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#5 Comunicare: L'incomunicabilità del sentirsi liberi è la cosa più umana che c'è

Ognuno di noi cerca il proprio senso nel mondo, pur non sapendo, finché non lo trova, cosa sia. Così, continuamente in bilico, non riusciamo a comunicare ciò che sentiamo. Da dove partire? Da un 'intorno' fatto di certe cose e non altre, di certe persone e non altre, di certi pensieri e non altri.

Quella di Jelgava 94, film lettone del 2019, è la storia di un ragazzino che si sente fuori dal mondo. In una cittadina dal sapore post-sovietico, appena fuori la capitale Riga, ma quanto basta per vestirsi di un’identità ineffabile e di un muto futuro, Janis si tuffa nell’adolescenza dal trampolino del ceto medio. Una madre premurosa, ma incapace di prenderlo e di valorizzarne le passioni; un padre assente, pur essendo sempre lì, inoffensivo, quasi patetico. Un paese neonato, appena divenuto indipendente, che per la prima volta deve fare i conti con la libertà; una scuola ordinariamente insapore, fatta di ambizioni troppo lontane da essere rincorse e pregiudizi troppo vicini da essere scardinati. Insomma, gli ingredienti per una certa ricetta sono tutti qui. Una ricetta che, immaginerete, vorrà essere un’esplosione di sapore. L'ingrediente segreto? Una ragazza nuova, appena trasferita in città; bella, sicura, autonoma - Kristine. Janis ha trovato il pretesto per piegare quelle sbarre e provare un altro mondo.

Alla radio, la notizia della morte di Kurt Cobain; nei giardini sotto casa, un gruppo di ragazzi emarginati che trovano nella musica metal l’espressione del loro disprezzo e del loro dissenso verso quella società che ogni giorno gli conferma il suo diniego. Timido, taciturno, facilmente inespressivo, Janis combatte la sua strettissima normalità gettandosi - come solo un adolescente può, e cioè in modo lucidamente incosciente - dentro a un contesto così lontano dall’abituale. E contro ogni aspettativa (di chi, in fondo?) diventa ben presto casa.

Non si tratta, qui, tanto di approvazione sociale. Janis non cerca di piacere agli altri, neppure a Kristine. Né di trovare una strada, un futuro, o quantomeno un passatempo. Janis vuole solo una cosa: sentirsi libero. Maledetto dalla sorte come uno di quei soggetti fuori luogo e fuori tempo, Janis sente di essere costretto a un incasellamento che alla lunga lo avrebbe azzerato. Janis sa di essere altro, di avere altro, e sa di non poterlo esprimere: nessuno gli ha dato gli strumenti per farlo. Chissà perché, infatti, non riuscirà mai a comunicare il suo innamoramento a Kristine, né a imparare a suonare la chitarra, per partecipare alla fondazione di una band con i suoi nuovi amici. Semplicemente Janis non lo sa fare. Non ci sono nemici diretti. È una di quelle situazioni in cui la tua stessa persona ti si pone davanti, facendo muro. E quanta repressione vive un individuo che, quel muro che ormai è, vorrebbe spaccarlo in due, a costo di non sopravvivere? Quando a Janis viene vietato di uscire dalla camera, perché la notte prima non era tornato a casa, non c’è molto da pensare: un volo di tre piani, dalla finestra alla terra. La libertà vale più di una gamba rotta. E per tutta la storia sarà questa la lotta silente di Janis con quel che gli era stato affibbiato dal normale andare delle cose.

Cosa siamo, noi? Siamo i prodotti di un 'altro'. Mai, mai di noi. E quando lo scopriamo, capiamo di essere già inseriti in una e mille altre immagini. E se queste immagini non le sentiamo nostre, la trama è fatta: dissidio; disorientamento; disvalore. Poi, quei brevi momenti di rivalsa, quelle insperate reazioni, quei pugni alla cieca, quei passi affrettati verso chissà dove, perché un 'dove' alternativo spesso non c’è. Si cerca una nuova linfa, qualunque essa sia. Se arriva tanto meglio; se non arriva, il tempo passa. Ma, per fortuna, mai, il tempo, è davvero perduto: le coincidenze nella vita ci mostrano il senso della nostra esistenza. Quelle vanno ricercate - o meglio, individuate, non appena ci accadono (prima, sarebbe impossibile, non hanno alcuna necessità). Il bacio di una ragazza, la partenza dei suoi amici verso un altro paese, una birra sulla riva del fiume, dietro il grande palazzo. Quello fu il momento in cui Janis si ritrovò vicino, tanto così, alla libertà. Di quella ricetta, finalmente, sentiva il sapore. E quelle sbarre, per un istante, erano svanite.

Kristina non è stata mai conquistata. E nessuna parola l’avrebbe presa con sé. Un rimorso, sì, ma dolce. La band non è stata mai formata. E nessun concerto o esibizione l’avrebbe resa migliore di quel che è stata. Viveva, perfetta, nella loro mente. Janis ha raggiunto il suo 'piccolo' obiettivo: sapere cosa significa sentirsi liberi. Ecco, cosa significa? Avere un proprio senso, imparare a comunicarlo, trovare l’orecchio giusto che lo ascolti. Soli tre ingredienti. Forse, da adesso, un altro futuro - un futuro diverso - sembra possibile.