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#1 Legge e giustizia: Diritto e morale

Kant porta alla luce il difficile ruolo della verità. È moralmente giusto dire sempre la verità? O è lecito ricorrere alla menzogna? A regolare il comportamento umano sono due grandi ordinamenti sociali: il diritto e la morale.

#1 Legge e giustizia: Diritto e morale

Rispondendo ad alcune obiezioni dell'intellettuale francese Benjamin Constant (1767-1830), Immanuel Kant (1724-1804) porta alla luce un caso esemplificativo del difficile ruolo della verità. Se si presentasse alla porta un assassino e vi chiedesse se il suo nemico è in casa, sarebbe moralmente giusto dire la verità? Come vi comportereste?

Se hai appena fermato con una menzogna un potenziale assassino, impedendogli di attuare la sua intenzione, sei anche giuridicamente responsabile di tutte le conseguenze che potranno derivarne. Ma se ti sei attenuto rigorosamente alla verità, la giustizia ufficiale non potrà addebitarti nulla, qualunque imprevedibile conseguenza possa seguire alla tua dichiarazione. È anche possibile che, mentre tu stai rispondendo sinceramente di sì all’assassino che ti chiede se l’uomo da lui inseguito sia in casa tua, quest’uomo esca senza farsi notare, sottraendosi all’assassino, e così il fatto non avvenga. Al contrario, se tu menti dicendo che non è in casa ed egli, invece, è realmente uscito (a tua insaputa), così che l’assassino, nell’andarsene, lo incontri e compia il suo delitto, allora potresti giustamente essere accusato di aver provocato la sua morte. Infatti, se tu avessi detto la verità per come la conoscevi, forse l’assassino sarebbe stato catturato da un vicino accorso in aiuto, mentre quello cercava il suo nemico in casa tua, e il fatto sarebbe stato impedito.[1]

A regolare il comportamento umano, quindi parole e azioni, sono due grandi ordinamenti sociali: il diritto e la morale. Mentre il primo è l’insieme delle norme giuridiche che danno identità a una comunità politica, la seconda riguarda il sistema non coercitivo di principi e di valori morali. Se entrambi i sistemi, dunque, prescrivono il nostro comportamento, qual è la differenza tra diritto e morale?[2]

In primis, presente solo nel primo ordinamento è la coercizione, ossia l'obbligo di fare o di non fare qualcosa se non si vuole incorrere in gravose conseguenze (ad esempio la sanzione o la detenzione in carcere). In secondo luogo, diversamente dal diritto, la morale fa coincidere applicazione e osservazione della norma.

Le regole sono una bussola per orientarsi nella complessità del reale e influenzano le nostre azioni. In particolare, per Kant l’agire giusto non necessariamente si eleva al livello della moralità, poiché la giustizia deve essere incondizionata. In altre parole, sebbene ci sia un'intersezione strutturale, il piano della morale non corrisponde al piano della politica; dunque il dovere non è un istinto morale.

Detto ciò, allora a cosa dovremmo appellarci per capire la risposta corretta da dare all'assassino? È proprio a questo proposito che entra in gioco la razionalità, lo strumento che ci indica come agire e come elevare il nostro comportamento alla moralità. Ciascuno di noi, infatti, è capace di moralità e di razionalità: la morale razionalistica di Kant afferma chiaramente che la ragione è fonte di moralità.

Più concretamente, il filosofo tedesco come risolverebbe il dilemma dell'assassino? Kant ritiene che sia necessario il divieto di ingannare sia sul piano morale sia su quello giuridico. Mentire è un problema morale, poiché sempre va detta la verità, e politico, poiché la menzogna sistematica ha un impatto distruttivo sulla società. Se infatti mancasse la pretesa di veridicità, di franchezza o di trasparenza, come potrebbe strutturarsi il legame con l'altro o l'altro all'interno di una comunità?

Attenzione, però, perché il rigidissimo divieto di mentire kantiano è tale solo rispetto alla menzogna sistematica, e non al singolo episodio; ossia è consentito mentire all'assassino per salvare una vita, ma non ingannare costantemente.

Desidero concludere lasciando aperta un'ultima riflessione: il famoso esempio dell’anello di Gige.[3] Il mito, riportato da Platone, racconta il ritrovamento di un anello d'oro con una pietra incastonata da parte dell'umile e retto pastore Gige. Indossando l’anello e muovendo la pietra, Gige acquista il potere dell’invisibilità. Godendo di tale capacità, però, il pastore abbandona la condotta corretta e uccide il re di Lidia, Candaule, diventando così il nuovo sovrano. Il mito vuole dimostrare come nessuna persona è così virtuosa da resistere alla tentazione di azioni terribili, se gli altri non possono vederla.
Come possiamo definire allora la moralità? La moralità è solo una costruzione della società, che rispettiamo per timore delle conseguenze? Venute meno la morale, le conseguenze e la pubblicità, ci riveliamo per quello che realmente siamo?

Se siamo certi dell’impunità delle nostre parole e azioni, agiamo comunque moralmente? L’agire morale dipende o non dipende dalla punibilità?

Un esempio che può aiutare a riflettere sulle risposte a queste domande è il diffuso fenomeno di aggressività in rete: l'anonimato online molte volte porta a comportamenti ostili, discriminatori e offensivi nei confronti di altre persone. È anche per contrastare questo - come lo chiamo io - "stato di natura 2.0" che è bene che diritto e morale dirigano la complessità dell'agire umano verso la giusta condotta, o come direbbe Kant:

«il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me».[4]


  1. I. Kant, Sul presunto diritto di mentire per amore dell'umanità, 1797. ↩︎

  2. Cfr. H. Kelsen, Dottrina pura del diritto (1960), a cura di M. Losano, Einaudi, Torino 2021, p. 87. ↩︎

  3. Platone, Repubblica, II. ↩︎

  4. I. Kant, Critica della ragion pratica (1788), Laterza, Bari 1976, pg. 197. ↩︎