L'arte possiede una capacità che poche altre cose hanno nella nostra vita di tutti i giorni. Un oggetto, infatti, diventa artistico quando è in grado di indurci a riflettere su noi stessi, per permetterci di vivere al meglio un'esistenza già abbastanza contorta così com'è.
Dal momento in cui identifichiamo l'opera artistica come forma di mediazione, essa assume un ruolo centrale nelle nostre vite. L’arte è caratterizzata da una struttura molto particolare: appare prodotta dalla realtà e, allo stesso tempo, da noi stessi. Prendiamo, ad esempio, un preludio composto da Chopin: se da un lato sappiamo che questo è stato realizzato materialmente, utilizzando un pianoforte ed un foglio pentagrammato, dall’altro siamo consapevoli che esso sia anche il prodotto della mente dell’artista, che ne coinvolge le emozioni e le conoscenze pregresse, oltre a molto altro. L’arte dunque, grazie alla sua duplice formazione, ci permette di rivolgere uno sguardo al nostro mondo interiore, offrendoci gli strumenti per riscoprire quella realtà dotata di molteplici sfaccettature e in perenne evoluzione, che è la nostra identità.
Nel presentare l’azione di negoziazione che l’arte compie, è immediato notare la somiglianza che esiste tra il modo in cui l’oggetto artistico disvela il nostro essere e l’attività di uno psicoterapeuta. Quest'ultimo soddisfa il bisogno del paziente di conoscere i processi mentali che lo guidano nelle scelte e di capire le emozioni che lo tormentano e ne rendono la vita difficile. Il ruolo dello psicoterapeuta è dunque molto simile a quello che può assumere la mediazione artistica nella riscoperta di sé. Non è un caso, dunque, che l’atto creativo sia stato sfruttato da una disciplina come quella delle Arti Terapie, che utilizza l’arte come forma di supporto alla psicoterapia.
Le arti terapie hanno preso forma in un processo molto lungo. Esse esistono da molto tempo e, benché inizialmente non fossero riconosciute come professioni, possedevano un ruolo ancillare nel sistema psicoterapeutico e sanitario. Sebbene in Italia non siano ancora riconosciute come professioni dal sistema giuridico, per esempio negli Stati Uniti esistono dei masters universitari che abilitano all’esercizio della professione. Infatti una peculiarità dell’opera d’arte è quella di possedere una capacità molto potente di conforto per malati fisici e psichici. Numerosi sono stati gli artisti che negli anni hanno fornito il loro ausilio in ospedali e strutture psichiatriche; possiamo riscontrare questo fenomeno ancora oggi. E' di questo tipo il lavoro di figure come quella del musicoterapeuta, particolarmente attive in ambito sanitario con il compito di alleviare il decorso di varie forme di malattia. Il termine ‘arte terapia’ è nato nel 1942 in ambito medico, per indicare il sostegno fornito dall’azione artistica ai malati in via di convalescenza. Il medico o psicoterapeuta si avvale, difatti , di varie forme di espressione artistica per permettere al paziente di rivelare i propri stati interiori. L'azione artistica è resa così uno strumento di comunicazione alternativo ad uno scambio col paziente altrimenti reso impossibile dalla malattia.
È di fondamentale importanza che non dimentichiamo che l’arte nella sua essenza è comunicazione. Le persone che necessitano di sviluppare una comunicazione con lo psicoterapeuta o con il medico, possono così ricorrere all’espressione artistica per trasmettere le proprie emozioni in un modo alternativo alla comunicazione tradizionale. Allo stesso modo l’artista stesso può sfruttare l’azione artistica per regolare le proprie emozioni, per riversare nella sua canzone, o nel suo libro, il turbamento di una situazione tragica in cui si è trovato. La figura del pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944) risulta particolarmente rappresentativa in questo senso. L'artista, infatti, nei suoi dipinti ha saputo rappresentare la profonda sofferenza dovuta alla perdita della sorella maggiore per tubercolosi (“La bambina malata” 1885), e le nevrosi che appesantivano una vita piena di alti e bassi (“Malinconia” 1892, “L’Urlo” 1893). L’espressività che l'arte possiede assume pertanto un ruolo centrale nell’elaborazione delle emozioni come la tristezza legata al lutto, poiché sfruttare l’arte come forma di autocoscienza permette di trasformare un oggetto materiale in una fonte da cui trarre delle conclusioni sullo stato d’animo di colui che l’ha prodotto.
