Uno sguardo alle declinazioni che il tema della guerra subisce nella filmografia di Stanley Kubrick, da molti considerato il più grande regista mai esistito.
Ricordo bene al tempo delle medie i miei compagni insultarsi citando il turpiloquio del sergente maggiore Hartman in Full metal jacket, e un episodio de I Simpson in cui Homer impazzito spacca con un'ascia una porta di legno, parodiando Shining. E, ancora, ricordo il video musicale di On top of the world degli Imagine Dragons: a dirigere il finto sbarco sulla luna, imbronciato, c'era proprio Stanley Kubrick come teoria del complotto vuole. Faccio questi esempi per evidenziare semplicemente il fatto che, direttamente o no, tutti abbiamo avuto a che fare con K., da tempo giustamente considerato uno dei più grandi registi mai esistiti.
Marcello Walter Bruno affermava che la fama di K. era dovuta al suo sguardo che ha sempre ricercato il mai-visto. L’iconoclastia con la quale questo progetto artistico si dipana, in effetti, attesta la volontà da parte del regista di sperimentare non solo col linguaggio, ma anche col genere, portando alla creazione di scene tutt’ora memorabili. Non si tratta solo della riconoscibile estetica delle inquadrature: riprese distaccate e fredde, nelle quali i personaggi sembrano incastonati nelle geometrie dell’ambiente, frutto della maniacale cura con la quale ogni processo produttivo veniva portato a termine; ma anche della volontà di creare una cesura, un prima e un dopo K., nella storia del cinema. Se è possibile in alcuni casi parlare di rivoluzioni puntuali, è giusto considerare anche l’esistenza di contributi che si sviluppano attraverso più film e più declinazioni dello stesso tema o dello stesso genere. Così accade per la guerra che in questo senso ricopre un posto provilegiato. Ed essendo K. figlio del periodo interbellico, ciò non sembra un caso. Tuttavia l'esperienza della guerra di K. è sempre mediata dalla letteratura e dai mezzi di comunicazione di massa (è Ghezzi ad affermare come nella maturazione del distacco narrativo ed estetico di K. abbia avuto un ruolo di primo piano la comunicazione giornalistica). Cinegiornali e cronache forniscono a un americano in patria materiale sufficiente per ricostruire i fatti della guerra, relegandoli però alla dimensione dell'ora-ma-non-qui.
Da questo limbo immaginato esce la storia di Paura e desiderio – esordio di K., ripudiato quasi subito dal regista. Sullo sfondo c’è una guerra solo immaginata: la mente è l’unica terra su cui il campo di battaglia si radica. I protagonisti non hanno patria, combattono solo perché soldati e, in questo destino fatale, non sembrano essere minimamente toccati nemmeno dalla scoperta di avere le sembianze del nemico contro cui devono sferrare l’attacco. Il film in sé non ha nulla di straordinario, ma il primo lungometraggio di K. sembra già fissare la direzione di tutto il percorso che seguirà. Il dualismo paura della morte-desiderio sessuale, la crisi dell'individuo (in particolare del soldato), la sconfitta della ragione sono concetti ricorrenti nel cinema kubrickiano.
Se Paura e desiderio fa vedere la guerra immaginata, Orizzonti di gloria è la guerra vissuta. Omaggiando Ophüls (regista preferito di K.), la trincea è mostrata con crudo realismo attraverso una lunga carrellata all'indietro: il grandangolo distorce lo spazio, chiudendo i soldati in un cerchio, quasi a simboleggiare la trappola dentro la quale si trovano. Contrapposto, il luogo dell'alto castello, da cui gli ordini vengono impartiti, è ripreso con delle carrellate laterali: esse non alterano lo spazio, dando un ironico senso di staticità e sicurezza mentre si vedono i generali decidere le sorti di interi battaglioni.
Bill Krohn legava questi movimenti di macchina alla passione per gli scacchi di K., in effetti ci sono richiami alla dimensione del gioco nel film, come il pavimento a scacchiera della sala del processo. La guerra è vista come un gioco e per vincere è necessario sacrificare qualche pezzo in vista di altro; anche ne Il dottor Stranamore viene dato risalto a questa prospettiva, quando si sente il generale Turgidson parlare di "soli" cinquanta milioni di morti. Tuttavia l'arrivismo del generale Mireau, la presenza dell'eroe Dax e la rappresentazione del massacro dei soldati fanno emergere l'evitabilità di certe mosse più che la loro necessità strategica. D'altronde, come in una fiaba, noi patteggiamo per il soldato perché perenne vittima: sa di non essere essenziale all'azione (nella guerra di posizione è la potenza dell'artiglieria a fare la differenza), ma entrato in quella dimensione, non può che aspettare il momento del ritorno a casa.
