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Le neuroscienze dell'inganno

Da che mondo è mondo tendiamo a considerare la verità come un bene e la menzogna come un peccato. Ma all’infuori di ogni morale, cosa pensa la scienza delle bugie?

Da tempo immemore le bugie fanno parte della vita degli esseri umani e sono intessute nelle più comuni interazioni sociali. Da altrettanto tempo, le persone di ogni luogo ed epoca hanno cercato di scovare i bugiardi per evitare di essere ingannati e punirli. Infatti, da che mondo è mondo tendiamo a considerare la verità come un bene morale e la menzogna come un peccato da reprimere.

Ma all’infuori di ogni morale, qual è l'opinione della scienza a proposito delle bugie? Per rispondere a questa domanda partiremo per un viaggio attraverso le scienze cognitive e tracceremo le coordinate di questo fenomeno tanto controverso quanto affascinante.

La menzogna può essere definita come una dichiarazione falsa fatta con l'intenzione di ingannare. L'inganno, invece, consiste nel tentativo cosciente, riuscito o non riuscito, di creare nell'altro una credenza che il comunicatore considera falsa. Nonostante il valore positivo dell’onestà nella vita antica e moderna, dagli studi sull'evoluzione emergono prove sullo sviluppo infantile e sulla psicopatologia evolutiva che dimostrano come la capacità di ingannare sia acquisita e trasversale negli esseri umani. Infatti, tali comportamenti seguono uno sviluppo prevedibile nei neonati e sono compromessi tra le persone con specifici disturbi neuroevolutivi, come l'autismo. Pertanto, sembra esserci una tensione tra ciò che è socialmente indesiderabile ma comune (cioè mentire) e ciò che è socialmente encomiabile ma patologico (cioè dire sempre la verità).

Diversi commentatori hanno speculato sullo scopo servito da tali comportamenti. Una visione interessante concepisce l'inganno come un mezzo per stabilire un confine tra sé e l’altro, originariamente tra bambino e genitore, ed ottenere un certo potere. In questo quadro, la tendenza alla ‘menzogna patologica’ deriverebbe da tale bisogno di potere sull'informazione. Altre teorie vedono nella menzogna uno strumento che sfrutta la gestione strategica delle informazioni per facilitare l'interazione sociale (specialmente in contesti di conflitto). Infine, altri studiosi hanno posto l’attenzione sul carattere indubbiamente vantaggioso di un inganno ben riuscito. Difatti, una comunicazione costantemente veritiera sarebbe difficile e piuttosto brutale, denotando a volte la totale assenza di considerazione per gli stati emotivi altrui.

Da un punto di vista prettamente cognitivo, mentire ed ingannare sono attività molto complesse. Esse implicano la messa in atto e padronanza di processi cognitivo-sociali riguardanti i pensieri della vittima e il monitoraggio delle risposte date durante l’interazione. Inoltre, il bugiardo deve necessariamente compiere due imprese simultaneamente: costruire una nuova informazione (la menzogna) e trattenere un elemento fattuale (la verità). Queste sono essenzialmente funzioni di controllo (o esecutive), che emergono in situazioni impreviste, difficili e in cui serve tanta creatività.

Ma andiamo più a fondo, e tocchiamo il centro nevralgico dell’arte dell’inganno: il nostro fantastico cervello. L'architettura neurocognitiva del controllo esecutivo sembra confermare la natura raffinata del mentire. Infatti, sappiamo che i centri superiori, come la corteccia prefrontale, sono essenziali per affrontare problemi nuovi tramite comportamenti adattativi, mentre i sistemi inferiori sono sufficienti per svolgere compiti automatizzati. Da questo punto di vista, la risposta veritiera è considerabile come una forma di reazione ‘di base’, mentre la bugia necessita di uno sforzo aggiuntivo. Le tecniche di neuroimaging (fMRI e PET) per il monitoraggio dell’attività cerebrale in contesti sperimentali di produzione della menzogna sembrano confermare tale architettura. È emerso, infatti, che la generazione di risposte menzognere è associata a una maggiore attività dorsolaterale prefrontale, e che l'inibizione concomitante di risposte veritiere è associata a una maggiore attivazione delle regioni prefrontali ventrali. Inoltre, il tempo di risposta richiesto per mentire è di circa 200 ms più lungo rispetto a quello per dire la verità, riflettendo la necessità di un impegno extra per l’ingannatore.

Queste evidenze neurobiologiche ribadiscono che mentire è prima di tutto un esercizio di controllo comportamentale in contesti di interazione sociale e in presenza di risorse cognitive limitate. Proprio da questa scarsità deriva la difficoltà di ingannare in situazioni ad alto carico cognitivo. La vittima ha dunque la possibilità di cogliere in contropiede il perfido bugiardo. In tali situazioni, infatti, persino abili ingannatori possono tradirsi lasciando trapelare la verità attraverso reazioni inconsapevoli e involontarie. Queste consistono in indizi verbali e non verbali come, per esempio, movimenti corporei rallentati, specifiche espressioni facciali, evidenti stati emozionali, errori logici e pattern linguistici peculiari. Ora, dunque, sapete anche come sorprendere chi sospettate vi stia mentendo: bombardatel* di domande scomode!

Per ora, il nostro piccolo viaggio nelle terre della cognizione finisce qui. Questo articolo naturalmente non si propone di incentivare comportamenti menzogneri. Gli unici scopi sono infatti diffondere consapevolezza circa un fenomeno onnipresente nelle nostre vite e stimolare meraviglia per la straordinaria raffinatezza del cervello e della mente umani.

 

Bibliografia

Spence S. A., The deceptive brain, Journal of the Royal Society of Medicine, 2004

Spence S. A. et al., A cognitive neurobiological account of deception: evidence from functional neuroimaging, Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, 2004

Abe N. et al., Deceiving others: distinct neural responses of the prefrontal cortex and amygdala in simple fabrication and deception with social interactions, Journal of Cognitive Neuroscience, 2007