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Kaundinya e i suoi fratelli: la "colonizzazione gentile" indiana

Alla scoperta delle origini dell'antica civiltà Khmer, una storia davvero particolare tra le tante della Storia dell'umanità.

Alzi la mano chi ha visto il film Tomb Raider (2001): una pellicola mediocre, ma che ha dato la possibilità a milioni di spettatori in tutto il mondo di scoprire la bellezza mozzafiato del sito archeologico di Angkor Wat. Questo straordinario patrimonio dell’umanità, finalista nella selezione delle nuove sette meraviglie del mondo, si trova in Cambogia. Proprio qui si sviluppò la civiltà Khmer, tra le più rinomate e potenti di tutta la storia dell’Indocina, tanto influente nella memoria collettiva locale da ispirare, secoli dopo, il nome del celebre partito comunista cambogiano, gli Khmer Rossi. Tornando però agli Khmer originali, i loro esordi sono senz'altro degni di interesse perché riflettono un fenomeno pressoché unico nella storia dell’umanità: si tratta infatti di una storia di stretta cooperazione economica e politica tra due popoli differenti, in grado di plasmare una società tutta nuova.

Partiamo dal principio, anche se in questo caso, come spesso avviene, ci si perde nella leggenda. Agli esordi del II secolo l’Indocina non è certo tra le zone più sviluppate del pianeta. Escluso il Vietnam del nord, già influenzato dall’impero cinese (al tempo il più tecnologicamente e culturalmente avanzato in tutto il globo), il resto della penisola è composta da piccole tribù in lotta tra di loro alla disperata ricerca di un’egemonia che possa portare pace e prosperità nella regione. Chi invece può contare su una società decisamente più avanzata in ogni senso sono i diversi regni indiani che si contendono il Subcontinente, sia sul campo di battaglia che all’interno di un fragile ed affascinante affresco geopolitico. Ebbene è proprio da uno di questi regni che proviene il primo protagonista della nostra storia, Kaundinya I, il primo re degli Khmer. Si tratta di un mercante, appartenente a una classe agiata e di conseguenza acculturata, che necessariamente intesse rapporti diplomatici con diverse tribù indocinesi per trarre il massimo profitto dalle sue spedizioni commerciali. Un giorno, però, dopo essere approdato in Cambogia per mercanteggiare, viene catturato da una tribù locale. La situazione è pericolosa e la spedizione, oltre alla sua vita, è decisamente a rischio. Ma, come si suol dire, quando si chiude una porta si apre un portone ed ecco che la figlia del capotribù, la regina Soma, la seconda protagonista della nostra storia, gli fa la classica "offerta che non si può rifiutare": sposarla e governare assieme a lei la sua tribù, chiamata Khmer. Ovviamente Kaundinya accetta di buon grado (non che avesse alternative). E saranno proprio questa coppia e i loro discendenti coloro che, passo dopo passo, anche grazie alle superiori tecnologie e conoscenze importate dalla patria del nuovo re, riusciranno a portare l’Impero Khmer a raggiungere un’egemonia regionale nei secoli successivi (ne occorreranno comunque ben 7 per realizzare questo ambizioso progetto).
Aldilà della storicità di questi due personaggi, vissuti in un tempo troppo distante da noi e da qualsiasi lascito scritto per poter lasciare testimonianze certe, recenti analisi archeologiche hanno confermato la presenza di tracce di DNA indiano tra le salme dei regnanti di questa dinastia, quindi possiamo dire con relativa certezza che questa storia contiene effettivamente almeno un fondo di verità. Oltretutto ciò non vale solo per gli Khmer, ma anche per molti altri regni indonesiani e indocinesi nei paraggi che, a loro volta, avranno avuto storie assai simili da raccontare.

Oggi, dopo quasi 3 secoli di dominazione globale europea e occidentale fondata su un mercantilismo davvero spinto, sembra ridicolo pensarlo ma, in questo caso, una forma di "colonizzazione soft" da parte degli indiani fu richiesta dalle tribù locali, più che essere imposta da un regno conquistatore. Nell’arco di alcuni secoli la cultura indiana, infatti, si diffuse per tutta l’Indocina e larga parte dell’Indonesia, sincretizzandosi con le tradizioni locali, sempre più destinate a diluirsi in quella che diviene una vera e propria nuova cultura. Una forma di acculturazione davvero estrema e, soprattutto, miracolosamente quasi del tutto scevra di violenza.
Ricapitolando quindi, cosa ci guadagnavano i due soggetti in questione? La risposta è presto detta: le tribù indocinesi ottenevano, oltre alla tecnologia indiana, anche tutto quel network di contatti che i mercanti d’oltremare avevano sviluppato nei secoli precedenti, ribadendo quindi il loro ruolo sul piano internazionale. Gli indiani invece, oltre a diffondere la loro cultura, potevano contare su nuovi avamposti commerciali ben più solidi dei precedenti, che permettevano dunque di aumentare i loro profitti. Inoltre i singoli mercanti divenuti re vedevano anche innalzarsi il loro rango sociale, pur già piuttosto elevato in partenza, raggiungendo il vertice della scala gerarchica.

Abituati a una Storia fatta di guerra e soggiogazione, tendiamo a dimenticarci che alla base dello sviluppo della civiltà umana si trova invece proprio la cooperazione. Tutte le grandi società agricole dell'antichità, dalla Mesopotamia alle pianure del Fiume Giallo, facevano di un forte senso di comunità e partecipazione cooperativa alla società un elemento essenziale del loro modo di vivere, pur in un contesto dove allo stesso tempo occorreva, per garantire un maggiore benessere ai membri della comunità, anche una forma di gerarchizzazione fortemente verticale. Un esempio eclatante sono le tombe degli operai egizi che, costruendo le piramidi, si dicono fieri di aver partecipato alla realizzazione di un’opera di tale importanza per il loro Faraone, simbolo divino del Paese e quindi della comunità stessa. L’immagine che abbiamo di poveri schiavi frustati mentre portano enormi blocchi di pietra potrebbe, in effetti, non essere accurata come pensiamo. E se già il contributo della cooperazione tra uomini e donne appartenenti allo stesso popolo per lo sviluppo della società umana è spesso sottovalutato, ancora di più fatichiamo a registrare e a tenere conto di quei rari casi in cui sono invece diversi popoli a collaborare tra loro, perseguendo pacificamente i propri interessi. Una dimenticanza particolarmente strana, soprattutto nel primo caso, se si pensa che il termine società stesso ci riporta al latino socius, ovvero compagno o alleato, un qualcuno con cui in genere si può facilmente trovare il modo di cooperare in nome di un comune interesse.