Il filosofo Plotino amplia la concezione antica del bello come proporzione delle parti aggiungendo come caratteristica la semplicità. Nel medioevo, un monaco di nome Sugerio di Saint-Denis, si servirà dell'idea di Plotino per rivoluzionare l'arte del suo tempo. Da qui nasce il gotico.
Nell’XII secolo, in pieno medioevo, due monaci appartenenti a due ordini diversi, iniziano una importante disputa, destinata a segnare la via del pensiero artistico dell’epoca, e di quello successivo. I monaci in questione sono Sugerio di Saint-Denis e Bernardo di Chiaravalle, abati francesi di cui il primo appartenente all'ordine cluniacense, il secondo a quello cistercense. Il monachesimo è un movimento nato nel III secolo in Medio Oriente come risposta a un’esigenza di distacco dal mondo e di redenzione attraverso l’ascesi e la preghiera. In oriente nasce come movimento individuale, mentre nel IV secolo si diffonde in occidente in un aspetto più collettivo, dove la vita ascetica veniva praticata all’interno dei monasteri con alla guida un abate. Ed è proprio in occidente che si sviluppano questi due grandi ordini importanti sopramenzionati. Uno degli aspetti fondanti del monachesimo alle sue origini era il seguire l'esempio di Gesù Cristo mettendo in pratica i principi evangelici della povertà, della castità e dell'obbedienza.
La disputa a cui abbiamo accennato nasce proprio da una differenza di vedute tra questi due monaci intorno a questo aspetto. La figura di Sugerio di Saint-Denis gioca un ruolo fondamentale in questa rivoluzione. Egli era un monaco francese che aveva cominciato ad introdurre all’interno dei luoghi sacri degli ornamenti di carattere estetico, solitamente d’oro, che irrimediabilmente richiamavano lo sfarzo dai cui lo stesso ordine monastico originariamente voleva allontanarsi. Le motivazioni di questa introduzione non sono di puro carattere estetico, ma nascono da delle profonde riflessioni di carattere filosofico e teologico. Per capire meglio le fondamenta alle quali questa riflessione attinge bisogna fare un salto indietro, dritti al III secolo.
Qui visse un importante filosofo il cui pensiero, spesso poco studiato, ha influito molto in epoca medievale e anche in seguito: Plotino. Questo pensatore si fa carico di una importante rivoluzione del concetto di bello, che si discosta leggermente da come la bellezza veniva concepita in epoca antica.
Fin dagli inizi, da Pitagora ad Aristotele, era definito bello ciò le cui parti erano disposte in maniera proporzionata. La proporzione delle parti ha da sempre garantito un’auspicabile definizione di questo concetto. Tutta l’arte antica è stata strutturata e costruita seguendo questa idea di bellezza. I pitagorici la descrivevano come un rapporto proporzionale e numerico tra le parti. Platone nella sua opera il Filebo parla del brutto come di mancanza di misura. Al livello architettonico, un chiaro esempio di quello che stiamo dicendo è l’opistodomo, un elemento inserito nel tempio greco la cui funzionalità era puramente estetica; fu inserito per ragioni di simmetria, contrapposto al pronao.
A questa concezione dominante si affianca la filosofia di Plotino. Egli nega che la proporzione sia l’unico fondamento del bello. Poiché esistono cose belle nella loro semplicità, la proporzione perde il suo ruolo esclusivo. Nelle Enneadi, l’opera più importante del filosofo, si esprime l’idea che la bellezza abbia a che fare con la semplicità. Ciò che è semplice è unitario, e questa unitarietà ha a che fare con il pensiero dell’uno e dell’emanazionismo, idee cardine della filosofia plotiniana. La sua filosofia pone una distinzione di tre principi metafisici che corrispondono a tre diversi gradi di unità. Al vertice di tutto si trova 1) l’Uno (hen) che è il principio assoluto e semplice, superiore all’essere e al pensiero. Da esso si genera 2) L’intelletto (nous) o l’Essere, che non è solo “uno”, ma “uno-molti”. Da esso poi si genera 3) l’Anima (psyché), il principio più basso e molteplice della gerarchia, che Plotino chiama “uno e molti”.
