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Carne coltivata: tra incertezza e innovazione.

Che cos'è davvero la "carne coltivata"? Come si ricava? Perché la sua produzione suscita grande scalpore? Scopriamo assieme alcuni degli aspetti più interessanti legati a questa innovazione tecnologica, per capire come mai abbia generato pareri così discordanti nell'opinione pubblica.

Ci troviamo in un momento storico molto delicato e preoccupante: il nostro pianeta, già attraversato da una gravissima crisi climatica, sta vedendo la sua popolazione crescere esponenzialmente.  Nel 2100 raggiungeremo  i dieci miliardi e  un bisogno sempre maggiore di alimenti dovrà essere soddisfatto. La richiesta di proteine animali arriverà sia dai paesi già sviluppati, che dai paesi considerati in via di sviluppo. Tuttavia, gli allevamenti intensivi, che dovrebbero costituire una delle fonti primarie per sfamare la crescente popolazione, risultano essere una delle maggiori cause dell'inquinamento da CO2 e gas serra emessi nell'atmosfera. Pertanto, supponendo di non apportare migliorie alla resa di cibo per ettaro di pascolo o di terra coltivata, la produzione necessaria per nutrire dieci miliardi di persone farà aumentare di due terzi le emissioni di gas serra legate all’industria del cibo. Benché quando si discute di cambiamento climatico, i combustibili fossili siano le prime fonti di inquinamento a essere citate, questi non sono gli unici responsabili. Petrolio, gas naturali e specialmente il carbone sono annoverati tra le maggiori fonti di emissione di diossido di carbonio e di altri gas serra, ma è bene non sottovalutare anche il vasto impatto dell’allevamento di animali destinati al consumo alimentare. Per questo la carne prodotta in laboratorio potrà rappresentare un punto di svolta per il pianeta.

In Italia come abbiamo reagito a questa possibile innovazione? Le ultime direttive del governo in materia sono categoriche: la tendenza è quella ad ostacolare la produzione di carne coltivata. Su La Repubblica si legge:

“Il titolare dell'Agricoltura torna sul tema della carne sintetica, rafforzando così la decisione del governo di vietare la produzione in Italia di cibi sintetici, a partire dalla carne coltivata in provetta.”

Addirittura il 67% degli italiani abbraccia la scelta del governo.

Sfatiamo quindi qualche mito e capiamo assieme come viene prodotta questa fantomatica "carne di laboratorio" che ha fatto storcere il naso a molti.

Innanzitutto, a mio avviso, uno dei motivi principali è un fattore noto in inglese come “yuck factor”, letteralmente “fattore bleah” (come la smorfia di disgusto): definito come “una reazione di ripugnanza o disgusto utilizzata in una discussione sull’accettazione di cibo, medicine, ecc. tra potenziali consumatori o pazienti” (Collins Dictionary). Come avviene nel caso della consumazione di insetti, anche la carne coltivata provoca una sorta di disgusto. Molti non mangerebbero carne prodotta in laboratorio perché la ritengono disgustosa e quindi si dichiarano sfavorevoli alla sua produzione. Tuttavia, questo fattore difficilmente può essere considerato un vero e proprio argomento contro la produzione di carne in laboratorio e pertanto diviene un parametro poco rilevante da inserire in un dibattito bioetico. Stephen Jay Gould ha sottolineato come “i nostri pregiudizi (in questo caso la repulsione che la carne coltivata in laboratorio suscita) spesso sovrastino le limitate informazioni che abbiamo in materia”. Infatti, questo “appello al disgusto” viene da molti criticato perché chiama in gioco le emozioni e non una razionalità che sia frutto di una più attenta analisi dell'oggetto in questione.

Ma come potremmo superare lo yuck factor? Forse andando ad analizzare assieme come avviene la produzione di carne coltivata in laboratorio, quali sono le differenze rispetto alla carne tradizionale e perché può rappresentare una sfida interessante per consentirci un futuro più green.

Un passo alla volta: come si arriva da una provetta con delle cellule ad un hamburger?  

