Il contributo che Judith Butler dà alla società contemporanea circa la sensibilizzazione sulle tematiche legate al genere va contro ogni teoria fondativa dell’orientamento sessuale. Comprendiamolo attraverso le storie di Alexina, David e Caster raccontate da un punto di vista filosofico.
Le storie di Alexina, David e Caster raccontate da un punto di vista filosofico.
Ad oggi sono ampiamente discusse, con non poche controversie, le problematiche legate al genere e ad un'idea più fluida e inclusiva della maniera con cui questo tema viene considerato. In questi giorni di elezioni, ad esempio, sono tante le polemiche sollevate sulla volontà di rendere più includenti le file alle urne, da sempre suddivise solo da un punto di vista binario, ovvero in maschile e femminile.
Aiutandoci con la letteratura di una delle più famose e discusse filosofe contemporanee sugli studi queer, mi sembra doveroso analizzare come il modo in cui comunemente intendiamo il genere. Definito come la risultante di norme culturali reiterate nella storia attraverso diverse dinamiche di potere, il genere così inteso ha dato il via ad una serie di significazioni che hanno costituito le differenze sulla base di una sessualità strettamente gerarchica ed eteronormativa.
Il contributo che Judith Butler dà alla società contemporanea circa la sensibilizzazione sulle tematiche legate al genere è a tratti complesso da interpretare, ma sostanzialmente va contro ogni regola o teoria fondativa del sesso e dell’orientamento sessuale. In particolare, la sua teoria descrive una realtà più ampia, polimorfa, aperta ad ogni forma di esistenza. Contrapponendosi ferocemente ad ogni dogmatismo, Butler propone una lettura della complessità del genere impossibile da ridurre nel binarismo eterosessuale.
Da un punto di vista "pratico" è fondamentale toccare le problematiche che hanno colpito, dal punto di vista politico e sociale, i casi di violenza di genere subiti da tre persone intersessuali e transessuali, in modo tale da ricavare non solo una riflessione su come sia preponderante e potente vivere una normatività di genere, ma anche delle conclusioni da applicare agli attuali studi e progressi sulle problematiche culturali legate al genere.
Immaginando un dialogo con Foucault, Butler riporta nel suo saggio “Gender Trouble” il caso di Herculine Barbin, chiamata affettivamente Alexina, esaminato da Foucault stesso. Questo esempio ci è giunto attraverso una breve introduzione fatta dall’autore al diario delle memorie della stessa, rinvenuta dal Dottor Regnier al momento della propria morte e successivamente scoperte dal filosofo in un dipartimento francese di igiene pubblica.
Grazie alla sua storia, Alexina viene ricordata ad oggi come la prima persona francese di cui si attesta l’intersessualità: infatti, alla nascita di Alexina le venne attribuito il sesso femminile, data la presenza più o meno chiara dell’apparato riproduttore (ricordo il caso risale alla metà dell’Ottocento circa, quindi le conoscenze mediche in questo campo erano esigue) e venne cresciuta e educata come tale. L’adolescenza della ragazza dimostra da subito una crescita fisica molto lenta del seno e dell’arrivo delle mestruazioni, di contro invece ad una crescita della peluria molto accentuata e ad un interesse sessuale nelle donne.
A seguito di forti dolori fisici, la ragazza venne visitata da un medico che attestò la presenza di una vagina molto poco sviluppata al cui interno erano presenti un piccolo pene e dei testicoli; per questo motivo la ragazza, sotto ordine legale, venne operata per assegnarle nuovamente un’identità sessuale “vera”. Determinata come uomo, Alexina prese il nome di Abel Barbin e fu legalmente obbligata a vestirsi con abiti maschili e a esercitare i vari diritti come uomo nella società. Così continuò la propria vita, a Parigi, in povertà e turbata da crisi identitarie, per poi trovare la morte da suicida nel 1868.
