Se la lingua è il principale strumento per comunicare significati, anche l’amore, sentimento profondamente umano, sembra esprimersi attraverso codici e segni. Ma esiste davvero un linguaggio universale per amare?
Quante volte vi è capitato di non riuscire a trovare le parole per esprimere quanto amate una persona? Vi siete mai sforzati così tanto per cercare di formulare verbalmente un sentimento così forte... Per poi rendervi conto che non esistono combinazioni di lettere, in nessuna lingua, che rendano giustizia al vostro affetto? Fortunatamente però le parole non sono l'unico modo di comunicare che abbiamo a disposizione, e anzi, sono spesso quelle meno efficaci e a volte fraintendibili. L'amore, in tutte le sue forme, può essere espresso attraverso tanti linguaggi: verbali e non verbali, volontari e non, più o meno espliciti.
Forse a qualcuno è venuta in mente la teoria dei cinque linguaggi d'amore (The Five Love Languages), sviluppata da Gary Chapman (1938) [1] all'inizio degli anni '90, che negli ultimi anni è diventata molto conosciuta anche grazie ai social. Infatti secondo il consulente matrimoniale statunitense, l'amore "parla lingue diverse", per la precisione ne individua 5:
- Parole di affermazione (words of affirmation) – “Sei bellissima oggi”, “Sono fiero di te”: per chi parla questo linguaggio, le parole contano tantissimo;
- Tempo di qualità (quality time) – Passare tempo insieme, senza distrazioni, fare nuove esperienze, è la cosa più preziosa;
- Dare/Ricevere doni (gift giving/receiving) – Non parliamo di regali costosi, ma di piccoli pensieri che dicono “ti ho pensato”;
- Atti di servizio (acts of service) – Fare qualcosa per l’altro, tipo preparargli la cena o aiutarlo con un compito, è un modo pratico per dire “ti amo”;
- Contatto fisico (physical touch) – Abbracci, carezze, mani intrecciate: per alcuni, il corpo parla più delle parole.
Chapman sostiene che ognuno di noi ha uno o due linguaggi "principali" attraverso cui comunica il proprio affetto, e che capire il nostro (e quello di chi ci vuole bene) può evitare incomprensioni e rafforzare il rapporto.
Questa teoria è diventata molto popolare perché è molto facile da capire e da applicare. Soprattutto, basta fare un semplice test online, gratuito (qui il link se siete curiosi: https://5lovelanguages.com/quizzes/love-language) per capire quale linguaggio usiamo di più. Molte persone dicono che questa consapevolezza ha migliorato le loro relazioni, sia amorose che familiari o amicali.
Sicuramente qualcuno avrà pensato che è un'idea un po' semplicistica, e non è l'unico. Infatti durante gli anni sono state mosse diverse critiche alla teoria:
- La teoria dei cinque linguaggi d’amore non è basata su ricerche scientifiche rigorose. Infatti Chapman ha sviluppato la teoria a partire dalla sua esperienza clinica, non da studi quantitativi con campioni ampi o metodologie controllate.
- Ridurre le modalità d’amore a cinque categorie fisse può essere troppo semplicistico. Le relazioni sono fluide, e le modalità di esprimere affetto possono cambiare col tempo, a seconda del contesto, della cultura e della fase della relazione. Inoltre, le persone spesso usano combinazioni di linguaggi, non solo uno o due “primari”.
- La teoria riflette una visione americana, eterosessuale e cristiana delle relazioni. Chapman è un pastore battista, e il suo approccio parte da una visione tradizionale della coppia (incluso il matrimonio). Alcuni studiosi criticano la poca attenzione alle diversità culturali, di genere o orientamento sessuale. In altre culture, per esempio, il “contatto fisico” può avere significati molto diversi, o non essere socialmente accettato.
- Non basta conoscere il linguaggio dell’altro per risolvere i problemi: ci sono tante dinamiche emotive, familiari o psicologiche che richiedono attenzione più profonda.
Tuttavia, nonostante queste critiche, molti riconoscono alla teoria un grande valore divulgativo: è accessibile, utile come primo passo nella consapevolezza relazionale, e spesso funziona come metafora potente per iniziare un dialogo in coppia [2].
