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Le Industrie Culturali Creative. Sfide e approcci nel panorama bolognese

Ripartire dalla città, dai luoghi e dagli spazi, per riflettere sulle relazioni sociali e di potere di una comunità; tutto questo, agendo con gli strumenti dell’arte e della cultura, come le industrie culturali creative insegnano. E infine una proposta per partecipare concretamente al cambiamento.

Immaginiamo uno spazio abbandonato. Un edificio in disuso da tempo, in ristrutturazione perenne, relegato in un angolo di città, dove forse con la sua presenza suscita un sentimento di paura. 

Immaginiamo quindi di rendere agibile tale spazio, di ottenere i permessi necessari per il suo utilizzo e di trovarci nella condizione di ipotizzarne una destinazione nuova, innovativa, a portata di mano delle collettività locali. 

Immaginiamo ora di rivitalizzare questo spazio con l’arte, la cultura, la creazione. Questo luogo, già esistente ma non sfruttato, si rivela a poco a poco essere un accumulo di potenziale trasformativo che si riverbera sempre più lontano, coinvolgendo nella sua aura l’intero quartiere, l’intera città e l’intera provincia in cui si colloca. 

Tutta questa immaginazione, infine, può tramutarsi in una nuova forma di realtà. Non solo nella teoria, ma soprattutto nella pratica, le attività e i progetti compresi nella definizione di industrie creative culturali nascono proprio con lo scopo di rivitalizzare la cultura - o, per meglio dire, attivare con strumenti contemporanei proprio quel potenziale creativo inesplorato. 

Ma procediamo con ordine, un passo alla volta. Le industrie culturali creative, riconoscibili dall’acronimo ICC, raggruppano una serie di attività che hanno a che fare con la produzione delle arti visive e performative. Non solo: questa dicitura comprende anche le imprese sviluppatesi attorno a pratiche artistiche manuali più tradizionali, come la moda, l’artigianato e il design. L’etichetta del “made in Italy”, valore aggiunto e sintomo di un’accresciuta competitività commerciale, rende sempre più appetibili queste realtà, destinate ad espandersi su scala più ampia e globale. L’ancoraggio al territorio, infatti, è il punto di forza e il vanto di queste aziende, radicate nelle dinamiche più strutturali delle regioni italiane. Il tentativo di creare una rete, presupposto di una mappatura completa, consente di rinsaldare i rapporti alla base di un mutuo sostegno, che acquisisce un’ulteriore qualifica grazie all’interdisciplinarietà e all’apertura all’innovazione digitale. Un valore estetico, coniugato alla produzione di un valore economico e simbolico, a vantaggio della preservazione del patrimonio culturale e dell’identità tradizionale del territorio. [1]

Il corso di Imprenditorialità Creativa, messo in atto con la partnership dell’Unione Europea, definisce le industrie creative come “quelle industrie che hanno le loro origini nel talento, nella creatività e nella maestria di quegli individui che hanno il potenziale per creare posti di lavoro e benessere attraverso la produzione e lo sfruttamento delle proprietà intellettuali.” [2] Le caratteristiche che accomunano le piccole e medie imprese che afferiscono al settore culturale sono, in primis, la dimensione spaziale a carattere regionale e il ruolo preponderante del capitale umano, esplicato attraverso la relazione stretta e umana tra i dipendenti, i clienti e i fornitori. Non sempre queste piccole aziende sono localizzate in spazi rurali: talvolta esse sono situate in ambienti urbani, dove la figura dell’imprenditore o dell’imprenditrice creativa si costituisce all’interno di sfaccettature inesplorate del mercato economico, al fine di sviluppare la loro creatività attraverso il lavoro prodotto. La Commissione Europea  designa queste attività anche con il titolo di Settori Culturali e Creativi: tale definizione, alla base del programma Europa Creativa, mira a creare una sinergia sempre più stretta per coordinare meglio l’azione, non solo dal punto di vista logistico, ma soprattutto da quello dei finanziamenti, delle politiche culturali, degli obiettivi e dei bilanci. Il programma, della durata di sei anni e la cui fine si prospetta per il 2027, mira principalmente a sviluppare le competenze delle attrici e degli attori che operano nel settore culturale, rafforzando la loro indipendenza e la loro spinta alla professionalizzazione e alla successiva esportazione. In concreto, questo significa che in relazione al patrimonio culturale l’Unione Europea si propone di agire nel rispetto dei cinque punti fondamentali fissati, ossia l’inclusività, la sostenibilità, la resilienza, l’innovazione e la collaborazione. Cinque parole forse astratte, ma che proiettano la cultura in una dimensione sempre meno teorica e più dinamica, pratica, all’altezza dei tempi e dei cambiamenti. 