Nel curare i diari di Herculine, Foucault cerca chiaramente di dimostrare come un corpo intersessuato metta in luce e confuti implicitamente le strategie regolative della categorizzazione sessuale[1], ovvero come i piaceri del corpo possano (e debbano) essere inscritti al di fuori di quella categorizzazione intelligibile a cui obbliga la presenza del sesso soprattutto inteso nella sfera binaria. In altre parole, i piaceri del corpo non possono essere riducibili alla collocazione in un dato sesso come manifestazioni di quello; infatti, secondo Foucault, “il mondo sessuale in cui abita Herculine è un mondo in cui i piaceri del corpo non significano immediatamente sesso, quale loro causa primaria e significato ultimo”.[2] L’indecifrabilità del suo corpo, dunque, non era condizione necessaria e conseguente del suo desiderio, ma rappresentava nell’economia eterosessuale un’ambiguità, linguistica e fisica, necessaria di risoluzione, o meglio, di attribuzione.
Come già affermato in precedenza, Foucault nel suo testo “Storia della sessualità” cerca di fornire una spiegazione a quelle relazioni di potere che intercorrono tra il rapporto della definizione sessuale e una “validità” sociale e culturale. Butler, di conseguenza, assume come punto di partenza di questi casi; il problema del potere regolatore che determina in modo più o meno esplicito cosa abbia la validità di esistere, quali sono le relazioni di potere che determinano in un soggetto quelle norme che lo reputano “vero”.
Entrambi, Foucault e Butler, si sono molto interessati al caso di Alexina in quanto hanno ritenuto opportuno analizzare che cosa determinasse effettivamente la scelta, resa ossessivamente necessaria nella storia, di attribuire il “vero” sesso e “ordinare” le identità sessuali, assieme ad una categorizzazione più o meno forte poi di tutte le perversioni e “deviazioni”. La condizione di Alexina era ovattata dalla normatività in cui viveva: la ricerca e l'obbligo di rientrare nella normatività sessuale la strappa dallo status di "femminilità" e dalla condizione di fluttuazione in cui pensava di essere felice.[3]
Un altro caso di cui Butler tratta in "Undoing gender" è quello di David Reimer, decisamente molto più contemporaneo. David nasce a Winnipeg nel 1965 con il nome di Bruce e a seguito di una patologia sviluppata all’età di otto mesi che gli rendeva difficoltosa la minzione, gli fu gravemente lesionato e in seguito mutilato il pene.
I genitori di Bruce lo portarono al Johns Hopkins Hospital di Baltimora (Stati Uniti), dove il bambino fu visitato da John Money, psicologo nonché pioniere del momento degli studi sull’identità di genere e sull’intersessualità. Lo psicologo fu uno dei primi a coniare in medicina il concetto di identità di genere e della neutralità di genere, principio secondo il quale l'identità sessuale si sviluppa prevalentemente sulla base del contesto sociale in cui è vissuta l'infanzia e può essere modificata attraverso opportuni interventi.[5]
Fu lo stesso Money che scelse di operare Bruce reindirizzando la sua identità sessuale in quella femminile a soli 22 mesi; seguì poi una terapia ormonale in vista della riassegnazione e fu chiamato Brenda, educato ed allevato come una bambina.
Ma la crescita di Brenda non si dimostrò un successo come invece lo ritenne Money: difatti, Brenda non riusciva a sviluppare una personalità “femminile” e viveva il disagio a causa delle massicce cure mediche a favore della sua femminilizzazione e dell’oppressione psicologica che gli veniva posta contro la sua naturale espressione della propria identità. John Money, per favorire il successo del proprio intervento e della propria teoria, usufruì notevolmente dell'oppressione psicologica per “convincere” in tutti modi a Brenda di sentirsi e identificarsi come una femmina nonostante le sue resistenze.