Per dare risalto alla vicenda, il film viene privato degli accidenti del racconto bellico (in primis il nemico, che non si fa mai vedere) creando una storia atipica. La guerra sullo sfondo viene infatti intesa come strumento narrativo, alla stregua della fotografia o della sceneggiatura, perché riesce bene a far risaltare l’elemento di ineluttabilità e caoticità presente nel mondo. L’utilizzo modale che K. fa del genere è forse il primo germe del distacco percepibile nei suoi film. Il ribaltamento del rapporto film-narrazione preclude l’irruzione di giudizi e pietismi nel prodotto finale, potendo così dare risalto alla purezza della storia e rendendo ancora più diretto il messaggio che si vuole veicolare.
Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba non stravolge di molto il discorso, ma lo evolve raggiungendo lo stadio dell’accettazione dell’ineluttabile. Non si tratta infatti di un film meno realistico di Orizzonti di gloria: incredibilmente la satira si rivela efficace per parlare dell’olocausto nucleare, in una storia interamente narrata nei luoghi delle decisioni della guerra e non più in quelli della battaglia (il Pentagono dove è convocato lo Stato Maggiore, la base aerea che lancia il comando suicida e l’aereo che porta la bomba) potendo porre in contrasto la cautela dei rigidi protocolli con la galoppante frustrazione della vicenda, sempre più vicina all’inevitabile fine.
La frustrazione è forse l’unico elemento narrativo che si conserva tra il libro di Peter George (Red Allert) e la sceneggiatura che ne è stata tratta (alla fine cos’è la guerra fredda se non un conflitto inattuato?), diventando però poi impotenza. Come accennato sopra, K. lega il pericolo di morte all’istinto sessuale, vedendo i due come lati inscindibili di uno stesso discorso. In effetti è possibile vedere il dittico Orizzonti di gloria-Il dottor Stranamore come un tentativo fallimentare di rappresentare i due ambiti nella loro purezza: per quanto breve, l’apparizione della figura femminile alla fine del primo film fa pensare ad una inosservanza del proposito e fa da ponte col secondo film, che, sempre fallendo, riesce sicuramente meglio nel compito – forse per questo Orizzonti di gloria è comunemente categorizzato come film di guerra, mentre Il dottor Stranamore no.
Si potrebbe giustamente parlare di film della non-fornicazione: per quanto ci provino, nessuno dei protagonisti riesce a completare un rapporto sessuale. Il generale Turgidson (figlio del turgido) viene a sapere del pericolo nucleare poco prima di poter giacere con la propria segretaria; il primo ministro russo Kissoff viene interrotto durante un momento intimo dalla telefonata del presidente Merkin Muffley (merk, pube e muffley, passerina). Ironicamente, il sesso viene anche richiamato di continuo durante il film: dai preservativi messi nel kit d’emergenza dei soldati, ai discorsi di Stranamore sulla necessità di relazioni poligame in tempi di catastrofe. Gli uomini impotenti desiderano la bomba, forse sperando che dall’olocausto nucleare nasca un nuovo periodo di piacere. È famoso il parallelismo esplosione-orgasmo, preceduto dall’immagine dell’erezione nucleare del maggiore King Kong – il primo ad aver imparato a non preoccuparsi e ad amare la bomba – e il ritrovato vigore di Stranamore. Sulle note di We’ll meet again (un invito forse a chiudersi nelle proprie case per concedersi qualche ora di intimità?), la piccola morte occupa lo schermo in una delle sue declinazioni più grandi e cupe, un’immagine che è violenta e precisa contestazione dell’apparenza stessa dell’ineluttabilità; se l’esplosione è cosmica, all’origine di essa vi è ancora l’uomo.