Ma torniamo a noi, passiamo da un’ottica europea a una più locale. La regione Emilia-Romagna, infatti, prende molto sul serio il rilancio del territorio, adibendo numerosi finanziamenti al settore delle industrie culturali e creative. Basta svolgere una semplice ricerca online per visualizzare tutti i bandi aperti in questo settore, dedicati sia alla formazione di specialisti e specialiste del mondo creativo, sia allo sviluppo di start up in ambito storico, artistico, digitale e tecnologico. Particolarmente dopo l’epidemia di Covid-19 del 2020, infatti, il tema della digitalizzazione nel campo delle industrie culturali creative è diventato sempre più urgente e pregnante: se la fruizione digitale dei contenuti culturali è ormai un’esigenza dalla quale non si può prescindere, allo stesso tempo essa pone problemi in fatto di contatto diretto con i differenti pubblici. Attenzione, pubblici, e non pubblico. Tale molteplicità, infatti, nonostante le difficoltà con le quali viene coinvolta, si rivela un vantaggio a discapito delle poche élites culturali che normalmente sarebbero le sole in grado di fruirne i contenuti, poco accessibili in termini di tempo, investimento economico e localizzazione geografica. Le complessità del discorso in gioco, le numerose stratificazioni dei piani, dei pro e dei contro, rivelano una perturbazione dei modelli culturali validi fino a questo momento, un turbamento nato dalla rivalutazione delle tecnologie come strumenti di amplificazione della quantità e della qualità dell’offerta, delle competenze dei lavoratori e delle lavoratrici, e delle piattaforme di fruizione. Le ricerche sul digitale, che coinvolgono le strategie messe in atto dalle politiche pubbliche avvalendosi di modelli economici alternativi e sostenibili, dimostrano come sia la produzione sia la ricezione della cultura subiscano un cambiamento non solo a livello delle strutture più contemporanee e sperimentali, ma anche delle istituzioni più storiche e radicate.

«Senza voler fare una revisione dei numerosi lavori scientifici sulle politiche culturali italiane e mantenendo la digitalizzazione delle ICC al centro della riflessione, si vuole mettere in luce come già prima della pandemia sia stato esplicitato che le politiche italiane dovrebbero favorire tre dimensioni trasversali determinanti per lo sviluppo, la sostenibilità e l’innovazione del settore culturale e creativo: a) luoghi e spazi della cultura e della creatività, intesi come infrastrutture, non solo territoriali ma anche digitali; b) distribuzione dei prodotti culturali e creativi, anche alla luce delle innovazioni tecnologiche; c) intersettorialità delle politiche che abbracci la creatività giovanile, la partecipazione culturale, il turismo, lo sviluppo economico, la formazione e le tecnologie informative e comunicative.» [3]

