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Challengers: amore per il tennis?

Challengers mette in scena una triade dove tutti sono vittime e carnefici, oppressori e succubi, angeli e diavoli appollaiati sulle spalle gli uni degli altri.

La vita porta sempre con sé cambiamenti e svariate possibilità di crescita, e sta a noi cogliere ciò che ci viene offerto. Da sempre, e nella cosiddetta "era digitale" soprattutto, siamo circondati da nuovi stimoli che finiscono con l'accerchiarci e quasi soffocarci, portandoci a desiderare sempre di più rispetto a ciò che abbiamo. Così facendo, dimentichiamo di fare tesoro dei nostri piccoli traguardi, perché veniamo invece accecati dagli obiettivi che ancora non abbiamo raggiunto. Ed è proprio nella vicenda di Challengers che sembra emergere prepotentemente quella tendenza umana ad andare sempre più in alto, a spingersi sempre più oltre, senza limiti e senza confini, in un'emotività estremizzata nelle vite e nelle scelte dei tre personaggi principali attorno ai quali ruota ogni cosa anche all'interno del film. Egocentrici ed egoriferiti, giovani ed irriverenti, sono loro i protagonisti di questa trasformazione che sembra non attuarsi del tutto, tanto che a più di trent'anni li vediamo comportarsi esattamente come se fossero rimasti fermi ai loro sedici anni.

Tashi Duncan (Zendaya) è campionessa, amante e amata. Anche innamorata? Di sé, del tennis, e di nessun altro. È legata a Patrick (Josh O'Connor) da una passione fulminante, come una scintilla che diventa un fuoco proprio perché è proibita; è più coach che moglie di Art (Mike Faist), completamente devoto a lei. Elaborato, a tratti caotico, il nuovo film di Luca Guadagnino merita tutta la fama che ha ottenuto? Quella scia di successi che porta con sé viene da un press tour così ben studiato che il film in sé passa quasi in secondo piano rispetto alla protagonista Zendaya, la cui presenza stessa lo rende, però, irresistibile. Donna dal nome e dal portamento ipnotico agli occhi dei più, fornisce alla pellicola l'attrazione di un pubblico brulicante nelle sale, che freme in attesa di vedere quello che sembra essere il film più chiacchierato dell'anno; almeno, così è stato finora. Una mossa senz'altro vincente quella di Guadagnino, che nello scegliere la donna più idolatrata del momento è andato sul sicuro: sono forse stati i suoi cambi d'abito a dare tanta attenzione al film?

Guadagnino è tuttavia un regista dallo stile inconfondibile: colori brillanti, attenzione all'emotività, immagini nitide e dinamismo. Il suo lavoro sulle emozioni in particolare è forse ciò che lo distingue da molti registi contemporanei: nel mostrare i desideri più reconditi, nascosti e proibiti dell'essere umano crea un coinvolgimento emotivo che pochi altri riescono ad ottenere. Tanto che in questo film non è semplice distinguere i buoni dai cattivi. Quasi come nelle tragedie greche, dove nessuno è del tutto colpevole, ma neppure del tutto innocente, allo stesso modo Challengers mette in scena una triade dove tutti sono vittime e carnefici, oppressori e succubi, angeli e diavoli appollaiati sulle spalle gli uni degli altri. Tradimenti, male parole, omissioni e intromissioni: ecco il lato oscuro della natura umana trasposta sullo schermo, tra vecchi rancori, discordia e gelosie. Una natura umana, però, portata allo stremo da un'esagerazione sostenuta dalla scelta del tennis come sfondo delle vicende che si sviluppano e si sovrappongono in questi flashbacks ricorrenti, che saltano proprio come una pallina da tennis in qua e al di là del campo senza dare il tempo allo spettatore di capire in quale lasso di tempo si trovi. D'altronde, il tennis è anche una relazione tra sfidanti, come dice la stessa Tashi: durante il gioco gli avversari cadono in una passione che li porta a capirsi reciprocamente del tutto, anche se per qualche minuto. L'intero film è infatti una grande relazione poligama, in cui si inserisce la disciplina stessa: una relazione tra Patrick e Art che passano tredici anni a contendersi la stessa ragazza; il rapporto di Tashi con il tennis, vissuto attraverso i due contendenti dopo l'infortunio al ginocchio che le impedisce di tornare a giocare in prima persona. Il tennis si presenta come un condizionamento così potente da condurre l'intera vicenda e manipolare le azioni e le scelte dei protagonisti.

Film per lo più dinamico, ma a tratti succube della durata eccessiva delle scene a rallentatore che lo fanno sfociare in una lentezza pian piano sempre più difficile da digerire, in linea però con l'estremizzazione proposta. Ho sentito spesso dire che non si tratta di un film che parla di tennis, e mi sento di condividere questa affermazione: l'intera produzione ruota attorno a questa disciplina che diventa infatti un grande amore, ma non si parla esplicitamente del tennis in sé come sport. Nessuno ci dice come si giochi, quali siano i segreti dei protagonisti per arrivare a vincere, perché non è questo l'interesse di fondo. È la storia di un grande amore che pian piano scema in Art, e che diventa mezzo attraverso cui riavvicinarsi a Tashi per Patrick. Eppure, proprio in lei, questo amore non fa altro che crescere nel tempo, continuando a condizionare le sue scelte e le sue relazioni e, in questo senso, è proprio l'amore per il tennis il motore dell'intero film. Tuttavia, malgrado alcuni aspetti che risultano interessanti dal punto di vista dell'intenzione proposta, non ritengo meriti il successo che ha avuto, e tra i film di Guadagnino si inserisce tra i meno riusciti. Scegliere di spostare così tanto l'attenzione sull'estetica degli attori piuttosto che sulla pellicola in sé durante la sua promozione, può solo essere indice di una precarietà delle fondamenta del film. E infatti, Challengers è proprio questo: un film sul nulla.