Come sappiamo, la carne tradizionale può derivare da diversi animali, come per esempio bovini, suini, ovini, ma anche da pollame e pesce, che vengono macellati ed esposti nei banchi dei supermercati. La carne proveniente dalla macellazione è formata da cellule muscolari e adipose. Ma come è possibile arrivare a produrre "carne" senza uccidere gli animali? L'idea è che per ottenere un hamburger in laboratorio non sia necessario avere un animale intero da macellare. Infatti, per produrre la carne coltivata basta operare una biopsia (ovvero il prelievo indolore di cellule dal muscolo dell'animale in vita), così da ottenere un campione da cui vengono poi selezionate le cellule staminali che si trasformeranno nei vari tessuti dell'organismo e che, in seguito, verranno  poste in provette per la coltivazione in vitro e trasformate in cellule muscolari e adipose. Le cellule vengono così nutrite e fatte proliferare, in modo che da un singolo prelievo sia possibile proseguire con la proliferazione per anni o addirittura decenni!

Per produrre la carne sono necessari altri due elementi: il terreno di coltura e il supporto. Il primo è una sorta di infuso che contiene tutti gli elementi necessari alla crescita delle cellule; il secondo funge da impalcatura che permette la crescita delle cellule e può essere di origine animale (collagene o gelatina) oppure vegetale (materiali cellulosici). A questo punto entrano in gioco i bioreattori, speciali contenitori all'interno dei quali viene monitorata la proliferazione cellulare. Quando l'ammasso di cellule ha raggiunto il volume desiderato (ammettiamo quello dell'hamburger) viene estratto dal bioreattore. A questo stadio la carne coltivata si presenta come un macinato di carne tradizionale, a cui si potranno poi conferire forme diverse a seconda dell'utilizzo.

Un'altra critica che viene mossa alla carne coltivata riguarda il made in Italy: è sostenibile la posizione di chi ritiene che con la produzione di carne coltivata si vada a minare il mercato dei prodotti made in Italy?

Sicuramente la carne prodotta da certi allevatori italiani risulta essere un fiore all'occhiello riconosciuto in tutto il mondo: basti pensare ai maialini neri dei Nebrodi siciliani o al sapore inconfondibile dell'agnello di Zeri, che prendono il loro sapore dai terreni in cui vengono allevati o al rinomato taglio di carne alla fiorentina. Di certo questi aspetti difficilmente potrebbero essere replicati nella carne coltivata in laboratorio. Tuttavia, a mio avviso, questa critica lascia il tempo che trova e vi spiego perché: la bistecca alla fiorentina e l'hamburger coltivato possono benissimo coesistere. La prima rimane un prodotto legato all'eccellenza del nostro territorio, mentre il secondo può andare a sostituire gli hamburger che troviamo all'interno dei panini delle più famose catene di fast-food.

Diciamocelo, da McDonald non andiamo di certo per assaporare il gusto inconfondibile della carne, della cui provenienza e freschezza nemmeno ci curiamo (forse questo sì che invece potrebbe rappresentare un fattore che genera repulsione, un vero fattore yuck). Di fatto vogliamo solo un pasto comodo e veloce, il cui sapore è dato dalle salse più che dalla qualità della carne presente nei panini. Ma allora perché non sostituire quegli hamburger con hamburger coltivati in laboratorio e provare a rendere i fast-food almeno un po' più sostenibili? (Con la profonda convinzione che le catene di fast-food continueranno a rappresentare un grave problema per il nostro pianeta sotto diversi aspetti, ma per questo tema servirebbe un intero articolo).

Abbiamo visto come avviene la produzione di  carne coltivata e quali possono essere alcuni dei suoi vantaggi dal punto di vista etico e ambientale. Ora la domanda è: queste considerazioni sono sufficienti a farci comprendere la complessità di un tema che non può ridursi né a un fattore arbitrario di disgusto, né alla conservazione di qualcosa che la carne coltivata non mira a rimpiazzare?

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Vorrei sottolineaneare, infine, che in questa sede ho mostrato alcuni degli argomenti che giocano a favore della produzione di carne in laboratorio, per i punti di criticità vi rimando all'articolo che uscirà prossimamente sul magazine, stay tuned!