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Perché ha ancora senso studiare la filosofia

Qual è oggi lo spazio del filosofare, ma soprattutto ad oggi che cosa significa filosofare?

Qual è oggi lo spazio del filosofare, ma soprattutto ad oggi che cosa significa filosofare? Questo verbo ha guidato per secoli molti pensatori che non si interessavano unicamente di filosofia, ma vi congiungevano anche lo studio della matematica e della letteratura. C’è stata un’era in cui la filosofia era una scienza.

Quale filosofia insegnare?

Lo studio della filosofia avviene sempre in uno specifico contesto storico, comunicativo e sociale. Nel caso dell’Italia, a partire dalla riforma di Giovanni Gentile (1923), lo studio della filosofia nella scuola si caratterizza come studio della storia della filosofia.

Studiare la storia è studiare il passato, ma su ciò che questo implica diremo in seguito. Davanti alla progressiva svalutazione della filosofia occorre invece chiederci il come e soprattutto il perché: per rispondere a queste due domande, partiamo da due periodi passati in cui la filosofia si trovò ad affrontare un punto di rottura.

Fede e sapere razionale, la dura lotta tra due punti inconciliabili: Sant’Agostino

Nel 426 d.C. Sant’Agostino dopo aver precedentemente tentato con tutte le forze di conciliare fede e filosofia, scrive le “Ritrattazioni” che come intuiamo dal nome, ritrattano il pensiero precedentemente svolto. In particolare, egli sostiene che religione e filosofia sono inconciliabili, e la grazia che alcuni uomini ricevono è un dono gratuito di Dio, dunque nulla ha a che fare con i meriti che possiamo aver collezionato in vita: nessun uomo si salva da solo. Egli si rammarica:

 “di aver affermato che durante questa nostra vita la felicità alberga solo nell’animo del sapiente” (Ritrattazioni, I, 2)

Per il primo Agostino forte del suo background filosofico, la felicità risiedeva nel bastare a sé stessi: solo chi basta a se stesso non soffre nel momento in cui i suoi averi gli vengono sottratti; chi basta a sé stesso possiede la sapienza. Questo sapere ad appannaggio dei pochi, ha per il secondo Agostino un carattere agre: a che scopo trovare la strada per la felicità se pochi ne possono godere?

PRIMA ROTTURA: 425 d.C. La filosofia propone ideali impossibili

Per Agostino l’ideale del filosofo diviene pura presunzione, egli riesce ad essere tale perché vive una condizione privilegiata, un ideale non solo inutile, ma addirittura deprecabile. Il limite della filosofia non è quello di porre una via accessibile solo a pochi, ma di proporre un ideale impossibile.

Il momento in cui Agostino rifiutò la filosofia fu quando la bannò come pratica. Il teologo aveva capito che quello che interessa l’uomo è il desiderio di essere felice, non tanto la realizzazione di questa felicità, ma la speranza di esserlo. La felicità è un sentimento volatile nella nostra vita di mortali; siamo infelici quando perdiamo cose, persone, opportunità che avevamo o che avremmo potuto avere. Questa condizione in Agostino diventa ontologica, parte del nostro esser uomini. Potremmo uscirne solo quando perderemo la vita terrena mortale e approderemo davanti Dio.

Il decadimento filosofico in Occidente

Dopo Agostino e il sopravvento del pensiero religioso si assiste, in Occidente, ad un rapido rallentamento del pensiero filosofico, dovuto anche alla perdita di conoscenza del greco.

Tra il XI e il XII secolo i carolingi diedero una grande spinta alla ripresa culturale dell’Occidente, senza però riuscire a lasciare grandi tracce nella filosofia, poiché i testi disponibili erano davvero pochi. La filosofia si era quindi ridotta allo studio della dialettica, quella che oggi noi chiameremmo logica. Poi, nel XIII secolo, gli scritti di Aristotele ritornarono dall’Oriente, grazie alle precedenti traduzioni arabe (Avicenna, Averroè, al-Ghazali) e influenzarono la scolastica (scholasticus: studioso/erudito).

