Meditazione sul dono
Diverse settimane fa mi trovavo in un locale, ero con gli amici e in tranquillità passavamo una serata insieme. Nella mia totale distrazione vengo riportato alla realtà grazie all'ascolto del memorabile brano di Gloria Gaynor I will survive.
Diverse settimane fa mi trovavo in un locale, ero con gli amici e in tranquillità passavamo una serata insieme. Nella mia totale distrazione vengo riportato alla realtà grazie all'ascolto del memorabile brano di Gloria Gaynor I will survive. Ho a cuore questa canzone per diversi motivi, ma quella sera in particolare mi sono soffermato sui suoi versi e vi ho posto particolare attenzione, in particolare su una frase: I’ve got all my love to give. Queste semplici parole sono il motivo di questa mia riflessione.
Ho ascoltato con diverso orecchio e ho cercato di capire cosa queste parole evocassero: donare e amare. Allora mi sono chiesto cosa significhi dare e come si possa, qualora si possa, dare amore. Quando doniamo, in primis, noi doniamo a noi stessi, il donare è qualche cosa che riguarda noi. Nel donare siamo noi che veniamo persuasi dall’emozione che da esso scaturisce e questo ci fa stare bene. E quando amiamo con tutti noi stessi noi ci regaliamo l’amore, ce lo concediamo, ce lo doniamo. Nel momento in cui ci concediamo la bellezza del dono ci facciamo del bene. Ma dove si trova l’altro se concepiamo il dono come qualcosa che riguarda noi? Non c’è. Non voglio dire che non benefici del nostro dono, ma in questa riflessione passa in secondo piano.
Continuando ad ascoltare la canzone si sentono i versi Weren’t you the one who tried to break me with goodbye? You think I’d crumble? You think I’d lay down and die? Oh no, not I, I will survive. Oh, as long as I know how to love, I know I’ll stay alive. Ma se il donare riguarda noi, cosa succede quando l’altro non ha cura del nostro dono? Donare ci fa esporre delle fragilità ed è importante che il destinatario le sappia accogliere e sappia averne cura. Delle volte, però, può non succedere. È possibile che l’altro ci faccia stare male e che allora perdiamo la capacità di donare, e di donare amore. Molti, dopo tanta sofferenza, si chiudono in sé stessi e ne perdono la capacità; per paura che possano soffrire di nuovo, per paura che al loro amore possa non essere data la giusta considerazione. Ma il donare riguarda noi, e non amare vuol dire non concedersi il dono dell’amore e il piacere che da esso scaturisce. Se riusciamo ad entrare dentro questa visione, allora l’altro non esiste più, ci siamo solo noi, noi e il nostro dare: un atto solipsistico dove il mittente e il ricevente sono la stessa persona, noi.
Ci vengono in aiuto in questo senso le parole del filosofo di Atene Socrate quando nel Gorgia discute con il sofista Polo a proposito del compiere il bene e il male. In modo particolare si parla di cosa sia preferibile, se ricevere o commettere ingiustizia. Cercando di trasporre la questione, adattandola al tema della nostra riflessione potremmo formulare così: è meglio donare amore con la possibilità di soffrire o ricevere amore e poter far soffrire chi ce lo ha donato? Socrate sostiene che la felicità non sia compatibile con l’ingiustizia, essa sta nella giustizia e nel bene. «Infatti io dico che chi è onesto e buono, uomo o donna che sia, è felice, e che chi è ingiusto e malvagio è infelice». Chi opera ingiustamente compie il male e la felicità non può avere legami con il male. È meglio soffrire ingiustizia che farla. Questa concezione è legata alla filosofia platonica delle idee in cui bene e felicità sono ontologicamente legate.
Tornando al nostro discorso ed entrando nella visione socratico-platonica, è più vantaggioso amare e donare amore che riceverlo e non amare. Chi ama è felice perché compie il bene, e nel compierlo ne gode pianamente. Il dono è un regalo che ci concediamo. Nel dono noi stessi siamo giusti e quindi felici, poiché la giustizia è bene e dal bene scaturisce la felicità. Chi compie il male provocandoci dolore è ingiusto e quindi infelice. Ma a prescindere da questo non ci riguarda. Portando l’attenzione su di noi dobbiamo, nel prenderci cura di noi stessi, pensare a quale sia la cosa più conveniente; amare con la paura di soffrire o non amare affatto. Cercando di leggere nelle parole di Socrate, noi dobbiamo amare, perché nell’amare non siamo mai infelici. Nell’amare siamo felici perché compiamo il bene e il bene è felicità. Questo atto riguarda noi e il nostro mondo. Nell’amare riempiamo il nostro mondo d’amore e ne godiamo pianamente e questo ci fa essere felici. Ricevere amore non ci rende felici, a meno che non amiamo già noi per primi. L’essere amati è una gioia conseguente all’amare. Colui che ama è nella gioia, colui che è amato no. Se colui che ama è anch’esso amato può ampliare la sua sfera d’amore, ma non il contrario.
Il dono è un modo con il quale decidiamo di guardare il mondo. E il nostro mondo è come noi doniamo ad esso. E se è vero che «io sono il mio mondo», come sosteneva Wittgenstein, e che «il soggetto non è parte, ma limite del mondo», allora questo riguarda me e nessun altro. Ciò che dono riguarda me e soprattutto l’amore che dono. Dal modo in cui mi relaziono al mio mondo esso si configura e si modella. Forse riesco allora a riuscire a pensare più profondamente le sue parole quando sostiene: «Il mondo del felice è altro da quello dell’infelice». Noi siamo i limiti del nostro mondo e ciò che c’è all’interno riguarda noi ed è in relazione con il solo nostro modo di rapportarci ad esso poiché noi ne segniamo i limiti.
Il dono è una visione del mondo e ne stabilisce il contenuto. Noi diamo, il nostro mondo riceve, e noi, essendo i suoi limiti siamo riempiti da ciò che doniamo. Forse non mi sembra più così strano, dopo tutto, pensare a come Gloria Gaynor sia sopravvissuta e abbia trovato nell’amore che aveva donato la forza per superare le avversità e diventare, forse, più consapevole della vita. La lezione che ho imparato è forse questa: ama, e dona l’amore, sempre, poiché nel dono scopri te stesso, poiché si dona solo ciò che si ha nel cuore. Mentre mi appropinquo a scrivere le mie ultime parole mi riecheggiano nell’orecchio le parole del maestro spirituale Alejandro Jodorowsky: «quello che dai lo dai a te stesso, quello che non dai lo togli a te stesso».
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