Che cos'è la Filosofia?
Se volessimo rispondere con certezza a chi si chiedesse che cosa sia la filosofia, probabilmente non potremmo andare oltre a: "una roba strana". Facendo solo un piccolo passo in avanti, infatti, iniziano le divergenze. Questi sono i miei passi, accompagnati da Wittgenstein.
Come io risponderei con Wittgenstein
Durante le vacanze estive vado a lavorare nel negozio di alimentari dei miei genitori come cassiere.
Un giorno, una signora che conosco, accompagnata dalla figlia, mi chiede: "Allora Giuseppe, come va? Come vanno gli studi?". E io: "Tutto bene, tutto bene. Proseguono"; risposta preconfezionata a domanda preconfezionata. "Ma ricordami, cosa studi?". Bene, ci sono passato molte volte per cui rispondo "Filosofia" aspettando una delle due reazioni più gettonate: la prima per cui si pensa sia qualcosa di complicatissimo per cui mi fanno i complimenti o la seconda riassunta dalla battuta del Mc Donald's.
Entrambe le risposte sono ovviamente date in modo gentile perchè, anche se tradiscono una giustificatissima ignoranza della materia, si vuole esser civili e comportarsi per bene, così come le conversazioni di circostanza richiedono. Di fatto è proprio ciò che accade, la signora mi dice che è bellissimo, che è sempre cosa buona e giusta "imparare a pensare" (studio da 4 anni oramai ma ancora non ho capito cosa significhi di preciso), con lo stesso entusiasmo di uno zio anziano che una volta si dimostrò contento dei miei studi perchè "bella la fasolafia" (la "fasola" è il fagiolo in siciliano, per cui sul momento divenni un esperto di legumi).
Ma quando, tranquillo, congedo con un ringraziamento imbarazzato la signora, ecco che accade l'imprevisto. La figlia che avrà avuto al massimo dieci anni, fregandosene completamente e a ragione di tutte le convenzioni della circostanza, chiede con una sincerità spiazzante: "Ma che cos'è la filosofia?". La terra si fa buia, i suoni si ovattano e tutto si ferma, facendo accellerrare di qualche secondo l'universo nella sua corsa verso la morte termica.
Il volto della madre confessa una goccia di imbarazzo e al tempo stesso di curiosità. Colto alla sprovvista, riuscii a sbiascicare un "studio i pensieri" che non ebbe nulla da invidiare a uno slogan delle più becere pubblicità, tanto da farmi arrossire di vergogna per la mia stessa risposta; fu la madre stessa a salvarmi, salutandomi immediatamente e portandosi dietro una bambina molto insoddisfatta.
Avete presente quando sotto la doccia vi vengono le risposte più argute e intelligenti a discussioni concluse da tempo, che sul momento, invece, vi avevano distrutto? Questa è una di quelle risposte.
Alcune precisazioni preliminari prima:
- La bambina sarà insoddisfatta anche dopo aver letto questa risposta.
- Non ho la pretesa di spiegare a tutti cosa sia la filosofia, per il semplice ma fondamentale motivo che non esiste una risposta unica e universale. La filosofia parte sempre da zero e si definisce da capo ogni volta.
- Essendo le mie parole e i miei pensieri insufficienti a tale titanica impresa, mi farò accompagnare da Ludwig Wittgenstein, che con la filosofia ha avuto un rapporto complicato. In Sicilia quando qualcuno fa qualcosa del genere gli si dice "t'arriparasti unni chiovi" ovvero "ti sei riparato (dalla pioggia) proprio dove piove".
Concludo questa più lunga del necessario introduzione, giustificando la lunghezza dell'articolo con le parole di Kant dalla prefazione alla sua Critica della Ragion Pura:
Se si misura la lunghezza del libro non dal numero delle pagine, ma dal tempo che è necessario ad intenderlo, di parecchi libri si potrebbe dire che sarebbero molto più brevi, se non fossero così brevi.
