L’enigma recita: Se un albero cade in una foresta e nessuno è lì a sentirlo, fa suono? In termini più generali: una cosa accade se nessuno la percepisce accadere? La possibilità dell’esistenza non percepita è un dilemma disarmante, che ci strappa via la più banale delle nostre sicurezze: il mondo.
C'è un famoso enigma filosofico, velatamente disprezzato dagli specialisti per la sua semplicità, che recita più o meno così: Se un albero cade in una foresta e nessuno è presente lì a sentirlo, fa suono?
L’origine di questo esperimento di pensiero viene attribuita a George Berkeley, ma erroneamente, perché il filosofo scozzese del XVIII secolo non lo formula esplicitamente in alcuno dei suoi scritti. C'è tuttavia, nella sua opera fondamentale, un passaggio che, almeno in parte, ne richiama il significato:
«The objects of sense exist only when they are perceived; the trees therefore are in the garden... no longer than while there is somebody by to perceive them» (A Treatise Concerning the Principles of Human Knowledge, 1734. section 45).
Messo in termini generali, il quesito diventa: una cosa del mondo accade se nessuno la percepisce accadere? La possibilità dell’unpeceived existence, dell’esistenza non percepita, è un dilemma disarmante. Ci strappa via anche la più banale delle nostre sicurezze - l’esistenza effettiva del mondo - e lo fa con una cogenza argomentativa che, per quanto banale, risulta spiazzante, inaggirabile.
Su un primo livello di interpretazione, il paradosso fa leva su un problema di linguaggio e, più precisamente, di vaghezza linguistica. Bisogna allora accordarsi sulla definizione di 'suono', che può essere (almeno) duplice. Nel caso in cui 'suono' è: la variazione di pressione che si propaga attraverso la materia sotto forma di onda, allora un albero che cade in una foresta (assumendo che questa sia fatta di materia) senza uno spettatore produce suono. Nel caso in cui, invece, 'suono' è: ciò che tali onde producono nel momento in cui affettano un sistema uditivo, allora l’albero che cade in una foresta senza essere ascoltato non produce suono.
Dal primo caso un realista ne risulterebbe appagato. Del secondo avrebbe sicuramente da ridire. E infatti replicherebbe: se anche il suono dipende da un orecchio, e nel nostro caso il suono non viene a prodursi, qualcosa pur esiste: le onde di pressione nella materia. Tuttavia, se egli si fermasse a questa obiezione, ben vedrebbe che lo stesso problema si ripropone sotto un’altra veste: come sappiamo che le onde si producono? Non possiamo mai effettivamente sapere senza osservare. Anche se ad osservare per noi mettessimo un’apparecchiatura, finché da essa non estraiamo i risultati, quelle informazioni sono del tutto inutili. Un sordo, un cane, un registratore: ognuno di questi enti ha una modalità diversa di percepire un suono. E nondimeno, se non ci fossero, quel suono non avrebbe luogo. Questo è il nostro limite. Ed ecco, nuovamente, il problema generale: come possiamo essere sicuri che esistano fenomeni esterni alla nostra percezione? O, formulato in altri termini: se la percezione non è richiesta perché una cosa esista, cosa altro qualificherebbe quella cosa come esistente?
Potresti dire: se osserviamo quell’albero cadere o no è ininfluente. Quell’albero cadrà ugualmente. Semplicemente non sappiamo che esso l’abbia fatto. Ma se non lo sappiamo, come potremmo mai essere sicuri che l’abbia fatto? E quale sarebbe il significato di 'cadere'? Come lo distingueremmo da 'essere in piedi'?
Un tale ragionamento, lo ammetto, sembra solo una provocazione. Il nostro senso comune ci ammonisce: come puoi credere che il mondo non esista al di fuori del tuo percepire? In fondo, come si dice, siamo granelli di sabbia nello spazio e puntini infinitesimali nel tempo. L’universo ci eccede da ogni parte. Eppure sappiamo questo perché l’abbiamo osservato. Osserviamo le stelle a miliardi di anni luce da noi, e sappiamo che l’universo è più grande del nostro giardino di casa e che sia esistito da un tempo ben più ampio del nostro lifespan.
