Il benaltrismo è più un morbo o una paralisi?
Eludere, sviare, svincolarsi, fuggire: tutti termini che sembrano rappresentare al meglio la società del Duemila, e non perché in molti li utilizzino, ma per il semplice motivo che innumerevoli comportamenti in atto vi si rifanno. E uno di questi atteggiamenti è proprio il benaltrismo, ovvero quella tendenza ad eludere un tema o un problema, adducendo l'esistenza di altre problematiche più impellenti («i problemi sono ben altri!»), spesso però senza chiarirne alcuna. Di conseguenza, l’individuo che fa uso di tale tecnica si sottrae da una qualsiasi forma di confronto e discussione, fuggendo morbosamente il faccia a faccia che è, invece, necessario per crescere e sviluppare uno spirito critico. Ecco, il benaltrismo potrebbe essere visto come morbo che imperversa nella nostra epoca, e che porta con sé un chiaro segnale di terrore per il confronto con l’altro. È però ancora più interessante vedere come si utilizzi proprio la messa a confronto per evadere il confronto stesso: un tema che si cerca di discutere viene posto in secondo piano rispetto ad un’altra questione ritenuta più urgente. Si usa, quindi, ciò che si teme per eludere il fattore stesso. Forse un modo di pensare così acuto potrebbe essere anche utilizzato per molto altro.
Ma il benaltrismo è più un morbo o una paralisi? È un modo di pensare che infesta la nostra società, o piuttosto un blocco di ghiaccio nel quale ci troviamo fossilizzati e da cui sarà possibile uscire soltanto tra un centinaio di anni grazie all’opera buona di un qualche scienziato intento a studiare la nostra epoca? Sin dall’avvento dei social media siamo incastrati nella collana del qualunquismo, e sfoghiamo la nostra frustrazione per tale paralisi proprio sulle piattaforme digitali che abbiamo a disposizione. Anziché tentare di evadere dalla paralisi, sfuggiamo proprio ciò che ci consentirebbe di farlo: la comunicazione. Eppure, il giudizio degli altri infesta i pensieri più profondi, intacca l’orgoglio, ed è meglio mostrarsi falsamente eruditi citando altre questioni piuttosto che apparire anche solo minimamente disinformati su qualcosa di cui l’altro vorrebbe discutere: ciò che conta è sembrare più bravi, più intelligenti, meglio informati. Importa solo la forma, non il contenuto: l’obiettivo è spegnere una conversazione sul nascere, non uscirne arricchiti. In effetti, lo stesso termine benaltrismo sembra celare una certa erudizione, tanto che per comprenderne il significato bisogna informarsi, perché non è così chiaro ad un primo incontro. Dietro si cela in realtà un concetto che non ha nulla né di interessante né tantomeno di furbo, si tratta bensì di una mera codardia. E nascondersi dietro a un dito, o dietro a uno schermo, è proprio uno degli aspetti negativi che porta con sé l’avvento dei telefoni portatili e degli smartphone: il telefono sarà anche smart, ma chi lo utilizza spesso non lo è altrettanto.
La diffusione del benaltrismo sembra infatti andare di pari passo con l’avvento dell’era digitale, e più specificamente con l’importanza che i social media hanno acquisito nella nostra quotidianità; questo accade proprio perché si tratta di un fenomeno strettamente legato all’importanza di ciò che appare, di ciò che sembra, e non di ciò che è. Infatti, il focus non è né sul tema in sé, né sul suo contenuto, bensì sull’individuo che sembra sapere più del suo interlocutore: il benaltrismo non è approfondimento, non è dibattito, è una competizione in cui regna l’apparenza, in cui vince chi sembra conoscere più argomenti. Eppure, tutto resta in superficie: andando a scavare, non si trova nulla di più. Chi si fa carico del “c’è ben altro a cui pensare” è pari ad un palloncino: sembra tanto grande ad un primo sguardo, ma una volta pizzicato con una o due domande in più, ne esce soltanto aria. Inoltre, è anche evidente che sia in atto una diminuzione della soglia d’attenzione, accelerata dall’impiego impellente di slogan pubblicitari e brevi frasi ad effetto volte a colpire l’auditorio nell’immediato. È, quindi, più semplice per l’uomo moderno giungere a conclusioni affrettate, parlare prima di pensare, non essere in grado di ingaggiare una conversazione in cui non solo si tenta di accogliere e comprendere l’idea altrui, ma anche dove si mette in gioco sé stessi sostenendo la propria opinione. La politica, in particolare, sembra aver risentito maggiormente dell’impiego del benaltrismo; o forse ha soltanto contribuito a diffonderlo tra le masse proprio attraverso le piattaforme digitali. Il confronto appare ormai come una gara a chi la dice più grossa, a chi alza di più la voce, a chi interrompe più facilmente, e l’unica reazione a questo da parte dei media è quella di deridere il politico in questione, senza però poi perdersi in considerazioni utili o riflessioni alcune. Questo vale, però, tendenzialmente per la televisione, mezzo di diffusione immediata molto più giovane rispetto, invece, ai periodici cartacei, i cui giornalisti sembrano fortunatamente conservare, in ormai però rari casi, una certa autonomia di giudizio e capacità di critica.
Eppure, questo morbo sembra non colpire maggiormente i giovani, bensì gli adulti che utilizzano piattaforme come Instagram o TikTok: esempi lampanti sono proprio coloro che ci governano, come il Primo Ministro Meloni o il Ministro dei Trasporti Salvini, con cui si difendono dal confronto, dalle critiche, o anche solo dalle osservazioni. Il benaltrismo è, del resto, anche una forma di manipolazione, di deviazione, uno strumento che la politica utilizza per sviare l’attenzione dai suoi deficit e dalle sue mancanze, dalle promesse elettorali non mantenute. È un modo di pensare monodimensionale, e arriva ad insediarsi nei dibattiti che animano la nostra stessa quotidianità: il motivo è che, se i nostri politici si rivolgono gli uni agli altri usando tale espediente, questi si insinua pian piano anche nella vita di tutti i giorni, arrivando a intaccare il pensiero stesso dei cittadini e distruggendo così il dibattito pubblico. Il benaltrismo impone, infatti, una modalità di pensiero univoca, senza vie d’uscita e senza possibilità di essere contraddetta o modificata. Il suo stesso impiego denota infantilismo, incoerenza, paura del confronto e incapacità di sostenere una qualunque conversazione: l’obiettivo è infatti quello di troncarla sul nascere. Ed è proprio portando a governo chi sostiene e si fa scudo delle polemiche che il benaltrismo si è insinuato nelle nostre case. Grazie ai social media, alla televisione e alla radio si è diffuso, per poi riuscire così a distruggere il dibattito pubblico.
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