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#2 Lavoro: Intervista a YourWilde Side: giovani, nomadi e digitali

Il fenomeno del nomadismo digitale è cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale. Perchè scegliere questo nuovo modo di vivere e lavorare? Una panoramica nella vita di Francesca e Federico, lavoratori itineranti e content creators, ci fornirà uno scorcio su questo fenomeno.

Il termine "digital nomad" appare per la prima volta nel 1997: è il titolo di un lavoro accademico condotto dallo scienziato informatico Makimoto e dallo scrittore professionista David Manners, oltre che un'espressione destinata ad avere grande fortuna. La tesi centrale dello studio ruota intorno a due fattori fondamentali: da un lato la necessità umana e antropologica di muoversi e spostarsi, e dall'altro l'impatto degli inevitabili cambiamenti determinati dallo sviluppo delle nuove tecnologie digitali. La concomitanza di questi due fattori avrebbe presto portato, secondo gli autori, alla nascita di nuove comunità di lavoratori remoti itineranti, che Makimoto e Manners definiscono per la prima volta "nomadi digitali".

Meno di trent'anni dopo la pubblicazione del lavoro, la tesi dei due autori appare se non profetica, quantomeno lungimirante. Il numero di coloro che sono (o si definiscono) "nomadi digitali" è in costante crescita, sia in Italia che nel resto del mondo. Un nomade digitale è, nell'accezione più larga del termine, un lavoratore "senza fissa dimora", ovvero un lavoratore che svolge la propria attività da remoto tramite devices, senza avere una sede fisica stabile. A ciò si combina anche una forte aspirazione a viaggiare e conoscere il mondo, e in generale la consapevolezza di non voler fare della propria vita solo un cieco lavorare che non tenga conto del proprio benessere personale.

Per avere uno scorcio sullo stile di vita di un nomade digitale ho intervistato Francesca e Federico, rispettivamente classe ’98 e ’97, coppia di nomadi digitali e content creators, che dal 2022 viaggiano e gestiscono Your Wild Side, un blog a tema in cui raccontano il loro progetto (che potete trovare qui: YourWildSide). Dall’inizio dei loro viaggi hanno visitato Italia, Francia, Germania, Grecia, Norvegia, Indonesia e Australia, documentando tutto sui loro profili Instagram e TikTok. L’obiettivo, come si legge nel loro blog, è duplice: insegnare alle persone come iniziare a lavorare online, riuscendo a crearsi una propria realtà imprenditoriale, e introdurre una nuova concezione del viaggiare. Non solo resort e attrazioni turistiche, ma soprattutto culture, odori, sapori nuovi e da scoprire - o ad esempio imparare le tecnica per liberare la propria dispensa dalle formiche quando si vive a Bali.


Nella bio della vostra pagina Instagram si legge una descrizione che a mio avviso riassume molto bene lo spirito del vostro progetto: “persone ordinarie alla ricerca di una vita straordinaria”. Prima di tutto vi chiederei quindi una sorta di piccola presentazione-identikit sulla vostra “ordinarietà”: chi siete, da che percorso di studi o formazione venite, dove vi trovate in questo momento e che lavoro (o lavori) state facendo ora.

Federico è laureato in Comunicazione e Marketing, ha sempre lavorato nel mondo video, quindi riprese e montaggio per lo più di materiali pubblicitari. Francesca è laureata in Ingegneria Gestionale, si dedica all'attività di freelance nell'ambito del project management  e parallelamente svolge il mestiere di copywriter. Al momento ci troviamo in Australia dove abbiamo lavorato principalmente in farm per rinnovare il visto. Online continuiamo a seguire i nostri clienti italiani per cui svolgiamo le professioni per le quali abbiamo studiato.

Qualche informazione invece sulla vostra “straordinarietà”: avete scelto di lavorare viaggiando, di vedere il mondo mentre fate ciò che vi appassiona, sfruttando il potenziale di internet, della tecnologia e dei social. Mi sembrate quindi rientrare a pieno titolo fra i cosiddetti “nomadi digitali”.  Quale definizione dareste voi di “nomade digitale”?

