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Dove corpo e mente si incontrano, la fatica trova casa (e a volte è su un campo da tennis)

La fatica, spinta da un vagabondare continuo, è un ospite dentro corpo e mente, e talvolta in entrambi. Sportivi, professionisti e chiunque affronti le sfide quotidiane ne fa esperienza. Seppur silenzioso, è il motore di un percorso di crescita da cui è bene trarre anche il più piccolo profitto.

Fatica, dal latino fatiga, fatigare, ovvero “affaticare”:

Affaticamento, stanchezza derivante da uno sforzo compiuto, da logorio delle forze fisiche.

Ma anche,

Sforzo e travaglio dell’intelletto.

La fatica fa le cose in grande, non le basta essere corporea. No, quando più le fa comodo può anche trovare alloggio nella nostra mente, e da lì, spesso e volentieri, non ha alcuna intenzione di andarsene. Chissà, forse per la fatica la nostra psiche è un hotel di lusso, di quelli che sembrano quasi irreali, che ti coccolano a tal punto da non voler più tornare a casa.

Ma dov’è casa, per la fatica? In fondo, non è altro che una vagabonda, in cerca di riparo nel nostro corpo, dalla testa ai piedi. E così casa, per la fatica, siamo noi. E se trova più luoghi in cui risiedere contemporaneamente, allora è il suo giorno fortunato. Perché quando si adagia su organismo e mente insieme, per noi diventa tutto tranne che facile. Succede nella quotidianità. Succede in molti lavori: basti pensare a medici, piloti, pompieri o militari. Succede anche in molte discipline sportive.

Una, in particolare, mi è tanto cara quanto ostile. Se c’è un momento in cui la fatica al quadrato ha fatto capolino nella mia vita, è stato senza dubbio quando ho iniziato a giocare a tennis. Andre Agassi, nel suo libro Open (2009), ha scritto che il tennis usa il linguaggio della vita: vantaggio, servizio, colpa, rottura, amore.

Non è un caso, perché ogni partita è a suo modo una vita in miniatura.
Open, Andre Agassi (2009)

Ora, immaginate di vivere la vita, per poi iniziarne un’altra e un’altra ancora, ogni volta che si mette piede in campo. Tabula rasa di quello che c’era fuori, occhi puntati su ciò che c’è dentro. E poi, di nuovo, la realtà. Se non è fatica questa…

Tra le righe bianche di quella che è stata casa per oltre dieci anni della mia vita, casa ha trovato la mia prima vera e propria fatica. Espressione di una lotta continua tra la paura del confronto, l’insicurezza nelle proprie capacità, la voglia di stringere subito la mano di quel volto sconosciuto che, dall’altra parte della rete, era il coprotagonista silenzioso di una delle mie tante vite in miniatura. Complice di lei, della fatica, anticipatoria, comoda nella mia materia grigia ancor prima che nel mio fisico, che lì arrivava sempre dopo.

Mi chiedo spesso se fossi davvero adatta a questo sport, eppure, allo stesso tempo, mi rendo conto che nella vita non sempre bisogna incastrarsi alla perfezione. Magari il punto è proprio accogliere le difficoltà e l'assordante peso che portano con sé. Mi guardo dentro e vedo ancora quella bambina che combatte contro la sua mente, mi guardo dentro e mi ringrazio, per averci provato. Per tutte le volte che ho perso. Perché, se non fosse stato per quella fatica in miniatura su un campo da tennis (che poi tanto in miniatura non era), oggi non saprei cosa aspettarmi dalla sua omonima, cittadina del mondo, che mi (/ci) prende per mano nel nostro viaggio quotidiano, pacificamente cullata dal nostro corpo. Tra l’amicizia, la famiglia, il lavoro, lo studio. Risparmiare, prendersi cura di sé. Scegliere che vestiti indossare, cucinare.

a blue tennis court with a white line on it
Photo by Alex Viau / Unsplash

Che la vita sia faticosa non è certo una novità. E nemmeno il fatto che fare sport, nella maggior parte dei casi, richieda sforzo. Ma è quando la vita e lo sport si intrecciano, l'una che assorbe l'altro e viceversa, che accade qualcosa di unico. In un passato non troppo lontano, ho vissuto proprio questa fusione. E in questo processo, sono stata forgiata. Forse la fatica continuerà più volte ad avere il sopravvento, chi può dirlo. A noi, comunque, non resta che sorridergli.