immagine tratta dal sito https://www.agomodena.it/it/ago-diventa/il-cantiere/

Scorrendo la lista dei bandi aperti dalla Regione Emilia-Romagna nel settore delle industrie culturali creative, saltano agli occhi tre proposte concrete già avviate o in fase preparatoria che rilanciano l’idea di cultura, svincolandola dall’ormai stantia preservazione statica del patrimonio culturale già presente. “AGO Modena Fabbriche Culturali: da ex ospedale a grande polo culturale”, recita il sito Internet della struttura modenese. “Distretto urbano multifunzionale di Bologna”, annuncia la prima pagina del DumBO. “Laboratorio Urbano Aperto” è il titolo del Piano per l’Innovazione Urbana messo in piedi dal Comune del medesimo capoluogo. Si moltiplicano sempre di più  le proposte di rigenerazione del tessuto territoriale attraverso la creazione di poli culturali che fungono da collante e da hub di idee messi a disposizione degli e delle abitanti. Tutto ciò per dare spazio, metaforicamente e letteralmente, alla “rigenerazione creativa condivisa”. [4]

Scendendo nei dettagli, l’ex-Ospedale Sant’Agostino costruito a metà del Settecento nelle zone modenesi come luogo di ricovero degli infermi, e successivamente dedicato al Teatro Anatomico, è stato recentemente restaurato e ampliato, diventando la sede adatta ad accogliere la Fondazione Modena Arti Visive, i Musei Scientifici Universitari, il FEM - Future Education Modena - e il Centro interdipartimentale di Ricerca sulle Digital Humanities - DhMoRe. Un’enorme struttura, dunque, già esistente e priva di scopo, che si presta ad aprirsi alla contemporaneità; il progetto, volto principalmente all’integrazione del digitale e di ampiezza nazionale, consiste in un intervento di recupero temporaneo del Complesso Sant’Agostino, la piazza Sant’Agostino, il Palazzo dei Musei e l’ex Ospedale Estense. Prima ancora di installare al suo interno laboratori, sale di coworking, centri di ristoro e spazi espositivi, il progetto architettonico di riqualificazione mira a ripristinare l’antico edificio attraverso una concezione più organica, in un’ottica di estensione della temporalità che ben completa la transitorietà dei laboratori e delle esposizioni. 

La disciplina identificata dagli esperti come  «urbanistica transitoria» mette in luce proprio gli interventi puntuali di rigenerazione effettuati nelle zone urbane e rurali, destinati tuttavia ad esaurirsi e risolversi in tempi effimeri della durata di qualche mese, o di qualche anno. Tutti questi progetti, dunque, hanno una scadenza limitata: questo perché i proprietari immobiliari, in attesa dei grandi lavori di restauro della struttura, decidono di affidare la gestione della superficie alle associazioni e cooperative culturali in grado di metterli a disposizione di artisti o di coloro che lavorano nel campo culturale. Per qualche anno, dunque, queste realtà condivise, dove le idee e le innovazioni si sviluppano in sinergia, prolificano e si espandono, fino al termine prestabilito. Il problema, però, è che questo limite non viene definito fin dal principio, ma aumenta di mese in mese, impedendo di fatto la programmazione su un lungo termine e la possibilità di generare un impatto reale sul territorio. 

Proprio questo impatto, infatti, è l’obiettivo ultimo ricercato. Investire in tali luoghi alternativi, proprio per questo motivo chiamati terzi luoghi, significa credere fermamente nell’importanza che lo spazio ha nell’organizzazione cittadina, e nel ruolo chiave che esso gioca nella costruzione di una società più giusta, aperta e inclusiva. È così che la metodologia seguita da coloro che lavorano nel settore delle industrie culturali creative integra all’iniziale stesura degli obiettivi le modalità di valutazione dell’impatto, per non rimanere in un dominio astratto ma comprendere con chiarezza i punti di forza, nonché i risvolti sociali e politici che il progetto ha sull’intera cittadinanza. Ripartire dalla città, dai luoghi e dagli spazi, per riflettere sulle relazioni sociali e di potere di una comunità; tutto questo, agendo con gli strumenti dell’arte e della cultura, come le industrie culturali creative insegnano. Prendersi cura dei luoghi in cui si radicano le relazioni di prossimità significa seminare i germogli di un avvenire sempre più giusto e aperto, dove i valori della cultura giocano un ruolo chiave nella crescita consapevole di ogni cittadina e cittadino.

