In un periodo nel quale le intelligenze artificiali si sviluppano sempre più in fretta e sempre di più ricordano il comportamento umano, viene naturale chiedersi cosa sia un essere umano e quando abbiamo iniziato ad essere tali.
In un periodo nel quale le intelligenze artificiali vengono sviluppate in maniera sempre più veloce e complessa, nel quale ogni giorno avatar virtuali dialogano con noi umani, è naturale chiedersi se un giorno questi insiemi di segnali elettrici e linee di codice potranno raggiungere l’autoconsapevolezza. Ma cosa vuol dire umano? Esiste una definizione universalmente riconosciuta? E quando abbiamo smesso di essere animali e iniziato a definirci “umani”?
Si tratta di una domanda a cui non è semplice rispondere, e che attraversa lo studio dell’evoluzione umana quanto la filosofia. Non è un caso quindi che uno dei più grandi filosofi della storia, Aristotele, abbia cercato e fornito una definizione per secoli ampiamente accettata nel mondo occidentale: l’umano è un animale razionale, il suo corpo materiale non è dissimile da quello degli altri animali, afferma il filosofo, ma è anche dotato di ragione e linguaggio, il che lo rende qualcosa di unico nel mondo naturale. Questa definizione ha convinto più o meno tutti attraverso i secoli, contribuendo ad una visione antropocentrica del mondo nel quale l'umano è superiore a ogni altro organismo.
La visione aristotelica ha retto finché gli studi zoologici sulle diverse specie non si sono fatti via via più approfonditi, soprattutto nell’ultimo secolo. Oggi sappiamo che numerose specie animali, anche molto diverse tra loro, utilizzano linguaggi complessi; popolazioni di cetacei e corvi utilizzano addirittura diverse lingue a seconda dell’area di provenienza. Varie specie di uccelli, roditori e cefalopodi riescono a risolvere enigmi e a elaborare strategie per ottenere cibo o per difendersi, sia in esperimenti in laboratorio che in natura. Insomma, forse quelle proprietà di linguaggio e ragionamento che decantava il greco Aristotele non sono così esclusive di noi umani come credevamo. Eppure, proprio le nostre capacità di comunicazione e ragionamento ci hanno reso la specie che siamo oggi.
Gli antichi Australopithecus, ominidi nostri antenati vissuti in Africa orientale circa 3 milioni di anni fa, condividevano l’habitat con famelici leoni, imponenti proboscidati e veloci antilopi; non erano quindi i più forti o agili animali del circondario, eppure la loro capacità di adattarsi e coordinarsi in gruppo ha trainato la loro sopravvivenza ed evoluzione lungo un arco di tempo di milioni di anni durante i quali queste capacità di sono sviluppate e affinate. Le stesse capacità che portarono i nostri progenitori circa 2,5 milioni di anni fa allo sviluppo di utensili in pietra, all’inizio costituiti da semplici ciottoli con un lato tagliente. Anche l’utilizzo degli strumenti, in tempi relativamente recenti, è stato considerato da alcuni un elemento per definire gli umani, e anche questa si è rivelata più avanti una capacità condivisa anche da altri animali. Alcuni uccelli acquatici utilizzano esche per attirare i pesci in superficie per poi predarli, così come diverse specie di scimmie utilizzano rocce per rompere i gusci delle noci, bastoncini per catturare le formiche e grandi foglie per proteggersi dalla pioggia.
In ogni caso, quello della produzione di strumenti fu un passaggio fondamentale nella nostra evoluzione. Gli utensili permisero infatti agli antichi umani di macellare al meglio le carcasse degli animali (magari cacciate precedentemente da grandi predatori) e di nutrirsi del midollo all’interno delle ossa. La capacità di assumere grandi quantità di calorie, anche grazie alla successiva scoperta del fuoco che permise l'accesso ad una più ampia elaborazione del cibo, fu fondamentale per alimentare e sviluppare l’organo che più di tutti consuma energia all’interno del nostro corpo: il cervello. E proprio lo sviluppo del cervello e del pensiero è considerato da molti quel qualcosa che rese i primi umani tali. Ma la dimensione del cervello non è necessariamente segno di intelligenza; l’enorme cervello di elefanti e delfini, comunque capace di ragionamenti sofisticati, non è considerato al pari del nostro, mentre antiche specie di umani come Homo floresiensis and Homo naledi presentavano capacità craniche modeste, eppure vengono considerati umani a tutti gli effetti. Anche l'autoconsapevolezza, ritenuta abilità esclusivamente umana fino un paio di decenni fa, è in realtà appurato essere presente in una moltitudine di specie, sia di vertebrati che di invertebrati. A dire il vero gli scienziati non sono d’accordo nemmeno sulla definizione di Homo, non c’è infatti un momento esatto o un fossile preciso che segna il passaggio tra gli ominidi non umani e quelli umani.
A tutt'oggi persino gli studi fisiologici e cognitivi sui cervelli di umani attuali non riescono a definire cosa renda il pensiero umano così diverso da quello di altri mammiferi. Quello che ci rende umani è quindi qualcosa di più sottile, dovuto non tanto alle nostre caratteristiche fisiche, né da quelle genetiche, né dalle abilità di ragionamento o linguaggio. Per trovare le prime testimonianze di un qualcosa universalmente riconosciuto come indubbiamente ed esclusivamente (per ora) umano bisogna recarsi nelle caverne di Leang Tedongnge, Indonesia. Sulle pareti delle rocce di queste grotte sono infatti raffigurati alcuni suini dipinti da antichi umani circa 45.000 anni fa; è la prima testimonianza della raffigurazione di un animale. L'arte come rappresentazione di figure esterne è una caratteristica ad oggi esclusivamente umana. Ancora più impressionanti sono le scene di caccia rappresentate nella caverna di Chauvet in Francia, definita la Cappella Sistina della preistoria, che mostrano centinaia di animali che corrono, scalpitano e che combattono.
Non solo questa grotta è una testimonianza delle tecniche artistiche degli umani di 36.000 anni fa, ma dimostra anche la capacità di rappresentare qualcosa che non era visibile dagli artisti in quel momento, l'opera è quindi frutto di un pensiero astratto e di una capacità di rievocare eventi passati e raccontarli ai propri simili e ai posteri, capacità che ad oggi non è nota in nessun altro animale. È impossibile dare una definizione univoca di umano o elencare di questo tutte le sue caratteristiche, tra etiche e morali, ma quella di cui abbiamo testimonianza certa nel mondo antico, forse, è proprio la capacità di raccontare storie. Far vivere esperienze ai propri simili tramite il racconto e tramandarle ai propri discendenti; un' abilità tutta umana di costruire e tenere insieme comunità formate anche da miliardi di Homo sapiens come quelle che oggi abitano la Terra.
Fonti:
Schwartz, J.H. & Tattersall, I. "Defining the genus Homo". Science, 2o15.
de Sousa et al. "From fossils to Mind"; Communications Biology, 2023.
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