Per la nostra esperienza non pensiamo che esista una definizione univoca: il bello di questa vita è che ti insegna a uscire dalle definizioni e semplicemente vivere quello che sei realmente. Per quanto ci riguarda, pensiamo che significhi scoprire che la vita non è solo lavoro, ma è tanto altro e spesso le persone se lo dimenticano. Essere nomadi digitali vuol dire aver compreso che il lavoro sì, ti serve per fare i soldi, ma che la felicità vera è data da altre cose. Significa libertà, scoperta e voglia di uscire dagli schemi che spesso ci fanno più male che bene. Significa vivere senza costrizioni, conoscendo te stesso e dandoti il valore che meriti ogni giorno.

Un tema che colpisce spesso la categoria giovanile è quello della narrazione dei giovani “che non hanno voglia di fare nulla”, che scappano dall’Italia, che non vogliono fare “la gavetta”. Vi è capitato di essere colpiti da questa narrazione nel vostro percorso? E se sì, come l'avete affrontata?

Sì, molto spesso! Il problema, secondo noi, viene da chi questa narrazione la fa: non pensiamo di essere “sfaticati” perché la vita che conduciamo è tutt'altro che semplice, e molto spesso i problemi che alle persone “normali” succedono in 3 anni a noi succedono in 2 mesi, quindi siamo costantemente messi sotto stress. Pensiamo che chi dice questo ha semplicemente delle priorità diverse dalle nostre e non ha abbastanza apertura mentale per comprendere che non c'è un unico modo di vivere, cioè quello imposto dalla società. Noi affrontiamo queste critiche, ovviamente se c'è possibilità di dialogo, spiegando e dimostrando ogni giorno che la nostra vita non è fatta solo di spiagge e divertimento, ma anche di tante piccole e grandi difficoltà. Noi ci teniamo tantissimo a mostrare il bello e il brutto, lo diciamo anche in tutti i nostri video di presentazione, proprio per umanizzare questo stile di vita e togliere quel muro enorme di inaccessibilitàe perfezione che gli influencer ad oggi hanno creato.

Questo tipo di narrazione negativa emerge perchè, a mio avviso, c’è uno scontro fortissimo fra un vecchio e un nuovo modo di intendere il lavoro. Ovvero, se fino a qualche decennio fa si ascoltava la retorica del lavorare duro, fare carriera, guadagnare perchè questo avrebbe ripagato di tutti gli sforzi, oggi ci si rende conto (in vari modi, a varie età e in diverse fasi del proprio percorso lavorativo) che di fatto c’è una vita oltre il lavoro e che è giusto rivendicarla, o, in sostanza, che non si vive per lavorare e basta (come ha ricordato Giovanna Botteri poco tempo fa in occasione delle proteste a Parigi per l’aumento dell'età pensionabile in Francia). Quindi, a partire dalle ragioni che vi hanno spinto a fare questa scelta di vita, in che modo voi sentite di intendere il lavoro?

Come abbiamo spiegato prima, per noi il lavoro è il mezzo che ci permette di fare quello che vogliamo: questo non vuol dire che le nostre professioni non ci appassionino e non vogliamo nemmeno spingere le persone a fare un lavoro che non piace loro; al contrario pensiamo che il lavoro sia una parte importante della nostra realizzazione e il fatto che tu lo faccia con passione può solo portarti grandi soddisfazioni, ma non crediamo sia né giusto né sano che il lavoro sia un mezzo per la sopravvivenza perché in questo caso diventa una costrizione. Pensiamo che il lavoro debba essere un mezzo per la libertà, non una gabbia da cui se esci non sopravvivi.

Dal blog YourWildSide di Francesca e Federico

Un’altra narrazione che sta emergendo nel dibattito pubblico in tempi recenti è quella relativa al merito e alla meritocrazia: se pensiamo, ancora prima che al lavoro, all’ambiente universitario, al numero in crescita di suicidi tra gli studenti, ai problemi di ansia e depressione legati a queste dinamiche, appare evidente che qualche crepa nel sistema ci sia. Il meccanismo della meritocrazia è a sua volta basato su quello della competitività, nel senso di raggiungimento di determinati ritmi o standard al fine di potersi “guadagnare” ciò che ci spetta: penso, per esempio, alle narrazioni dei media di studenti “geniali”, che si laureano in tempi record. Pensate che la vita da nomade digitale aiuti a svincolarsi da questo tipo di meccanismo competitivo-meritocratico o che in qualche modo sia presente comunque? Mi domando per esempio se ci sia una sorta di “competizione” nel produrre contenuti per i social, a chi fa di più, a chi fa meglio, a chi fa apparire la vita itinerante più semplice di quanto non sia con un reel bello da vedere ma poco sincero.