Il XIII secolo fu il periodo in cui si formarono gli ordini religiosi mendicanti (domenicani e francescani) e nacquero le prime corporazioni di lavoratori intellettuali (le prime corporazioni erano nate nel XII sec. ma avevano interessato solo le arti e mestieri). Era nata la professione dell’intellettuale: i pochi discepoli che prima avevano seguito con zelo i loro maestri, diventano gli studenti di oggi. Il XIII secolo fu in questo senso un'epoca non buia, bensì luminosa, in cui la filosofia ricominciò ad essere oggetto di insegnamento e discussione. Le scuole monastiche, in particolare, decisero di riutilizzare strumenti logici e filosofici per parlare dell’esistenza di Dio, e questa scelta acquisì un'importanza propedeutica nelle università.

SECONDA ROTTURA: il ’900 e la razionalità economico-politica

Facciamo un enorme salto temporale e approdiamo alla fine del ’900, momento di grandi cambiamenti politici ed economici, in cui nasce il Capitalismo che, sulla falsariga di Marx ed Engels, diviene argomento della filosofia.

Nel 1894 un giovane Max Weber teorizza una metodologia delle scienze politiche, economiche e sociali, individuando nel Capitalismo occidentale il risultato di un processo iniziato con la Rivoluzione Francese, in cui si assistette ad una razionalizzazione progressiva, disincantata, talmente forte e stabile da rischiare di ingabbiarci riducendo la politica a pura tecnica.

Weber constata come molti ambiti dell’agire umano siano caratterizzati da valori fortemente contraddittori, spesso impossibili da conciliare - è quello che lui definisce “politeismo dei valori”. Pensiamo per esempio al concetto di sviluppo sostenibile: in che modo si può continuare uno sviluppo, in un panorama economico che punta sempre alla crescita, che sia nello stesso tempo anche sostenibile?

Weber ritorna anche sul concetto di partito che esercita la congiunzione tra popolo e politica, dividendo tra partiti notabili (ben definiti su un territorio) e quelli di massa (nati dalla frattura tra imprenditori e operai).

Questa è dunque la società che si configura ad inizio ’900; Nietzsche (15 ottobre 1844- 25 agosto 1900) è uno degli ultimi a riflettere sul concetto di uomo, attraverso lo Ubermensch (oltreuomo) e la morte di Dio. Adesso il pensiero filosofico si deve calare nella gabbia per comprenderla; lo stesso Freud indagherà sulla mente umana, ma lo farà studiando le pulsioni, le nevrosi, la mente di quell’uomo in gabbia.

La Filosofia oggi

L’odierno contesto storico ha superato l’ideale del sapiente come colui che non manca di nulla, l’ideale della felicità ultraterrena di Agostino e l’oltre-uomo di Nietzsche; questo per giungere a quanto citato da Weber, ossia la razionalizzazione estrema e pluralità dei valori.

La scuola trasforma la filosofia in storia, e come dicevamo la storia è del passato. Il filosofare diviene antico, inutile se estrapolato dal suo contesto.

Ad oggi abbiamo bisogno più che mai della filosofia, di questa curiosità, amore per ciò che ci circonda che ci faccia uscire dalla gabbia. Serve una storia della filosofia, ma anche uno studio di essa in quanto pratica; ci serve che i pochi filosofi che ancora oggi vengono chiamati nei salotti televisivi raddoppino, triplicano e parlino accanto alla politica. La filosofia deve diventare un movimento militante capace di camminare affianco alla politica consigliandola ma mantenendo la sua estraneità ai giochi di palazzo e lo deve fare con l’etica, la morale, il linguaggio, la teoretica; tutte quelle branche costruite nell’arco dei secoli di cui si parla così poco.

C’è bisogno di un nuovo punto di rottura, del nome di altri filosofi che possano scuotere e segnare un punto di fine, che è sempre anche un punto di inizio nella storia.