L'inviata di Melainsana, Gaia Bertotti, intervista il filosofo femminista Lorenzo Gasparrini durante la presentazione del suo libro: "I ragazzi possono essere femministi?" a Bologna.
"Filosofo femminista alla faccia di chi dice che non è possibile". Questa è la breve presentazione di Lorenzo Gasparrini sui social. Classe 1972, di Roma, conduce seminari, workshop e altre attività. Si occupa di femminismi, di questioni di genere, in particolare tentando di ridefinire la mascolinità in un'ottica femminista.
Pochi mesi fa viene pubblicato, accompagnato dalle illustrazioni di Cristina Portolano, "I ragazzi possono essere femministi? Tutto quello che i maschi avrebbero sempre voluto sapere (ma non hanno mai osato chiedere)", edizioni settenove. Il libro tenta di rispondere con tono leggero a tutte quelle domande che l'autore, negli anni, si è sentito porre dai giovani che volevano liberarsi da una serie di oppressioni patriarcali. Melainana ha incontrato e intervistato Lorenzo Gasparrini proprio alla presentazione di questo libro.
L'intervista
G.B. Data la premessa del suo nuovo libro - chiede Gaia Bertotti, inviata di Melainsana - la sua posizione come filosofo femminista dà più fastidio alle femministe o agli uomini?
L.G. "Beh, devo dire che ho riscontrato questo fastidio in tutti e due - risponde Lorenzo Gasparrini. Gli uomini perché ovviamente non si aspettano o non sono abituati a parlare di questi argomenti. Li pensano già ostili, fatti contro di loro e questo è un tipo di ostacolo. Molte femministe immaginano che io voglia togliere lo spazio, rubare degli argomenti che sono loro. Mentre in realtà io sicuramente prendo quegli argomenti, perché se si chiama femminismo credo sia giusto continuare a chiamarlo così, ma li voglio usare per il mio genere. Fondamentalmente per fare un tipo di operazione culturale diversa dalla loro. Anche se spesso continuano a sostenere che non posso farlo."
G.B. Oggi si parla molto di responsabilità collettiva, si fa fatica a comprenderne il significato.
L.G. "Vuol dire che c'è qualcosa che socialmente mi accade, accade a me semplicemente perché sono un uomo bianco etero, semplicemente perché ho questo corpo. Perciò non posso fare finta che questo non centri con la mia vita solo perché non sono violento, non sono molesto, voglio bene a tutti e non faccio male a nessuno. Queste cose purtroppo non contano di fronte a problemi sociali che comunque mi investono. Responsabilità collettiva significa capire che questi problemi ci sono, che mi toccano anche se io non voglio, che quindi non posso essere neutrale. L'indifferenza o il non fare niente non bastano: non fare niente significa essere parte del problema, perché significa che non ti stai occupando di questo problema sociale."
G.B. Ultima domanda: si parla tanto di parità di genere, in particolare di educazione fatta alle generazioni più giovani. Cosa pensa invece delle generazioni più mature, sarebbe utile un ricambio generazionale oppure c'è un margine di manovra su cui lavorare anche con queste generazioni?
L.G. "No, non credo si debba aspettare il ricambio generazionale. Nel frattempo che la generazione cambia c'è sempre qualcuna o qualcuno che sta male. Non credo che a queste persone si possa dire: tieniti le cose che non vanno, dobbiamo aspettare la prossima generazione. Non mi sembra giusto. Ogni generazione deve affrontare questi problemi per come arrivano alla propria generazione. Certo che non è lo stesso lavorare con gli adolescenti, con i quarantenni o con i sessantenni, ovviamente non può essere la stessa cosa. Ma non può essere un buon motivo per non fare niente ora."
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