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Itaca, o l'occasione del viaggio

Con l'arrivo del mese di agosto e delle vacanze, lasciamo ai lettori di Melainsana un augurio di buon viaggio, oggi e sempre, con i versi di "Itaca" di Costantino Kavafis, insieme ad una riflessione sul significato stesso del mettersi in cammino.

Itaca, o l'occasione del viaggio
Giorgio De Chirico, Ritorno di Ulisse, 1968 (collezione privata)

Con l'arrivo del mese di agosto e delle vacanze, lasciamo ai lettori di Melainsana un augurio di buon viaggio, oggi e sempre, con i versi di Itaca di Costantino Kavafis, insieme ad una riflessione sul significato stesso del mettersi in cammino.

Itaca[1]

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi[2]
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
nè nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantino Kavafis, poeta greco del primo Novecento[3]i cui versi evocano a più riprese la tradizione mitologica della sua terra natìa, scrive Itaca nel 1911, recuperando i topoi del viaggio di ritorno dell'eroe alla propria patria (in greco, νόστος) e del peregrinare dell’uomo durante la propria esistenza. Se le indicazioni di luoghi e personaggi contenuti nella poesia appaiono chiare e familiari (l’isola di Itaca e di conseguenza il viaggio di Ulisse, i Ciclopi, gli empori fenici e le città egizie…) e si inscrivono quindi in un’atmosfera mitologica ben nota e classica, il sentimento che sembra animare l’intero componimento sovverte la tradizionale immagine dell’eroe che anela al rientro nella propria terra.

Cosa augura infatti Kavafis al viaggiatore diretto ad Itaca? Sorprendentemente non tanto di giungere presto all’isola, ma, al contrario, “che la strada sia lunga” (vv. 2,13), che il viaggio non venga affrettato, che inceda con lentezza. Solo il procedere lento infatti è ciò che permetterà al viaggiatore di cogliere ed esperire tutte le fertili avventure che il viaggio stesso avrà da offrire.

L'Itaca di Kavafis, dunque, non è mai solamente un luogo fisico, ma sempre ed essenzialmente un luogo aspirato o desiderato. Essa, tuttavia, non è tanto un desiderio cieco, una meta da raggiungere ad ogni costo, quanto più un punto di riferimento ideale, la possibilità del "bel viaggio" (v.31), l’occasione di mettersi in marcia, di partire, forse, senza essere nemmeno carichi di aspettative:

Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti? (v.31)

Che cosa altro ci si aspetta dal viaggiare, chiede quasi retoricamente Kavafis al lettore, se non il viaggio stesso? Non è ciò che si trova all'arrivo ad essere importante, ma chi o cosa si ha la fortuna di incontrare durante il percorso. E che sia esso un emporio fenicio, un dotto egiziano, un amico o un amore, Kavafis ci invita, con una sorta di elogio alla lentezza, ad indugiare, andare, imparare quanto più possiamo durante il nostro percorso.

Ad un Ulisse viaggiatore, dunque, l’autore non consiglia esattamente di affrettarsi a casa. Non è la prima volta che il personaggio di Ulisse assume una connotazione pressoché opposta a quella omerica: anche Dante, nel Canto XXVI del suo Inferno descrive un Ulisse che nulla e nessuno, per quanto caro, hanno potuto riportare a casa:

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelope far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.[4]

Non l’amore per il figlio, la moglie o il padre, hanno potuto frenare l’eroe errante di fronte al proprio desiderio di mettersi in cammino, di soddisfare il proprio desiderio di conoscere (come sottolinea Dante qualche terzina dopo con i celebri versi Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ma per seguir virtute e canoscenza). E nemmeno il pericolo incontrato lungo il tragitto è in Dante occasione di arresto del viaggio di Ulisse e dei suoi compagni: "O fratelli", dice Ulisse "che per cento mila pericoli siete giunti ad occidente".

Lo stesso vale per Kavafis: non che il viaggio sia privo di occasioni di indugio, di supposti pericoli (i Lestrigoni, i Ciclopi della poesia), ma non si deve avere timore. Si deve osare e procedere, anche perché, come suggerisce lo stesso Kavafis, quegli stessi apparenti pericoli, spesso più che essere reali, albergano nel nostro animo e vengono alimentati da noi stessi:

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, / nè nell’irato Nettuno incapperai / se non li porti dentro / se l’anima non te li mette contro. (vv. 9-12)

Viene quasi da pensare che Itaca sia stata scritta come monito per uno dei personaggi che nasceranno qualche anno dopo (1914-1915) dalla penna di Edgard Lee Masters, e che sono contenuti nella sua Antologia di Spoon River. La raccolta contiene una serie di poesie, che nella forma dell'epitaffio tratteggiano le vite degli abitanti dell'immaginario paesino di Spoon River, senza tralasciare i loro rimpianti e rimorsi in vita. Fra questi, George Gray- uomo di cui non ci è dato sapere né la professione (a differenza per esempio delle poesie Un giudice, Un chimico) né alcun legame di parentela- diventa, esattamente in virtù di questa impersonalità, simbolo universale di coloro i quali, per timore, si fermano ancora prima di partire:

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.[5]

Al lettore dunque lasciamo due auguri: quello di Kavafis, di saper essere erranti senza smarrire la propria meta e quello di Lee Masters, di saper essere barche che non temono di prendere il largo, dovunque esso sia.
A tutti, un buon viaggio.


  1. L’intera produzione di Kavafis è disponibile in lingua italiana nell’edizione Tutte le poesie del 2020 di Donzelli editore. ↩︎

  2. Nel mito, i Lestrigoni furono un popolo di giganti antropofagi, mangiatori dunque di uomini, che distrussero le flotte di Ulisse, ad eccezione della sua nave, e uccisero tutti i marinai infilzandoli con enormi spiedi. I Ciclopi sono invece creature mitologiche dalle sembianze umane ma dalle dimensioni gigantesche, con un solo occhio al centro della fronte. Famoso ciclope è Polifemo, dalla cui prigionia Ulisse riuscirà a fuggire. Se nella tradizionale narrazione mitologica Lestrigoni e Ciclopi rappresentano gli ostacoli fisici e materiali in cui Ulisse incappa durante il suo peregrinare, nei versi di Kavafis essi diventano metafora di ciò che spaventa e induce a retrocedere nel proprio cammino. ↩︎

  3. Per una breve biografia su Kavafis si può fare riferimento alla voce corrispondente dell’Enciclopedia Treccani online: https://www.treccani.it/enciclopedia/konstantinos-kavafis/#:~:text=Poeta greco (Alessandria%20d'Egitto,al%20ministero%20dei%20Lavori%20pubblici. ↩︎

  4. https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-xxvi.htmlDante, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, 94-102 ↩︎

  5. Edgard Lee MAsters, Antologia di Spoon River (Mondadori, 2001), trad. it. Antonio Porta ↩︎