Adesso possiamo iniziare a pretendere di immaginare di tentare di rispondere alla fatidica domanda: che cos'è la filosofia?
La filosofia non è una dottrina ma un’attività.[1]
A questo punto bisogna capire prima di tutto cosa sia una dottrina, cosa sia un’attività, quindi capirne la differenza, e in fine capire che tipo di attività la filosofia sia e a cosa sia rivolta.
“La filosofia non è una dottrina”, ma che cos’è una dottrina? Una dottrina è un insieme di informazioni e principi elaborati e disposti in modo ordinato e organico. La parte che ci interessa maggiormente è l’insieme delle informazioni. Wittgenstein chiama questo insieme “scienza naturale”, ovvero tutte quelle proposizioni che possiamo formulare sugli “stati di cose” sussistenti, ovvero sugli oggetti in una situazione.
4.01 La proposizione è un’immagine della realtà.
4.1 La proposizione rappresenta il sussistere e non sussistere degli stati di cose.
4 .11 La totalità delle proposizioni vere è la scienza naturale tutta (o la totalità delle scienze naturali).
2.223 Per riconoscere se l’immagine sia vera o falsa noi dobbiamo confrontarla con la realtà.
2.224 Dall’immagine soltanto non può riconoscersi se essa sia vera o falsa.
2.225 Un’immagine vera a priori non v’è.[2]
Quindi una dottrina, o una scienza naturale, è un insieme di proposizioni vere in quanto confrontate con la realtà: possiamo dire empiricamente. Ad esempio, la proposizione “La sede di filosofia a Bologna è in via Zamboni, 38” è una proposizione vera della scienza naturale in quanto è possibile ad ognuno andare a verificare che in quella via e in quel civico sia situata la sede di filosofia di Bologna.
Ingegneri e medici, secondo questa definizione almeno, hanno schivato il proiettile. Raramente chiediamo che cosa sia di preciso l’ingegneria o la medicina, non perchè magari conosciamo davvero la risposta, ma piuttosto poichè immaginiamo più o meno che cosa un medico o un ingegnere debba sapere, ovvero di quale dottrina debba essere esperto, per chiamarsi tale.
Ma che cosa deve sapere un filosofo? Come abbiamo detto la filosofia non è un insieme di proposizioni vere in virtù della loro verificabilità. In questo senso un filosofo non deve sapere nulla di particolare. E ovviamente la situazione a questo punto inizia a farsi critica. È da questa difficoltà di incasellamento che nascono tutti quei giudizi della filosofia in quanto aria fritta.
Come ci si diverte spesso a dire la filosofia sarebbe allora “quella scienza con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale”. Tutti questi pareri nascono da questo errore di impostazione, dal considerare la filosofia una scienza, ovvero un sapere, come le altre.
La filosofia non è una scienza, la filosofia è un’attività. Capiamo allora che cosa sia un’attività.
Un’attività è prima di tutto un fare, risposta assai ironica per la faccenda considerata ariosa e astratta per eccellenza. Con “fare” si intende un compiere operazioni non però su quelli che Wittgenstein chiama stati di cose ma sulle proposizioni che rappresentano gli stati di cose. Prima di capire di che tipo di operazioni stiamo parlando è però fondamentale capire il rapporto tra proposizioni e stati di cose, ovvero il rapporto tra come rappresentiamo la realtà e la realtà stessa.
Non è subito evidente ma per Wittgenstein ciò che noi chiamiamo realtà non è semplicemente tutto ciò che esiste a prescindere da noi, ma è tutto ciò che esiste per noi, ovvero in virtù della nostra capacità di rappresentarcelo.
2.04 La totalità degli stati di cose sussistenti è il mondo.[3]
E il mondo sussiste solo nella misura in cui riusciamo a tradurlo con le nostre rappresentazioni.