Qui, l'intento di Butler è quello di analizzare come la smania di attribuire un’identità sessuale per mantenere il rispetto di una data normatività sociale, metta in luce una serie di brutalità che sminuiscono la persona in quanto tale. Non ci si interroga sul sentimento identitario della persona, ma si cercano sempre più prove e teorie che dimostrino quanto effettivamente sia maschile o femminile il soggetto in analisi, se possono avere successo e diffonderne i risultati per istituzionalizzare il potere di attuazione della norma.[6] Esiste la norma, imposta dall’esterno, che viene comunicata attraverso un insieme di aspettative che appartengono ad altri; e poi c’è la sfera del sentimento e dell’essere, e queste dimensioni sono distinte.
Gli occhi che hanno visto ed analizzato il caso di David hanno plasmato allo stesso il modo di sentire la propria identità. Butler continua a riportarci nel capitolo delle parti toccanti del racconto che David fa di se stesso e della sua esperienza, affermando la superficialità con cui i medici lo riducessero semplicemente al suo essere l’apparato genitale: nonostante lui sapesse di voler essere un maschio, con tutti gli “accessori” che lo costituiscono, contrappone la profondità del suo sentire alla superficialità della norma che lo vede solo per quello che l’apparato genitale lo costituisce.
Anche David, come Alexina, si tolse la vita alle età di 38 anni. Cosa vuol dire affermare nuovamente questo epilogo? Che ciò in cui siamo totalmente immersi, il sistema di norme che ci descrive e ci legittima, schiaccia inesorabilmente chi prova a situarsi al di fuori di questo linguaggio.
Prima di affrontare l’ultimo caso, quello di Caster Semenya, descritto da Butler nell’articolo “Il vero sesso di Semenya” pubblicato nel 2009 per Il Manifesto, vorrei aprire una piccola parantesi su quello che è il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica del nostro Paese circa i disturbi della differenziazione sessuale risalente al 2010.
In questo parere il comitato nazionale stila dei consigli secondo quello che potrebbe essere l’iter più eticamente corretto nella riattribuzione del sesso dei neonati. Tale iter è da da applicarsi laddove le differenti componenti del sesso (genetico, gonadico, ormonale, fenotipico) non risultano essere sviluppate chiaramente secondo diversi stadi di gravità, e perciò risulta difficoltoso per il medico ed i genitori attribuire il sesso del neonato.
L’ambito toccato è estremamente delicato dal punto di vista bioetico e biogiuridico, ed ancor più complicato soprattutto quando in ballo sono i minori poiché non hanno una propria autonomia decisionale e quindi non possono esprimere un loro consenso.
Ciò che il parere mette in luce, volendo fare un paragone con il caso di David, è che ad oggi vi è la possibilità di attuare due differenti diagnosi a seconda dei casi di gravità, valutandone una anche tardiva che implica la maturazione del soggetto e della propria identità per prendere decisioni chirurgiche o terapeutiche eventuali per la riattribuzione sessuale. Difatti, d’accordo con le linee guida della Intersex Society of North America,
“Propongono la doverosità di interventi medici e chirurgici solo di fronte ad una reale, attuale e imminente minaccia per l’integrità fisica del soggetto e a fronte di indici empirici o predittivi certi, non forzando il paziente verso una “normalizzazione” sociale che potrebbe provocargli danni. Tali linee guida invitano, nei casi in cui non si manifesti una urgenza medica o non vi siano elementi obiettivi per la decisione, a ritardare gli interventi chirurgici e a posticipare i trattamenti ormonali per consentire una partecipazione attiva del soggetto alla decisione (qualora ciò si renda possibile data l’età dello stesso), sia in riferimento alla propria percezione della identità sessuale, che in riferimento al bilanciamento dei rischi e benefici dell’intervento.”[10]
Insomma, possiamo vedere come, escludendo casi di urgenza, venga garantito e rispettato ad oggi un maggiore valore alla consapevolezza identitaria di genere del soggetto intersex. Soprattutto, si cercano di evitare pratiche invasive ed inutilmente affrettate di riassegnazione, che potrebbero ledere la salute psicologica del soggetto ma anche ad una sofferenza sociale dovuta ad una sbagliata percezione di sé; il che mi sembra almeno un passo in avanti.