Il mondo (l’Essere) non può essere il principio primo di ogni cosa, poiché il principio deve essere diverso da ciò che genera; allora sopra tutto deve esserci qualcosa che non è niente e dalla quale si genera tutto: l’Uno. Quest’ultimo è la soppressione del molteplice e allo stesso tempo “potenza di tutte le cose”. Le analogie della propagazione della luce e della diffusione del calore del fuoco sono richiamate da Plotino a fini illustrativi per la sua dottrina. Il ruolo fondamentale dell’uno (semplicità e unicità) e del molteplice (armonia della composizione delle parti) giocano un ruolo importante nell'avallamento alla teoria estetica di cui stiamo parlando. Uno come qualcosa di non articolato: come la semplicità dell’oro e del sole. Un'altra parola importante che viene citata è splendore: il risplendere di una cosa che non coincide con le proporzioni, ma è il darsi di un’unitarietà. Plotino non rifiuta, ma integra la grande teoria estetica.
Questa concezione che spunta come una novità nel panorama del pensiero viene custodita e tramandata nel medioevo dalla figura dello Pseudo-Dionigi: in due sue opere, De coelesti hierarchia e il De ecclesiastica hierarchia, la luce è descritta come la diretta rappresentazione di Dio. Questi trattati permettono la mediazione dell’idea plotiniana di bello nel medioevo, e sono proprio queste le parole dalla quale attinge Sugerio di Saint-Denis per rivoluzionare l’architettura del suo tempo. Egli iniziò nel XII secolo, grazie all’aiuto di un architetto rimasto anonimo, la ristrutturazione della chiesa abbaziale di Saint-Denis, a nord di Parigi, luogo di sepoltura dei re di Francia. Saint-Denis sarà la scintilla splendente di quello stile architettonico di cui tutte le chiese europee ben presto arderanno immensamente: il gotico.
La luce ha una tale importanza in Plotino da rinominare la sua filosofia "metafisica della luce". Plotino parla dell’uno e della sua semplicità avendo come riferimento principale proprio la luce. La luce fa risplendere la bellezza delle cose, e questo incide fortemente sull’arte gotica come stile architettonico: la luce filtrata dalle vetrate colorate rimanda ad una dimensione spirituale. Essa doveva irradiare l’interno della chiesa, eliminando quella penombra caratterizzante le chiese costruite secondo lo stile utilizzato precedentemente: il romanico. In questa rivoluzione mura massicce lasceranno il posto ad ampie vetrate. Lo scopo dell’abate era quello di unificare tutti gli elementi interni della chiesa attraverso la luce.
Nello stile romanico erano centrali il muro portante e spesso, le colonne massicce e gli archi a tutto sesto. Questo tipo di arco è il più noto, e il suo modello è semicircolare e la sua denominazione viene da sextus, il nome latino del compasso. Le murature come abbiamo detto venivano realizzate in maniera corpulenta con aperture laterali relativamente piccole. Se i muri sono portanti non si possono costruire grandi finestre. In questo modo la luce faceva molta fatica ad imporsi in maniera prorompente nell'edificio così da richiamare quella suggestione auspicata da Sugerio. L'edificio risulta pesante e imponente e lo stile sobrio.
Per rendere possibile questa evoluzione diventano necessari dei cambiamenti strutturali rispetto al vecchio stile romanico. La soluzione adottata nello stile gotico è introdurre nuovi elementi architettonici per garantire questo presupposto: l’arco rampante e il contrafforte nascono come soluzione. Essi contribuirono alla smaterializzazione e alla riverberazione spaziale dell'edificio. L’altro obiettivo viene raggiunto grazie all’arco a sesto acuto, ovvero di slanciare la figura in alto e dare modo di scaricare il peso direttamente su di esso, che era più resistente di quello a tutto sesto. L'evidente tensione dell'immagine verso il cielo è un chiaro riferimento all'aspetto divino il cui scopo è riversato. Questa spiccata verticalità era garantita proprio da questo cambiamento che posava le basi sulla riduzione della struttura al suo scheletro progettuale.
In queste chiese viene comunque mantenuta l’idea di simmetria, garantendo quel dualismo proporzione/splendore di cui parlavamo. Sugerio in questo modo giustifica il fine puramente ornamentale degli oggetti e degli elementi architettonici poiché rimandano a quello splendore plotiniano auspicato: la bellezza della luce nella sua semplicità. Alla fine Sugerio non fece altro che garantire, innalzare e valorizzare, con l'aiuto di Plotino e dello Pseudo-Dionigi, una delle cose che Dio creò per prime secondo la narrazione biblica del Genesi(1,3): "Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu".
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