Il concetto di rappresentazione perspicua ha per noi un’importanza fondamentale. Esso designa la nostra forma di rappresentazione, il modo in cui vediamo le cose. (Una specie di ‘concezione del mondo’ quale pare tipica della nostra epoca).[4]
Dunque non dobbiamo immaginare ingenuamente la realtà come un paesaggio e il quadro di questo paesaggio come la rappresentazione, questa sarebbe un’astrazione. Piuttosto, lo stesso paesaggio sussiste per noi in virtù della nostra capacità di rappresentarcelo.
Gli stati di cose, allora, divengono un concetto regolativo, in quanto noi non vediamo mai stati di cose puri (ovvero a prescindere da qualunque nostro apporto rappresentativo) ma immaginiamo che esistano perché è più facile pensare che ci rappresentiamo un qualcosa che già esiste.
Non esiste dunque una realtà distaccata che poi noi possiamo rappresentare in modo autonomo e indipendente, ma, oltre al fatto che, come appena detto, la realtà è già frutto di una nostra precostruzione formale, questa stessa precostruzione può a sua volta essere modificata dai diversi modi in cui continuiamo a rappresentarcela.
In altre parole, il mondo è il mondo che mi rappresento, ma a sua volta, ogni rappresentazione del mondo può essere ri-rappresentata o rappresentata in modo differente attraverso “rappresentazioni perspicue” differenti: ciò che pensiamo del mondo diviene il nostro mondo.
5.6 I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.[5]
Dunque, le operazioni di pensiero che operiamo sul mondo non solo costituiscono quello stesso mondo, spero si sia sentito l’enorme schiaffo dato al realismo[6], allo scientismo[7] e al positivismo[8], ma quello stesso mondo che ne viene continuamente e inesorabilmente modificato, modifica a sua volta il modo in cui continuiamo a rappresentarlo, nella misura in cui ognuno non solo non può esimersi dal pensare il mondo per rappresentarselo, e in ultima istanza, viverlo, ma nasce sempre in un contesto pre-esistente, con schemi per-costituiti almeno in parte.
Per colui che non è chiaramente consapevole di una filosofia, questa si introduce senza che egli se ne accorga, nel suo pensiero e nel suo linguaggio scientifico e lo rende poco chiaro sia scientificamente che filosoficamente.[9]
Per trarre le fila del discorso: la dottrina è un insieme di proposizioni vere in quanto verificabili empiricamente, la filosofia non è una dottrina in quanto non necessita di possedere alcun insieme di questo tipo di proposizioni in particolare; fregiamo, infatti, col titolo di filosofe e filosofi uomini e donne che di fronte ad un qualsiasi storico delle dottrine filosofiche sarebbero risultati sufficientemente ignoranti o addirittura mal informati.
La filosofia è, invece, un’attività, ovvero un insieme di operazioni in definitiva sul mondo intero, posto che il mondo sia un insieme che non sussiste a prescindere da chi lo rappresenta e, circolarmente, influenza il modo in cui si continua a rappresentarlo. La filosofia è allora un’attività di tipo tanto interna quanto esterna, ovvero i cui campi d’azione pretendono di abbracciare tanto il pensiero in quanto stato interno dell’essere umano, quanto il mondo in quanto posto in co-dipendenza col pensiero umano.
Giunti a questo punto non dobbiamo commettere l’errore di considerare il “noi” sotteso a tutto il ragionamento come un “noi” unitario, unico e universale. Non esiste infatti un unico modo in cui tutti rappresentiamo il mondo. Senza però cadere nel rischio opposto di considerare ogni individuo isolato completamente dagli altri per la propria “rappresentazione perspicua”.
