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Michela Murgia, la Morgana dei diritti

A lottare per i diritti di tuttə l'instancabile voce di Michela Murgia. Tutto in lei era politico: parità di genere, dissenso politico, famiglia queer, impegno sociale, malattia, spazio di parola. A lasciarci nell'agosto 2023 una grande femminista e intellettuale di sinistra.

Sebbene Michela Murgia abbia superato la soglia che divide vita e morte, fatico ancora a credere che la sua assenza sia reale.

Quando mi è stato proposto di scrivere questo articolo, ho riscontrato diverse difficoltà: se da un lato mi sono sentita onorata di aggiungere la mia firma all’omaggio di una grande donna, dall’altro la difficoltà maggiore risedeva nella mia personale vicinanza intellettuale con lei. Abituata a seguirla quotidianamente, non credevo possibile di dover scrivere di lei al passato.

Ora che lei è mancata mi accorgo di aver parzialmente introiettato il suo approccio: immagino infatti come avrebbe commentato nelle Instagram stories i titoli di giornale circa la narrazione della sua morte e i tweet di cordoglio dei politici italiani.

Da giovedì 10 agosto le maggiori testate giornalistiche nazionali e internazionali stanno dedicando spazio ad articoli sulla precoce morte della scrittrice di sinistra e attivista femminista Michela Murgia. Mentre i quotidiani italiani riassumono la triste notizia così: «È morta la scrittrice Michela Murgia. Aveva 51 anni», all'estero l'accento non cade solamente sull'età anagrafica:

La narrazione che si può fare di una persona passa attraverso delle scelte, e non parlo solamente del registro linguistico adottato. Per una parte di Paese scegliere di presentare Murgia anche, e soprattutto, in funzione del suo posizionamento politico poteva risultare sconveniente. Invece, per raccontare chi era Michela Murgia bisogna partire proprio dal suo orientamento politico: un'intellettuale di sinistra dichiaratamente antifascista. Nella sua ultima intervista, rilasciata al Corriere della sera, viene rimarcata l'incompatibilità politica tra Murgia e il governo Meloni.

«Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista»[1].

Diverse sono state le circostanze in cui la scrittrice sarda ha sentito il dovere di manifestare il proprio dissenso. E forse era proprio attraverso il dissenso che meglio dava fiato alla propria voce. Le sue analisi sulla situazione politica e sociale italiana avevano il merito di far emergere dinamiche implicite e celate ai più per mostrare quanto fossero radicate nei corpi e nelle idee delle persone. Nonostante sia stata vittima di spiacevoli attacchi mediatici, non si è mai lasciata intimidire. Reagire e prendere posizione è stata la sua risposta, una risposta per sé e per lǝ altrǝ. «Fino all'ultimo minuto Michela non ha smesso di essere felice, cioè di scegliere da che parte stare», ricorda l'amico Roberto Saviano al termine del funerale della scrittrice.

In Murgia il dissenso politico si manifesta tramite la parola. Uscire dal silenzio è uno dei messaggi a cui teneva maggiormente. Donna troppe volte zittita da uomini intimoriti da una mente più acuta della loro, rimarcava:

«Non diteci mai più “Stai zitta” quando vi contraddiciamo, perché il silenzio è la condizione degli invisibili. E noi non vogliamo più essere invisibili»[2].

La politica in senso lato è anche lotta femminista: per un’uscita collettiva dal silenzio e un uguale accesso allo spazio pubblico Murgia ha militato giorno dopo giorno.

In Accabadora (2009), romanzo che ha portato Murgia al successo e al premio Campiello, Maria e Tzia Bonaria, legate da un rapporto che prescinde dal sangue, anticipano i principi cardine della sua riflessione. Maria non è infatti figlia biologica della sarta di Soreni, ma figlia d’anima. Questa categoria nasce dall’uso, prettamente sardo, di intrecciare legami genitoriali svincolati dalla parentela biologica.
Emerge così il richiamo autobiografico: Murgia nasce in Sardegna in una famiglia biologica, per poi essere accolta e cresciuta dalla zia, sua seconda madre. Successivamente, trasferitasi a Roma, costruisce la sua famiglia attorno a un gruppo di persone care. Nella vita così come nella teoria, Murgia ha privilegiato le relazioni rispetto ai ruoli familiari tradizionali.