Premettiamo che personalmente siamo pro ad un sistema meritocratico, ma per la nostra esperienza il sistema è più competitivo che meritocratico e le due cose non vanno mai di pari passo. Per la risposta dividiamo i due mondi.

Per quanto riguarda il mondo dei viaggiatori non c'è competizione, anzi. Questo è un mondo fatto di persone che vogliono arricchire la loro mente e aprirsi agli altri quindi conoscere altre storie non suscita invidia, ma condivisione. Messo con una battuta: non facciamo a gara fra chi ha visitato più paesi, ma, al contrario, impariamo da chi ha visto di più per non commettere gli stessi errori.

Per quanto riguarda il mondo social, invece, ovviamente la competizione a volte si sente, ma gli algoritmi sono più meritocratici delle persone, te lo assicuriamo. Per quanto ci riguarda non la sentiamo tanto fra influencer della nostra stessa nicchia, perché crediamo di distinguerci abbastanza nettamente dai travel blogger che ci sono in giro e di mostrare così sinceramente noi stessi che una persona che ci segue non lo fa per la foto in spiaggia, ma perché siamo noi a raccontarlo (non vogliamo sembrare spocchiosi, al contrario: se pensiamo a chi noi seguiamo sui social, lo facciamo perché è lui o lei a raccontare, poi viene il contenuto del racconto, e così pensiamo e speriamo che sia per le persone che ci seguono). La competizione la sentiamo più verso noi stessi e gli obiettivi che ci siamo posti: ad oggi è passato un anno da quando siamo partiti e abbiamo aperto le nostre pagine e il seguito che abbiamo è stato frutto di lavoro, giorno e notte (tornando alla domanda precedente sulla gavetta), per raggiungere l'obiettivo iniziale. Durante quest'anno ne abbiamo fissato un altro e così via, e questo ci spinge a fare sempre di più e sempre meglio.

In relazione a quest’ultimo punto, essere sinceri sui social significa (forse, ma non per tutti) anche mostrare quali sono i lati negativi dei propri progetti. Scorrendo i vostri contenuti, mi è sembrato chiaro il vostro desiderio di trasparenza nei confronti di chi vi segue. Quindi vi domando: se doveste fare la top 3 delle difficoltà maggiori che vi siete trovati ad affrontare, quali sarebbero? Penso per esempio al rapporto con gli amici e la famiglia.

Per quanto ci riguarda il rapporto con chi abbiamo lasciato a casa non è una difficoltà che abbiamo incontrato. Nella classifica includeremmo invece:

1- La mole di stress e imprevisti che questa vita comporta: noi siamo persone predisposte ad affrontare lo stress, caratterialmente non possiamo lamentarci, anzi, quasi ci piace e ci dà la spinta, ma molte volte, come abbiamo scritto prima, ti capitano mille cose una dietro l'altra e, come tutti, crolli. Ma entrando in un cliché l'importante è rialzarsi più forti di prima, no?

2- Dire cose negative sui posti che vistiamo: non ce lo aspettavamo e all'inizio ci siamo veramente rimasti male, ma abbiamo imparato che le persone non reagiscono bene quando “smonti” il posto dei loro sogni. Soprattutto quando siamo stati a Bali, posto di cui abbiamo un'opinione veramente molto negativa, abbiamo addirittura ricevuto minacce di morte per aver detto che le foto che vedi sui social sono finte. Detto questo noi non demordiamo perché pensiamo che dire la verità sia, oltre che giusto e dovuto, il nostro più grande punto di forza.

3- Non abbiamo una terza difficoltà, ma se proprio vogliamo trovarla, anche se per noi, in realtà, è un po' la forza motrice, è la burocrazia: ovviamente quando fai un viaggio hai bisogno non solo del volo, ma soprattutto dei visti e le persone che non hanno viaggiato tanto non hanno idea di quanto a volte sia complicato ottenerne uno o avere letteralmente tutte le carte in regola perché ti venga rilasciato in tempo. A noi questa cosa non pesa tantissimo perché ci fa sentire che "lottiamo" per ottenerlo ma possiamo aggiungerla alla lista delle cose che comporta molto stress e imprevisti.

Oggi Francesca e Federico stanno viaggiando in un lungo e in largo per l’Australia. Per seguire i loro spostamenti e le loro avventure potete visitare, oltre che il blog, anche i loro profili Instagram (@yourwildside) e Tiktok (@yourwildside).