Si potrebbe dire che ‘ogni prospettiva ha il suo fascino’, ma ciò sarebbe sbagliato. È invece corretto dire che ogni prospettiva è significante per colui il quale la vede significante (questo però non vuol dire che la veda diversamente da com’è). Anzi, in questo senso ogni prospettiva è ugualmente significante.[10]
Come abbiamo già detto non esiste un unico mondo oggettivo che ognuno rappresenta in modo diverso. Esistono piuttosto tanti mondi quante rappresentazioni comunitarie. La postilla che ci salva dal relativismo più assoluto e autofago è la comunità. Come Wittgenstein afferma nelle Ricerche filosofiche[11] il linguaggio non può essere un fatto privato. Affinché vi sia comunicazione, e dunque rappresentazione e linguaggio, è necessario condividere una cultura.
3.262 Ciò che nei segni non viene espresso lo mostra la loro applicazione. Ciò che i segni occultano lo rivela la loro applicazione.[12]
Il linguaggio è composto da simboli e ogni simbolo è composto da due parti: la parte sensibile del segno e la parte significativa che è data dall’applicazione di quel segno all’interno di una comunità.
Prendiamo il caso delle lingue, per acquistare una mela da un fruttivendolo dovrò utilizzare il simbolo “mela”, e quindi oltre a servirmi dei segni sensibili (grafemi o fonemi) “M-E-L-A” io e il fruttivendolo dovremo anche conoscere la stessa applicazione di quei segni, per cui se il fruttivendolo è inglese e non conosce l’italiano non saprà cosa ho richiesto, non facendo parte della stessa cultura linguistica in questo caso. Agli stessi bambini insegniamo il nome degli oggetti non attraverso altri nomi, ma sventolando davanti i loro occhi i vari oggetti e scandendo il loro nomi o segni. Nell’esempio linguistico questo è lampante, ma lo stesso vale per tutto ciò che ci circonda.
Il simbolo “-->” sappiamo significare destra solo perché ogni volta che ce lo hanno posto davanti, ci hanno insegnato ad andare a destra. Ma non c’è nulla nello stesso segno a vietare il significato di andare a sinistra. Potenzialmente un alieno potrebbe andare a sinistra, come potrebbe farsi il segno della croce o un inchino ogni volta che si trova di fronte il segno “-->”.
Se esistono dunque diverse comunità linguistiche o di pensiero, esistono diversi mondi, gli autori della svolta ontologica direbbero diverse “ontologie"[13].
Non resta che rispondere all’ultima domanda: a che cosa è rivolta l’attività filosofica? O altrimenti, che tipo di operazioni sono quelle filosofiche?
4 .112 Lo scopo della filosofia è il rischiaramento logico dei pensieri. La filosofia è non una dottrina, ma un’attività. Un’opera filosofica consta essenzialmente di chiarificazioni. Il risultato della filosofia sono non «proposizioni filosofiche», ma il chiarificarsi di proposizioni. La filosofia deve chiarire e delimitare nettamente i pensieri che altrimenti sarebbero torbidi e indistinti.
4 .113 La filosofia delimita il campo disputabile della scienza naturale.[14]
L’attività filosofica deve “rischiarare”, deve fare chiarezza sulle rappresentazioni perspicue, ovvero sul modo in cui una determinata comunità rappresenti, e, come ripetuto più volte, in definitiva viva e venga influenzata, dal proprio mondo.
La filosofia così intesa diviene allora un’antropologia del pensiero, ovvero dei pensanti e dei loro mondi in reciproca dipendenza.
Ma potremmo ancora chiederci il perché si rendano necessarie queste operazioni chiarificatrici. Principalmente possiamo individuare due motivi, uno interno ed uno esterno. Il motivo interno consiste nel fatto che ognuno si trova “gettato” nella propria comunità, intesa come lunga e intricata sedimentazione di usi, idee, valori e altro. In questo senso, pur nascendo nella nostra comunità ne siamo sempre in parte stranieri, poiché non la comprendiamo mai completamente in modo definitivo e soprattutto ne siamo cittadini in modo sfumato e mai totalmente definito. Per cui le operazioni chiarificatrici sono in prima istanza chiarificatrici per ognuno di noi stessi. Il motivo esterno, invece, è che la nostra comunità si incontra con le altre e il primo effetto di tale incontro è sempre l’incomprensione.