Nel panorama dell’Unione Europea, la Francia è il paese dove questa disciplina ibrida tra la progettazione culturale e l’urbanistica ha avuto più successo, soprattutto negli ultimi anni. Strutture e imprese specializzate nel recupero temporaneo degli spazi sono costantemente in contatto con le istituzioni cittadine, con i proprietari e con i locatori sociali al fine di mettere a disposizione alla comunità questi centri, le cui sale sono affittabili a modico prezzo da tutti coloro che desiderano far parte di questo ambiente di lavoro collettivo e condiviso. La rete di relazioni, personali e lavorative, che si costituisce tra gli occupanti è il lato positivo più importante di questi spazi, destinata a durare nonostante la temporalità limitata.

immagine tratta dal sito https://dumbospace.it/about-us/

Un esempio di questo tipo, che segue lo stesso fil rouge sempre nel bolognese, è rappresentato dal DumBO, che nei 40.000 metri quadrati periferici nei pressi della Stazione Centrale di Bologna, occupati dell’ex-scalo merci Ravone, organizza attività trasversali a destinazione del territorio. I grandi capannoni, riempiti in occasione di eventi culturali, concerti, o manifestazioni sportive, sono gestiti da differenti partner del Comune di Bologna, come la Fondazione per l’Innovazione Urbana, Legacoop Bologna e Performa Architettura + Urbanistica. Le strutture e gli spazi presenti in quest’area peri-urbana costituiscono un vero e proprio Distretto Urbano Multifunzionale utilizzabile da imprese, istituzioni e associazioni, che collaborano nell’immaginare un futuro alternativo per tali spazi destinati a diverse tipologie di eventi. Anche in questo caso, come negli esempi francesi legati all’urbanistica transitoria, l’area appartenente alle FS Sistemi Urbani, è inizialmente data in cessione per quattro anni; l’accesso in via Casarini 19 è libero per tutta la cittadinanza, e la partecipazione civica è al centro delle decisioni prese dal Comitato Scientifico che si occupa della programmazione e della ripartizione degli spazi, noleggiabili dalle imprese e dalle associazioni in base alle varie esigenze in relazione al territorio. 

Nella stessa ottica di azione, sono 3.000.000 euro le risorse economiche messe a disposizione dal Piano per l’Innovazione Urbana di Bologna al fine di costituire la rete del Laboratorio Urbano Aperto, sviluppatosi tra il 2014 e il 2020, al fine di rivalutare l’attrattività delle città. Il progetto consiste nel «costruire un laboratorio aperto di “ricucitura” dei diversi contenitori culturali tra Palazzo Re Enzo, Sala Borsa, Palazzo D’Accursio e in collegamento con gli spazi appena rinnovati che collegano il Cinema Modernissimo, la ex Galleria d’Accursio» [5]. Una serie di interventi realizzati in collaborazione con l’Agenzia per la Coesione Territoriale e con il Fondi Strutturali e di Investimento Europei per permettere la collaborazione tra istituzioni, politiche culturali, associazioni e imprese nell’ambito di varie questioni relative alla cittadinanza e alla maniera di vivere lo spazio pubblico. La prima edizione di questo Laboratorio Urbano Aperto nasce nell’ottica di rigenerare le risorse già esistenti sul territorio: ripensare i quartieri, privilegiare un’economia di prossimità, tutelare il patrimonio pubblico come occasione di sviluppo della collettività… gli obiettivi del piano esprimono con chiarezza il bisogno di avere delle politiche pubbliche che prendano a cuore i settori culturali creativi, puntando sulla sinergia tra le persone e sulla realizzazione di opere pubbliche a destinazione sociale e plurale. 

