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#3 Utopie e distopie: "La strada" di Cormack Mc Carthy (libro)

Il romanzo La strada di Cormack Mc Carthy ci propone una distopia originale, dove il focus è l'affetto umano tra padre e figlio in viaggio nella post-apocalisse.

Nel panorama delle distopie, gli esempi più noti e riconosciuti sono opere del calibro di 1984 di George Orwell e Il mondo nuovo di Aldous Huxley, o ancora L'uomo nell'alto castello di Philip K. Dick. Si tratta senza dubbio di romanzi significativi, giustamente famosi per l'impatto del monito che lanciano nei confronti dell'oppressione sociale e del controllo essere imposto sulle vite umane da un potere dispotico.
Senza mettere in dubbio il valore di tali classici, oggi vi proponiamo uno sguardo diverso sulla distopia, nella forma del romanzo La strada dello scrittore statunitense Cormack Mc Carthy. Pubblicato in lingua originale nel 2006 e in italiano l'anno successivo, il libro si configura come un tentativo di indagine molto profonda dell'esperienza umana in un contesto post-apocalittico, come nessun'altra, che come nessun'altra mette in luce determinati meccanismi sociali.

L'opera ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2007 e due anni dopo è stata anche adattata in una pellicola cinematografica omonima, diretta dal regista John Hillcoat (che sarà oggetto di un prossimo articolo).

Laddove certi suoi predecessori indagano la perdita di umanità in una società distopica, Mc Carthy si assume il compito davvero arduo di rintracciare ed esplorare l'irriducibile umanità che sopravvive a qualsiasi stravolgimento del mondo circostante. In un contesto completamente devastato, dove di familiare si trovano soltanto le macerie che offrono un ricordo pallido della realtà quotidiana, i nostri protagonisti, un padre e un figlio, restano uniti da un legame profondissimo e intimo. Nella scommessa di questo romanzo, il bene e i sentimenti umani si conservano e, a modo loro, fioriscono anche in mezzo alla cenere.
Proprio questa cenere è il compagno di viaggio onnipresente dell'uomo e del bambino tra le rovine della natura e della civiltà. Il lettore non viene mai a conoscenza delle cause di questo disastro, verificatosi diversi anni prima a seguito di un gigantesco lampo di luce apparso nel cielo. Da allora, qualsiasi regola o ordinamento umano ha perduto il suo significato, le città sono cadute in rovina e gli uomini muoiono a migliaia, e i pochi sopravvissuti hanno iniziato a predare sugli altri superstiti.

Nella speranza flebile di dare al figlio una possibilità di sopravvivenza, l'uomo decide di viaggiare verso sud, dove forse il clima è ancora abbastanza favorevole per assicurare la crescita. Nel corso del tragitto, i due attraversano quelli che un tempo potevano essere gli Stati Uniti. Oramai, tuttavia, non ha nemmeno senso pensare al passato. Il padre cerca a più riprese di deviare le curiosità del figlio verso di esso. Gli unici indizi di un'epoca migliore, oggetto di curiosità infantile, sono gli elementi che al contrario scatenano la paura di chi legge: sono le rovine dei supermercati, le automobili ridotte a lamiere contorte, i vestiti stracciati e le case abbandonate. Elementi quotidiani, la cui familiarità è inquietante nel suo carattere distorto. Si intravede la perdita di tutto, ma l'estraneità prevale: nella totale separazione dal passato, il lampo accecante ha inaugurato una nuova epoca dove non esiste più nulla di ciò che conosciamo.

Sebbene il piccolo non abbia mai conosciuto altro che l'apocalisse, guardandosi attorno comprende che c'è appunto stato un prima. Il padre se lo ricorda? Sì, ma lasciamo perdere. Mettiti a dormire. O mangia quello che siamo riusciti a trovare in una cantina. E stai basso e non farti vedere.
Allo stesso tempo, bevi questa Coca Cola. Non potrai più provare una cosa simile. Questo è il tenore del racconto, consegnato ai lettori in uno stile semplice, scarno, brutale e freddo. Nonostante ciò, il coinvolgimento e il calore sono incomparabili. L'amore tra padre e figlio passa attraverso pochissime parole e viene trasmesso da atti semplici ma fondamentali nell'ambiente in cui cercano di vivere. Paragonabile allo stato di natura di Hobbes, dove è effettivamente dominante la legge del più forte e dove i predoni compiono atti indicibili, questa condizione non annichilisce la bontà e l'amore, e con essi la speranza di continuare. L'intento di fondo è resistere a tutto, con la prospettiva molto flebile di un futuro.

Questo mondo devastato viene anch'esso narrato in uno spazio ristretto al massimo ma espressivo e intenso, che raggiunge un livello di immersività davvero raro da trovare in un'opera narrativa, se non altro a questi livelli. Anche, e soprattutto grazie al suo stile estremamente scarno, Mc Carthy coinvolge i lettori come pochi scrittori riescono a fare. La sensazione è quella di** avere letteralmente davanti** gli alberi carbonizzati o la città desolata e in rovina che i protagonisti attraversano. Di più, si arriva perfino a provare la loro stessa spossatezza fisica. I personaggi vengono tratteggiati con pochissimi dettagli, e del resto è difficile compiere grandi caratterizzazioni: l'unica cosa che rimane loro è la sopravvivenza e il sostegno reciproco. Le parole che si possono usare sono ben poche, i discorsi non contano più. L'unico discorso di una certa estensione ed elaborazione si ha durante un flashback che ripercorre i giorni subito successivi alla catastrofe - nell'intenzione dell'opera, non esiste altro modo per raccontare efficacemente una storia simile.

Senza fare spoiler possiamo dire che il romanzo ha una conclusione positiva, ma assai inquietante. Un lettore attento non potrà fare a meno di domandarsi: "Sì d'accordo, e poi?". Ma lasciamo a voi la scoperta de La strada. Decisamente un capolavoro letterario, terribile e commovente, gelido e intimo, opprimente e commovente; tutto questo in poco più di 200 pagine.