Concludendo con il caso di Caster, ci avviciniamo al tema caldo in questi anni, ovvero alla possibilità di legittimare la presenza delle persone transessuali o intersessuali di gareggiare agonisticamente nelle categorie di genere che rispecchiano la loro riattribuzione. Caster, atleta velocista intersessuale, identificata come donna alla nascita, ha cromosomi XY nonché alti livelli naturali di testosterone: in questi casi si parla di iperandrogenismo e sin dalla sua comparsa sulla scena dell'atletica internazionale è stata vittima di molte critiche. Questo finché, a seguito di una vincita dopo una gara, la IAAF accusa la vincitrice di irregolarità agonistiche per l’incerta identificazione sessuale e decide di regolamentare duramente iperandrogenismo. A partire dal 2011, ciò implica maggiori verifiche che le atlete con questa condizione non abbiano valori di testosterone più alti della media maschile, o almeno posseggano una resistenza all'ormone che impedisca di avere vantaggi in pista.[11]
Butler, nel suo articolo, commenta criticamente la medicalizzazione di genere nell’ambito sportivo, ovvero fa riferimento alle cure di femminilizzazione a cui Caster si è dovuta sottoporre se sono state attuate per un’esigenza sportiva-agonistica (quindi per permetterle di gareggiare) o per sua volontà.[12] Presupponendo la cura ormonale per motivi agonistici, ciò dimostrerebbe ancora una volta il controllo e il potere che si impone sull’attribuzione di genere per rientrare sempre in quella normatività che stabilisci i confini del normale in cui si deve essere necessariamente inseriti. A questo punto Butler, concludendo, si chiede se potrà mai esistere la possibilità di ridefinire le regole per chi gareggia senza attuare qualunque pratica di “normalizzazione”.
“Così, piuttosto che cercare di scoprire di che sesso «è» veramente Semenya o qualunque altra persona, perché non pensiamo piuttosto a dei criteri di ammissione alle gare nelle categorie di genere che siano egualitari e inclusivi? Solo allora potremmo finalmente smetterla con le buffonate sensazionalistiche da caccia alle streghe per accertare il «vero sesso» di chicchessia, e aprire gli sport alla complessità della specie cui apparteniamo, la specie degli animali umani.”[13]
[1] Judith Butler, Fare e disfare il genere, A cura di Federico Zappino, Mimesis, Milano, 2014, p. 137
[2] Ivi, p.139
[3] Mariangela Pugliese, Judith Butler, Storia di un pensiero che provoca, Libreria Universitaria Edizioni, Padova, 2018, p.148
[4] Judith Butler, Questione di genere, Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, 2023
[5] wikipedia.org/wiki/David_Reimer
[6] Judith Butler, Fare e disfare il genere, A cura di Federico Zappino, Mimesis, Milano, 2014, p.75
[7] Judith Butler, Fare e disfare il genere, A cura di Federico Zappino, Mimesis, Milano, 2014, p.76
[8] Ivi, p.79
[9] Comitato Nazionale per la Bioetica, I disturbi della differenziazione sessuale nei minori: aspetti bioetici, 2010, p.3
[10] Comitato Nazionale per la Bioetica, I disturbi della differenziazione sessuale nei minori: aspetti bioetici, 2010, pp. 16-17
[11] Arianna Galati, Caster Semenya ha vinto contro la discriminazione delle atlete intersex in Svizzera, MarieClaire, 2023
[12] Mariangela Pugliese, Judith Butler, Storia di un pensiero che provoca, Libreria Universitaria Edizioni, Padova, 2018, p.151
[13] Judith Butler, Il “vero sesso” di Semenya, Archivio storico del Manifesto, 2009
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