Infatti Murgia ha preferito la forma della famiglia queer — non necessariamente legata da vincoli di sangue, ma basata sull'affetto di più persone — anziché quella nucleare monogamica — coppia monogama, tendenzialmente eterosessuale — non solo come scelta di vita personale, ma soprattutto come atto politico:

«Se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa: un altro modello di relazione, uno in più per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno».

A un mese dalla morte, pur ritenendosi contraria all'attuale istituzione del matrimonio, «strumento così patriarcale e limitato»[3], l'attivista femminista si è sposata civilmente per garantire diritti a se stessa e alla sua famiglia d'elezione.

L’uso della parola come atto politico, in Murgia, ha anche la funzione di rompere i tabù. Negli ultimi anni ho letto molti dei suoi articoli, ho seguito diversi suoi interventi in televisione e ho appreso sui social quanto ogni suo gesto fosse politico. Era politico anche dichiarare pubblicamente il proprio tumore, parlarne senza ricorso al registro bellico (combattere la malattia, vincere la sofferenza, difendersi dal nemico interno) ed esibire un modo più aperto di vivere la vicinanza con la morte:

«Neoplasia significa che c'è una nuova formazione di cellule mie, che non vengono dall'esterno; è un processo del mio corpo. Quando usiamo le parole belliche per descrivere il tumore, [...] si presume che dall'altra parte ci sia un vincitore, ma non è così. Quando muore una persona di cancro, muore con lei anche il suo cancro. Il cancro e la persona sono lo stesso processo di vita. Nessuno vince, e nessuno perde»[4].

La trama della vita[5] di Michela Murgia si può riassumere come una parabola individuale che ambiva a smantellare i margini del patriarcato a favore della collettività. Da sempre in prima linea per la tutela dei diritti di tuttǝ, in particolare quelli delle donne e delle persone LGBT+, sosteneva con impegno che i diritti non limitassero, ma moltiplicassero la libertà. Attraverso la narrazione di donne fuori dagli schemi, che «vogliono piacersi e non compiacere», nel podcast Morgana

«[…] è nascosta silenziosamente una speranza: ogni volta che la società ridefinisce i termini della libertà femminile, arriva una Morgana a spostarli ancora e ancora, finché il confine e l’orizzonte non saranno diventati la stessa cosa»[6].

La scomodità politica e intellettuale, le affermazioni pericolose e controcorrente, le idee progressiste e rivoluzionarie hanno reso Murgia una Morgana (strega del ciclo arturiano): una donna emancipata e femminista, una voce libera e scomoda, una penna schietta e puntuale, una persona poco raccomandabile per il pensiero univoco. La chiave di lettura di questa donna, di ammirevole intelligenza, risiede nelle intenzioni delle sue parole, parole che hanno accompagnato con determinazione il suo impegno politico e sociale.

Diversamente dagli appellativi che la stampa italiana le ha dedicato e conformemente alla sua lotta politica e femminista, il titolo del presente articolo non può che ricordarla, quindi, come «Michela Murgia, la Morgana dei diritti».

P. S.: Lascio a voi Melainsane un piccolo regalo audio.
Qui sotto potrete ascoltare gli applausi che il pubblico bolognese, e la sottoscritta, ha riservato a Michela durante una delle sue ultime apparizioni (dicembre 2022).


L'ultima intervista di Michela Murgia al Corriere ↩︎

cfr. M. Murgia, Stai zitta, Einaudi, 2021. ↩︎

Famiglia queer e matrimonio di Murgia. ↩︎

Intervista di Massimo Gramellini a Michela Murgia ↩︎

Breve biografia di Michela Murgia ↩︎

cfr. M. Murgia, C. Tagliaferri, Morgana. Storie che tua madre non approverebbe, Mondadori, 2019 (libro e podcast disponibile su Spotify). ↩︎

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Bologna, Teatro Arena del Sole, dicembre 2022. Presentazione del libro "God save the queer. Catechismo femminista" (2022). Foto di Gaia Bertotti