Così, per quanto controintuitiva, la domanda resta valida. L’albero 'cade' perché, facendo una certa esperienza, diamo a quell’esperienza una definizione (più o meno vaga). O ancora più subdolamente: diciamo che a cadere è un albero perché lo chiamiamo 'albero' - e non 'montagna' o 'ablero'. Immaginiamo di fare esperienza di qualcosa che non abbiamo mai visto prima e che nessuno ci abbia mai raccontato. Avremmo delle parole per definirla? Non in quel momento: dovremmo crearle (vale a dire: costruirle a partire da qualcosa che già sappiamo; non ci è data una creazione ex nihilo). E allo stesso modo per la percezione: se non avessimo fatto quell’esperienza, essa accadrebbe lo stesso? Importerebbe davvero? Non in quel momento. Il quesito allora diventa: è lo stesso dire 'il mondo esiste' e 'il mondo esiste per me'?
Prendiamo il radon, gas nobile radioattivo di origine naturale. A temperatura e pressione standard è inodore, incolore e insapore: in breve, non è percepibile dai nostri sensi. Ma allora come sappiamo che esiste? Come facciamo a rilevarne la presenza? Il radon è il prodotto del decadimento del radio, generato a sua volta dal decadimento dell’uranio. Oggi ne conosciamo gli effetti, e per questo possiamo dire che è radioattivo e dannoso per la nostra salute; ma non collegheremmo tali conseguenze al radon se non avessimo già in qualche modo scoperto la sua esistenza. E, in effetti, nel 1899 Pierre e Marie Curie osservarono che il radio radioattivo emetteva un gas che rimaneva visibile per un mese. Dacché possiamo dire: in alcune condizioni, il radon è rilevabile dall’essere umano.
Dunque, ragionando per assurdo, se esistesse qualcosa che in nessuna condizione si lascia rilevare, esisterebbe davvero?
È irrilevante. Finché un osservatore non osservi quella cosa, non c’è asserzione possibile circa la sua esistenza. Può essere fatta tuttalpiù una congettura: 'credo che quella cosa esista'. Ma basterebbe? Non può essere valido neppure un enunciato di probabilità come il seguente: 'l’albero può cadere o non cadere; se cade, può produrre vibrazioni o non produrle; se non cade, può produrre vibrazioni o non produrle'. Perché non è valido? Perché presuppone la conoscenza di 'albero', di 'vibrazione', di 'cadere', di 'non cadere', di 'produrre vibrazioni'. Da dove ci viene questa conoscenza?
Lascio ancora una volta la domanda aperta. Caro lettore, spero mi perdonerai. Nel momento in cui scrivo queste parole, il mio interrogarmi è lontano dal concludersi. Stiamo ragionando assieme.
Pensa al famoso Gatto di Schrödinger. Ci sono, in una scatola sigillata e opaca, un gatto, una fiaschetta di veleno e una sorgente radioattiva connessa a un contatore Geiger. Un atomo della sorgente radioattiva può decadere. Se il contatore Geiger rileva il decadimento e quindi della radioattività, la fiaschetta viene rotta e il veleno sparso. A contatto col veleno, il gatto muore. Qui il concetto da tenere a mente è quello di possibilità: questo scenario potrebbe succedere o non succedere. Ma, e questo è il punto, finché nessuno guarda nella scatola, non è possibile stabilire che sia avvenuto l’uno o l’altro evento. La 'realtà' è indecidibile finché non osservata. Senza un osservatore, il gatto si dice essere simultaneamente vivo e morto - questa è l’esplicazione del concetto di quantum superposition in meccanica quantistica. E tuttavia, la 'superposizione’ cessa di esserci con il sopraggiungere di un osservatore: nel momento in cui un osservatore guarda all’interno della scatola, esso può vedere o che il gatto è vivo o che il gatto è morto, e non entrambe le condizioni. Cioè, nel momento in cui un tale sistema viene in contatto con qualcosa che gli è esterno, la superposizione collassa in uno dei possibili stati.
Se applichiamo questo ragionamento al nostro albero, diremmo: l’albero può cadere o non cadere e può produrre o non produrre vibrazioni; finché non lo osserviamo, è impossibile definire il suo modo di esistere. Lo stato dell’albero, se non percepito, è indecidibile.
Abraham Pais, fisico teorico, racconta nella prima pagina della sua biografia di Albert Einstein (Subtle is the Lord) la domanda che in una delle passeggiate pomeridiane il famoso scienziato gli chiese: «Credi davvero che la luna esista soltanto se la guardi?» alla quale Pais rispose: «I fisici del ventesimo secolo non ritengono, certamente, di avere la risposta definitiva a questa domanda». Le parole di Pais vogliono rappresentare la visione maggioritaria, ad oggi, in meccanica quantistica, per cui l’esistenza di qualcosa in assenza di un osservatore è al massimo una congettura - una conclusione che non può né essere provata né confutata.
Comments ()