Tzvetan Todorov ricorda, per esempio, che il nome Yucatàn deriva esattamente da questa incomprensione inter-ontologica: i Maya ripetevano agli Spagnoli appena sbarcati “Ma c’huah tan”, ovvero “Non comprendiamo le vostre parole”, ma gli Spagnoli tradussero “Yucatàn”, pensando che fosse il nome della regione.[15]
La chiarificazione della filosofia, dunque, in conclusione mira proprio ad ammorbidire gli spigoli dei nostri sistemi di pensiero, renderli più permeabili all’altro, preferibilmente in modo da evitare l’urto violento con altre ontologie e favorire l’arricchimento tra mondi diversi. Di ciò lo scambio colombiano è il controesempio.
È bene, però, non cadere nell’ideologia della comprensione completa. La filosofia è un’attività di chiarificazione continua e assolutamente non progressiva. La filosofia è “amore per la sapienza” e come ogni amore è un infinito tendere ed anelare. Non giunge mai a possedere, anzi quando possiede, per propria costituzione, diviene altro, diviene una dottrina, non più attività, per chiudere il cerchio.
È vano tentare di concepire l’uomo nella sua totalità nella quale ogni altra totalità finora colta sarebbe elemento e parte di una chiarezza teorica. Ad ogni tentativo di afferrare l’insieme, questo indietreggia, e noi teniamo in mano nient’altro che uno schema particolare del tutto, un modo di essere della totalità fra i tanti. Perciò non solo l’assolutizzazione della totalità è falsa, ma anche quella che crede di aver colto la vera totalità dell’uomo nell’insieme di tutte le totalità.[16]
Ecco allora come, con l'aiuto di Wittgenstein, si profila all'orizzonte una possibile risposta alla difficile domanda posta da quella bambina nel negozio di alimentari: la filosofia è un’attività volta alla chiarificazione delle rappresentazioni del mondo, o meglio dei mondi, per quanto possibile e mai in modo definitivo.
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, prop. 4.112. ↩︎
Ibidem. ↩︎
Ibidem. ↩︎
L. Wittgenstein, Note sul 'Ramo d'oro' di Frazer, Einaudi, 1967, p.19. ↩︎
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus. ↩︎
Il realismo è la convinzione che esista una realtà indipendentemente dai nostri schemi concettuali, dalle nostre pratiche linguistiche, dalle nostre credenze. (Wikipedia). ↩︎
Il termine "positivismo" deriva etimologicamente dal latino positum, participio passato neutro del verbo ponere tradotto come "ciò che è posto", fondato, che ha le sue basi nella realtà dei fatti concreti. (Wikipedia). ↩︎
Lo scientismo è un attegiamento di totale fiducia nelle scienze fisiche e sperimentali e nel loro metodo, al punto di attribuire loro la capacità di spiegare tutti i fenomeni, risolvere tutti i problemi e soddisfare tutti i bisogni dell'uomo, ed esaurire l'ambito della conoscenza a scapito di ogni altra forma di sapere. (Wikipedia). ↩︎
K. Jaspers, Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico editore, 1913, p.818. ↩︎
L. Wittgenstein, Note sul 'Ramo d'oro' di Frazer, Einaudi, 1967, p.32. ↩︎
L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, paragrafo 243. ↩︎
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus. ↩︎
Cfr. Valentina Gamberi (cur.), Roberto Brigati (cur.), Metamorfosi. La svolta ontologica in antropologia, Quodlibet studio, 2019. ↩︎
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus. ↩︎
Cfr. Tzvetan Todorov, La conquête de l’Amerique. La question de l’autre, Seuil, 1982. ↩︎
K. Jaspers, Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico editore, 1913, p.800. ↩︎
Comments ()