Il termine che è stato coniato per identificare la capacità di gestire le nostre emozioni è quello di ‘intelligenza emotiva’, sviluppato da Salovay e Mayer nel 1990. Si tratta di un concetto molto ampio. Esso racchiude una serie di competenze che il soggetto dovrebbe possedere per raggiungere la capacità di regolare le proprie emozioni. I campi in cui tale abilità emotiva si applica sono soprattutto di due tipi: sociale e personale. L’intelligenza emotiva nell’ambito sociale, è la capacità di comprendere gli altri e di sapersi orientare nelle relazioni sociali, sia a due, sia in gruppo. Le abilità emotive sotto il profilo personale, invece, consistono innanzitutto nella conoscenza delle proprie emozioni, cioè nel raggiungimento dell'autoconsapevolezza del sé da parte del soggetto, e nella capacità di regolare tali emozioni. Un soggetto in balia delle proprie emozioni si dice vittima del ‘sequestro emotivo’, il quale si manifesta con una reazione emotiva sproporzionata. Individuare le emozioni significa, quindi, saperle controllare, e questo permette al soggetto che ne è in grado, di sapersi muovere senza problemi nella società, ma soprattutto di vivere meglio.
Lo studio delle emozioni e delle loro caratteristiche sta alla base, dunque, delle operazioni delle Arti Terapie. Numerosi sono stati gli apporti di psicologi e sociologi alla materia. Particolarmente utile risulta l’attività del musicologo canadese David Huron, il quale ha fornito una definizione teorica delle ‘micro emotions’ a partire da un confronto con le ‘strong emotions’. Il ricercatore nota che quest'ultime vengono maggiormente studiate in quanto emozioni come la gioia, la paura, la tristezza sono più facili da analizzare, poiché sono accompagnate da grandi cambiamenti metabolici; i sottili cambiamenti di emozione, le ‘micro emotions’, invece, sono meno accessibili e, dunque, più difficili da indagare. Tuttavia, le ‘micro emotions’ sono particolarmente importanti nelle Arti Terapie, dal momento che costituiscono un percorso graduale di apprendimento del sé in tutte le sue più piccole parti. Ad esempio, la musica è un mezzo che sfrutta ampiamente le ‘micro emotions’, poiché l’ascoltatore vive un’esperienza emotiva ricca di sensazioni sfumate e mutevoli, un cammino che fa leva sulla riscoperta delle nostre più piccole passioni. Un discorso che si affianca a quello di David Huron, con l’obiettivo di mostrare un altro aspetto delle emozioni, è quello presentato dallo psichiatra Ignacio Matte Blanco, il quale si è soffermato sul concetto di ‘big emotions’. Matte Blanco considera l’emozione come un'esperienza infinita, perché come tutto, anche le emozioni sono immerse in quella totalità informe che è l’esperienza umana: caos che sta a noi cercare di analizzare.
Il compito di conoscere una materia così vasta come l’esperienza umana è sicuramente un compito arduo e lungo, ma in questo processo possiamo sempre essere aiutati dalla mediazione dell’arte. Ripercorrere la storia della produzione artistica significa, pertanto, osservare noi stessi, auto-analizzarci allo stesso modo in cui lo psicoterapeuta, guardando gli schizzi di un malato di schizofrenia ne ritrova i processi mentali, sepolti in un inconscio tormentato.
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