Collaborazione, contaminazione, partecipazione: sono queste le parole chiave del funzionamento delle imprese culturali creative, dei termini che assumono concretezza quando vedono presi in considerazione dagli organi decisionali cittadini e territoriali. Gli hackathon di Bologna InnovAttiva, nati dalla convergenza di Sprintaly e Visonary, con la collaborazione di Melainsana, si inseriscono nella stessa dinamica di impatto sociale e di soluzioni inclusive e sostenibili. Il progetto, articolato in cinque fasi, coinvolge giovani tra i 18 e i 35 anni in una riflessione sui temi della digitalizzazione, formazione, informazione, ambiente e salute  mentale. Proprio le industrie culturali creative, dunque, sono il primo stimolo al centro di una giornata di riflessioni destinata a confluire in un manifesto globale open source, realizzato a partire dei concept innovativi emergenti durante le cinque sessioni partecipative. Generare un futuro migliore, alla portata di tutte e di tutti, rispettoso e impegnato: lo scopo ultimo di questi incontri non vuole essere fine a se stesso, ma  il punto di inizio di un movimento di confronto e di dialogo che mira a trasformarsi in un’azione concreta a vantaggio delle città. Applicare le competenze, collaborare per trovare soluzioni ai problemi dell’attualità, interagire con esperti e professionisti e sviluppare le competenze trasversali - le proposte degli hub di InnovaAttiva rappresentano delle sfide non solo per cittadini e cittadine visionarie, ma anche per tutti gli organi tecnici implicati nella presa in carico e nella concretizzazione delle proposte emerse.

 

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Il primo evento della serie di cinque hackathon si terrà il 18 gennaio, presso la Fondazione Ivano Barberini dalle 18 alle 21 e comprenderà una serie di attività progettuali che porteranno i partecipanti a realizzare proposte a impatto sociale per il settore delle Industrie Culturali Creative. Trovi maggior informazioni sui profili Instagram di Melainsana, @visionary.bologna, @sprintaly.it o quelli Linkedin @visionary, @sprintaly. Puoi iscriverti per partecipare al link qui sotto.
Industrie Culturali Creative - Bologna InnovAttiva
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NOTE

[1] https://cris.unibo.it/retrieve/3b9c0f26-6e4f-438d-acf1-9fdab1d9202e/Ganugi%2C%20Paltrinieri%20-%20La%20digitalizzazione%20delle%20ICC.pdf 

[2] https://emiliaromagnatalentieinnovazione.aster.it/industrie-culturali-e-creative#:~:text=Con%20Industrie%20Culturali%20e%20Creative,%2C%20l'industria%20del%20gusto.

[3] https://cris.unibo.it/retrieve/3b9c0f26-6e4f-438d-acf1-9fdab1d9202e/Ganugi%2C%20Paltrinieri%20-%20La%20digitalizzazione%20delle%20ICC.pdf 

[4] https://dumbospace.it/

[5] https://www.comune.bologna.it/pianoinnovazioneurbana/info/laboratorio-urbano-aperto/

BIBLOGRAFIA

https://ec.europa.eu/programmes/erasmus-plus/project-result-content/ac761497-bdf6-40ab-9c56-b0550819a088/IO2_Corso%20dimprenditorialita%20creativa_.pdf

Settori culturali e creativi

https://culture.ec.europa.eu/it/policies/selected-themes/cultural-heritage?

Ago Modena Fabbriche Culturali
Laboratorio Urbano Aperto - Il Piano per l’innovazione urbana di Bologna
Il progetto “Laboratorio urbano aperto” si sviluppa nell’ambito del programma POR FESR 2014-2020 – ASSE 6 – Città attrattive e partecipate che coinvolge le principali città dell’Emilia Romagna. Bologna ha l’obiettivo di costruire un laboratorio aperto di “ricucitura” dei diversi contenitori culturali tra Palazzo Re Enzo, Sala Borsa, Palazzo D’Accursio e in collegamento con gli […]