Oltre alla teoria di Chapman esistono diversi altri studi sull'amore e la comunicazione, forse non altrettanto conosciuti, ma sicuramente interessanti. Eccone alcune:
- La teoria dell'attaccamento di John Bowlby (1907-1990) [3], studia come le relazioni affettive infantili influenzano il modo in cui ci relazioniamo da adulti. Sviluppata a partire dagli anni '50, presenta diversi stili di attaccamento (sicuro, ansioso, evitante, disorganizzato), e ognuno di questi "determina" come viviamo la vicinanza emotiva, la dipendenza e la gestione del conflitto. Aiuta a capire perché reagiamo in certi modi nelle relazioni, anche quando sembrano irrazionali. A differenza della teoria di Chapman, considera la storia personale e affettiva di ciascuno.
- La comunicazione nonviolenta (CNV) di Marshall Rosenberg (1934-2015) [4], sviluppata negli anni '60. Secondo lo psicologo statunitense l'amore non si comunica attraverso gesti o regole fisse, ma imparando a riconoscere e condividere i propri bisogni e sentimenti, e ad ascoltare quelli dell'altro senza giudizio. Non si tratta di "parlare la lingua dell'altro", ma di creare un dialogo autentico. Questa teoria mette in primo piano il legame tra emozioni, bisogni e linguaggio, ed è applicabile a ogni tipo di relazione. Tutto questo forse può sembrare semplice, ma in realtà spesso nelle situazioni di conflitto ci dimentichiamo di ascoltarci e ascoltare veramente gli altri.
- La prospettiva sistemica-relazionale [5], un approccio terapeutico e comunicativo che guarda alla relazione come un sistema che funziona secondo regole, ruoli e dinamiche proprie. In questa visione, l'amore è qualcosa che si costruisce nel rapporto. I gesti, i silenzi, le liti, tutto ha un significato nel contesto del "sistema-coppia", vengono messi in luce anche aspetti come il potere, i cicli comunicativi, le influenze familiari e sociali.
Alla fine dei conti, parlare d’amore è un po’ come imparare una lingua straniera: serve ascolto, pazienza e la voglia di mettersi in gioco. La teoria dei “linguaggi dell’amore” di Gary Chapman ha avuto il merito di renderci più consapevoli del fatto che non tutti esprimiamo affetto nello stesso modo. Ma non è l’unica lente possibile.
Altri approcci, dalla comunicazione nonviolenta alla teoria dell’attaccamento, ci aiutano a guardare l’amore non solo come un insieme di gesti o parole, ma come un dialogo profondo, che parte da chi siamo e da come siamo cresciuti.
Insomma, più che trovare il “linguaggio giusto”, forse dovremmo chiederci: sono davvero in ascolto dell’altro? E riesco a esprimere ciò che provo in modo sincero?
Perché l’amore non è fatto solo di regole da imparare a memoria, ma di traduzioni continue, tentativi, silenzi e connessioni che, a volte, non hanno nemmeno bisogno di parole.
Per approfondire:
Chapman, G. (1992). The 5 Love Languages: The Secret of Love That Lasts. Northfield Publishing.
Sito ufficiale di Chapman: https://5lovelanguages.com/ ↩︎https://www.verywellmind.com/can-the-five-love-languages-help-your-relationship-4783538 ↩︎
Bowlby, J. (1988). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento. Raffaello Cortina Editore.
https://www.psicologionline.net/articoli-psicologia/articoli-psicologia-dintorni/i-4-stili-di-attaccamento
Uno dei tanti quiz gratuiti per capire il proprio stile di attaccamento: https://www.attachmentproject.com/attachment-style-quiz/ ↩︎Rosenberg, M. B. (2014) Le parole sono finestre (oppure muri): Introduzione alla comunicazione non violenta (ed. italiana). Esserci Edizioni.
https://it.wikipedia.org/wiki/Comunicazione_nonviolenta ↩︎https://www.stateofmind.it/psicoterapia-sistemico-relazionale/ ↩︎
Comments ()