Nel ciclo bellico di K. la figura del soldato non è mai altro che una semplice pedina in balia delle decisioni altrui. Questo suo destino fatale però mancava di una rappresentazione che andasse oltre al macchiettistico o allo stilizzato fino all’uscita di Full Metal Jacket. Nell'inedito luogo del campo di addestramento, il sergente maggiore Hartman avanza e la macchina da presa indietreggia: ai suoi lati, due file di soldati. Come in Orizzonti di gloria la gerarchia militare è il fulcro di tutto il sistema, e le reclute sono già viste alla stregua di prigionieri. La storia di Joker è l'emblema di ciò: dal campo di addestramento fino al fronte, chiamato a dimenticare chi egli sia sotto un elmetto con su scritto born to kill. La divisa dà una nuova identità, il fucile diventa l'unica compagna, il corpo dei Marines la coscienza. L'avviamento è infatti un percorso di perdita di sé, per diventare solo oggetto di deliberazione sottostando alla volontà di chi è sopra. In ciò il soldato Joker sembra essere migliore degli altri: la sua tenacia gli fa tenere testa prima all'ordine di apostasia di Hartman e poi alle ammonizioni del generale a causa della sua spilletta col simbolo della pace. Ancora è un uomo in questa fase ed è perciò fondamentale il pensiero che scrive sul diario "i morti sanno solo una cosa: che è meglio essere vivi".
La morte è negazione di ogni cosa, rende palese l'inutilità di ogni sistema ordinato e per questo dev'essere considerata il vero nemico del soldato. Il soldato Animal, disinteressato a tutto, questo lo ha capito e perciò in un primo momento non ha in simpatia Joker. Lui, passato bruscamente dalle retrovie al fronte, si abbrutirà una volta smesso di provar paura: nell'ultima scena, lo vediamo ormai diventato altro da sé mentre canticchia la Marcia di topolino. La macchina da presa lo riprende con una carrellata laterale – come il generale Mireau nel castello – va sicuro ora Soldato Joker, questo il suo nuovo nome. Il film si chiude sulle note di Paint it, black dei Rolling Stones: K. ci tiene a ribadire quale sia l’imperativo del soldato, del nuovo uomo che si esorta continuamente di non ricordare e di non pensare, ma solo di camminare nella notte.
Ho lasciato volontariamente fuori dal discorso Palla di Lardo: il suo è il percorso inverso non solo del soldato ma dell’essere umano e per questo la sua follia ci appare tanto terrificante. In realtà, in K. non esiste il buono e il cattivo assoluto: Arancia Meccanica insegna che la violenza diventa oggetto di biasimo solo se rappresentata in modo esteticamente disarmonico, attraverso la musica e l’immagine. Allo stesso modo il suicidio di Leonard ci sembra tanto terribile per la recitazione di D’Onofrio, per il tappeto musicale che ci elettrizza e per i tagli di luce quasi espressionisti sui volti dei personaggi. Quel che viene rappresentato è un uomo che decide di morire, di accettare il caos e, soprattutto, di eludere l’ordine dentro il quale era stato precedentemente posto. Leonard col suo gesto crea un precedente che fa vacillare il controllo, una delle cifre fondanti del cinema di K., e rende palese l’esistenza di una via alternativa che, paradossalmente, non mostra alcun percorso (ennesima contraddizione kubrickiana).
Il tema del controllo avrebbe dovuto avere massima rappresentazione nel grande progetto Napoleon, mai portato a termine da K. Questo avrebbe sicuramente fatto da ponte per legare la guerra all’altro grande filone del cinema di K., i film-individui (di cui fanno parte tutti i film che portano nel titolo il nome del protagonista, più 2001: Odissea nello spazio e Arancia Meccanica). Purtroppo, questo discorso totalizzante non può essere portato a termine, e già a parlare di questo ultimo tragico personaggio, sembra quasi necessario fare alcune premesse che trascendono dal tema in sé. Sarebbe possibile rintracciare la guerra in altri film di K., ma sarebbe fuorviante: la guerra qui presa in considerazione è quella che, nell’unitario meccanismo che ogni pellicola di K. rappresenta, sta a fondamento di ogni evento rappresentato nel film.
Bibliografia
M. W. Bruno, Stanley Kubrick, 1999, Grimese editore
B. Krohn, Maestri del cinema - Stanley Kubrick, 2010, Phaidon press limited su licenza dei Cahiers du cinéma
E. Ghezzi, Stanley Kubrick, 2007, Il castoro cinema
Sitografia
Articoli dal numero 70 di Duel dedicato alla scomparsa di Kubrick
Raccolta di articoli all'uscita de Il dottor Stranamore a cura de La cinefilia ritrovata
Articolo di Alberto Libera su Full Metal Jacket
Immagine in copertina presa da CinéSérie
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