Le funzioni di delimitazione e decontestualizzazione, ornamento e legittimazione svolte dalla cornice costituiscono un complesso, che contribuisce a determinare profondamente lo statuto stesso della rappresentazione pittorica e dello sguardo che la contempla.
Nel complesso mondo dell'arte, ogni dettaglio è studiato attentamente e uno degli elementi che riveste un ruolo cruciale è la cornice del quadro. Elemento spesso trascurato che può avere un impatto significativo sulla percezione e sull'esperienza complessiva di un'opera d'arte.
La cornice, nelle sue diverse manifestazioni storiche, ha sempre esercitato nei confronti dell'immagine dipinta una serie di funzioni capaci di determinare profondamente la grammatica e la pragmatica dello sguardo che a essa si rivolge, sottolineando la chiusura del confine che separa l'immagine dallo spazio circostante. Funzione primaria della cornice è focalizzare lo sguardo dello spettatore, proponendosi come ornamento dell'immagine dipinta, legittimandola. Questo confine, rendendo l'immagine indipendente dal contesto, invita lo spettatore ad assumere una specifica modalità di visione. Le funzioni di delimitazione e decontestualizzazione, ornamento e legittimazione svolte dalla cornice costituiscono quindi un complesso che contribuisce a determinare profondamente lo statuto stesso della rappresentazione pittorica e dello sguardo che la contempla.
Ecco dunque che il tema della cornice del quadro diviene la chiave d'accesso alle questioni più generali dei margini della rappresentazione e del significato di un atto di delimitazione, che è al tempo stesso chiusura verso l'esterno e apertura alla fruizione.
La cornice sottolinea il confine, che separa lo spazio della rappresentazione e della figurazione dallo spazio circostante, e costringe lo sguardo, che transita uniformemente da una regione all'altra dello spazio, a soffermarsi con attenzione di fronte a un'immagine che gli si propone come rappresentazione e messa in scena. Così lo sguardo 'ordinario' si trasforma in visione e contemplazione e pone lo spettatore in una relazione estetica nei confronti dell'immagine, favorendo l'atteggiamento della fruizione, della valutazione e dell'interpretazione. In un articolo pubblicato nel 1989 e intitolato "Sémiotique et rhétorique du cadre" [Groupe μ 1989], il noto gruppo di semiologi, che si presenta sotto la sigla di Groupe μ, avanza la proposta di estendere l'analisi dalla cornice alla questione dei margini della rappresentazione utilizzando la nozione di bordure. Attraverso questa nozione non si intende indicare soltanto la cornice del quadro, né il contorno che distingue un'immagine dallo spazio che la circonda o una figura dallo sfondo: la nozione di bordure indica, in generale, "ciò che, in uno spazio dato, conferisce unità organica a un enunciato di ordine iconico o plastico". La bordure non viene individuata in base alla sua natura materiale, quanto piuttosto per una specifica funzione semiotica: essa è un segno, un indice che conferisce uno statuto semiotico omogeneo a ciò che è da essa indicato, focalizzando così l'attenzione del fruitore. Solo cornice è confine? Nelle arti visive, oltre a essere la cornice del quadro, la bordure può avere diverse manifestazioni: il piedestallo su cui poggia una scultura, il titolo posto di fianco a un'opera d'arte, la delimitazione di uno spazio di fruizione, un testo critico introduttivo o esplicativo. Ogni forma d'arte, in altre parole, e ogni modalità di fruizione sarebbe caratterizzata dalle sue bordure. Altro esempi sono la copertina di un libro, l'introduzione a un saggio, il titolo di un'opera, l'applauso prima e dopo un concerto, l'aprirsi e il chiudersi del sipario in una rappresentazione teatrale. Ciò che accomuna tutte queste forme di bordure, di cui la cornice non è che un esempio, è il fatto di avere le stesse funzioni di indice, soglia, delimitazione, focalizzazione e ostensione.
Ragionare sulla cornice, nel senso più ampio di bordure, e sui dispositivi di delimitazione e decontestualizzazione in atto nella cultura visiva contemporanea, può infine essere un modo di ragionare sui destini dell'immagine in una cultura sempre più caratterizzata da immagini proliferanti, svincolate dall'appartenenza a un luogo o a un supporto determinati. Immagini che possiedono una diversa efficacia simbolica e che instaurano un diverso rapporto con la grammatica e la pragmatica della nostra visione; immagini che, per lo più, hanno perso quella che era una duplice caratteristica dell'immagine-rappresentazione, ossia quella di opporsi da un lato al soggetto rappresentante e osservante, e dall'altro a tutto ciò che rappresentazione non è, ossia lo spazio circostante, il fuori-scena, il fuori-quadro, il fuori-cornice. Immagini, quindi, che non si fondano su un'opposizione tra realtà e finzione e che invece danno luogo a una sempre crescente confusione tra realtà e immagine. Per Baudrillard, il verificarsi della fine dell'immagine come rappresentazione significa la fine del reale e l'avvento di un iperreale in cui tutto viene tradotto in immagine. Tutto è esposto e duplicato: è l'avvento di una dimensione in cui si perde completamente il ruolo delimitante delle cornici. Anche per Serge Daney, con l'avvento del visivo, si ha la fine dell'immagine come rappresentazione, ovvero di un'immagine fondata sul rapporto di alterità rispetto alla realtà e posta in posizione frontale rispetto a uno spettatore. A questa narrazione si sostituisce un'immagine il cui spettatore si trova, invece, in una situazione di immersione, più simile all'ascolto che alla contemplazione. Il passaggio dall'epoca dell'immagine come rappresentazione - ossia dell'immagine come simulacro, copia, imitazione, ombra e proiezione - al proliferare indeterminato del visivo farebbe sì, secondo Débray, che la grammatica e la pragmatica della nostra visione si modifichino fino a trasformare lo sguardo in una "modalità dell'ascolto". Ma se queste sono le caratteristiche del nuovo spazio visivo che abitiamo, appare sempre più necessaria un'indagine che chiarisca quali siano le nuove forme di delimitazione e incorniciamento che prendono in eredità il lascito della cornice.
Emblematico di questo nuovo modo di fruire l'immagine, slegato dal confinamento della bordure, è il visore a realtà aumentata. I visori divengono strumenti capaci di annullare la presenza del bordo, in un'operazione nettamente inversa rispetto a quella svolta dalla cornice. Se da un lato la cornice ci permette di focalizzare e distinguere il reale dall'immaginario, con la realtà aumentata l'immagine si vuole sostituire completamente al reale. In questo senso lascio al lettore la domanda: nel momento in cui i confini dell'opera svaniscono, come può l'arte essere riconosciuta in sé stessa, in quanto prodotto artistico?
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