essere umano e una violenza che lo uccide.

La prima violenza, quella che dà vita all'essere umano, è la violenza dell'altro, l'esperienza del lutto dell'illusione di essere tutto. Questa violenza non solo permette l'esistenza dell'altro-da-sé ma ne ha bisogno, necessita di un altro tanto simile con il quale poter litigare e così diverso da litigarci. Avete mai litigato con una pietra? Persino se sbattete contro un masso non terrete ad esso il muso perché è davvero troppo diverso, siete su piani troppo differenti. Al contrario, se pensate alla persona che più di tutte non riuscite a sopportare, avrete con questa moltissime cose in comune, altrimenti non ci stareste neanche discutendo o non la considerereste affatto.

La seconda violenza è quella che annulla l'altro, che non tollera nulla di diverso da sé e vuole essere tutto; per fare ciò non ha bisogno di parlare, e se apre bocca è solo per dire ciò che vuole sentirsi dire, ciò che conferma sé stessa, che le dà ragione sempre e comunque. Questa violenza fa tacere le altre bocche.

La violenza vitale è quella di Abele, è la violenza dell'eccomi. In quanto nostro fratello e sorella l'altro ci sta a fianco ma non in quanto specchio, bensì in quanto altro. Questo altro o questa altra è una persona che ci costringe alla sua esperienza, ma non si impone in modo da soppiantarci o annullarci. Abele non è nato col permesso di Caino ma nello stesso momento in cui nasce, nasce in quanto suo fratello; nel suo stesso atto di nascere istituisce una pluralità, una diversità - «Io sono al tuo fianco, eccomi, sono presente non per sopraffarti ma neanche per confermarti in ogni situazione o discorso». L'eccomi è quindi la risposta da cui deriva la responsabilità di essere anche «guardiani» dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Siamo responsabili nella misura in cui rispondiamo o non rispondiamo all'altro in quanto altri, siamo  co-responsabili; questa è la violenza del lutto e della democrazia.

La violenza omicida è quella di Caino, che dopo aver udito ciò che non voleva udire, chiama l'altro-da-sé e lo conduce lontano per ucciderlo, per eliminarlo ed annullarlo, per zittirlo ed essere tutto. La guerra è anti-lutto, l'allucinazione per fuggire dal lutto.

Il consorzio degli esseri umani non si fonda allora sulla comunione ma sull'inconciliabilità. Non stiamo assieme perché condividiamo gli stessi identici valori o perché la pensiamo allo stesso modo, ma perché siamo diversi, siamo altro l'uno per l'altro. Stiamo assieme proprio perché non è detto che ci capiamo. Benjamin sosteneva che la democrazia è la necessità del tradurre, ovvero la necessità di mantenere vive le differenze e farle dialogare, proprio perché stiamo assieme ma non è detto che ci capiamo.

Per restare in ambito biblico: il messaggio del nuovo testamento è

«Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti»

( Mt 22, 37-40)

Amare Dio è simile ad amare il prossimo; tenendo presente che in greco antico il primo significato è da intendersi sempre in senso fisico e concreto, chi ci sta vicino non è chi decidiamo noi, chi reputiamo più conforme, ma chi ci capita. Nessuno sceglie il fratello o la sorella così come Caino non scelse Abele, si trovarono ad essere prossimi. Adesso non dico che debba essere tutto un «volemose bene» (penso che neanche il cristianesimo dica ciò, ma questo è un altro discorso), ma penso non ci si sforzi mai invano nel mantenere viva la violenza di Abele, nel dare fiato alle parole per parlare davvero con l'altro in quanto diverso da noi, nel continuare a litigare e battibeccare su ogni cosa e, differenza fondamentale, a difendere e a prenderci cura della possibilità di litigare bene. Ovviamente qui parlo di litigare per dare l'idea della violenza che per quanto vitale ci fa comunque girare le scatole, infuriare, restare male e soffrire. Ma stare male per queste differenze è di gran lunga meglio e preferibile che stare soli, assoluti e unificati, che illuderci di essere tutto e di avere l'arroganza e la tracotanza di essere l'unico Io ad aprire bocca.

Siamo tutti fratelli,
ma è difficile stabilire chi è Caino e chi Abele.
(Enzo Biagi)

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