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Salone del libro tra corpi e internazionalità

La nostra inviata Sara Bruno ci porta con lei alla venticinquesima edizione del Salone Internazionale del libro di Torino.

Corpi rivendicati o rinnegati; corpi diversi o non conformi;
Corpi di detenuti, corpi maltrattatati.
Corpi che stanno insieme, vengono dal mondo e imparano a parlarsi.

Corpi in fila, soprattutto se si vuole assistere al live di Morgana, con La Murgia e Tagliaferri, o a una lezione di Barbero.

La venticinquesima edizione del Salone Internazionale del libro di Torino, l’ultima con Nicola Lagioia nelle vesti di direttore, si conclude con più di 215.000 visitatori.

Questo numero da record include universitari scapestrati come me, anziani con camicie a quadri e zaini pieni di libri, signore con plichi di prenotazioni stampate in borsa, coppie innamorate, amici in combutta; e poi famiglie con bambini entusiasti, piangenti, annoiati e scuole con studenti in vacanza, curiosi, emozionati; e altrettanta gente del mestiere: dall'editoria al giornalismo, fino all'associazionismo.

Esseri umani che si toccano e si scontrano, che si avvolgono intorno alle parole, ascoltandole con cura.

La fiera ha ospitato più di 200 professionisti internazionali dal mondo dell’editoria, provenienti da più di 40 paesi. Tra i padiglioni e gli stand sono riecheggiate voci diverse, giovani e meno giovani, esordi e veterani. Il programma di quest’edizione, “attraverso lo specchio”, contava 189 pagine fitte, sicché ognuno ha potuto scegliere il “suo” festival.

Io ho finito col sentir parlare di post-colonialismo, femminismo intersezionale, origini e identità, diritti umani, povertà educativa e memoria attiva.

Ubah Cristina Ali Farah, scrittrice e poetessa somala e italiana, Sinan Antoon, autore e letterato iracheno, e Patricia Evangelista, giornalista e documentarista filippina, in un incontro nominato “decolonizzare il racconto del mondo”, hanno ricordato come percepiamo il mondo attraverso le narrazioni che facciamo di esso.

Parole come ‘neutralizzare’, guerra ‘civile’ e ‘surgical bombing’ assumono un significato assurdo; non c’è nulla di neutro, di civile o di chirurgico nella morte per assassinio. Esiste, oggi, una gerarchia di esseri umani, e la vita di alcuni vale più di quella di altri. Cambiare questo paradigma è anche compito di chi racconta l’attualità: “journalism is the first draft of history”.

Nella sala internazionale Bernardo Atxaga, autore basco, presentando il suo ultimo romanzo “Il figlio del fisarmonicista”, ha parlato di lingua e identità.

“Non scrivere della Cina da Chicago, scrivi del posto in cui vivi”

La lingua che parliamo non ha solo un valore sociale, non è un mero strumento utile a comunicare, è il modo in cui esprimiamo le nostre emozioni.

Toni Cutrone, musicista calabrese, e Carmine Conelli, autore campano, in un panel intitolato “L’altro pensiero meridionale” hanno discusso di come rivivere le tradizioni per renderle attuali.

“Parlare del sud come qualcosa scritto o cantato 70 anni fa è come parlare di un cadavere” e ancora “bisogna smettere di guardare al meridione come negativo comparato” (..) “chi sta indietro deve rincorrere o viene tirato”.

Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, in un auditorium gremito, hanno messo su la prima puntata live della nuova stagione di Morgana – La Madre, un podcast in collaborazione con Storielibere.

La puntata, dedicata alle “madri delle House” mette a fuoco la maternità come esperienza culturale e non solo biologica. Nella New York post-industriale del '900, la lotta contro le discriminazioni razziali e quella per il raggiungimento dei diritti civili della comunità LGBTQ+ parte anche dai primi contest di drag-queen.

“qualcuno usa la parola ‘pazzi’, ma per altri siamo la cosa più speciale presente sulla terra”

Tra applausi ritmati e sguardi complici, la sala, enorme, diventa un luogo intimo e il pubblico si emoziona.

Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura, autore di “Cronache dalla terra dei più felici al mondo”, romanzo ambientato in una Nigeria immaginaria, ha parlato, con ironia e solennità, di avidità e potere.

Nei suoi personaggi, la difficoltà di ricostruire un paese decolonizzato e “il modo in cui, delle volte, distruggiamo il meglio”.

“Parlare di carcere vuol dire parlare di democrazia”, è questa la sintesi più degna dell’incontro che ha avuto come oratori Stefano Anastasia, Luigi Manconi e Claudia Mazzuccato.

Al centro del dibattito il corpo dei detenuti, specchio della società, forzato alla promiscuità a causa del sovraffollamento e costantemente infantilizzato.

“È come se l’amputazione della sfera affettiva fosse considerata parte della pena, giacché sessualità e relazioni sono difficili da coltivare nelle carceri italiane” sostiene Manconi.

Emerge il problema dell’impermeabilità del carcere, incapace di comunicare col mondo esterno, chiuso al digitale, rendendo difficile il ritorno in società e l’emancipazione dal reato.

“Dobbiamo smettere di fare del male, non raddoppiare quello che ci siamo già fatti” – conclude Mazzuccato.

Infine, l’associazione del Treno della Memoria, a insegnanti e studenti, e a tutti noi, ha posto il problema di essere “testimoni dei testimoni” per mantenere attiva la coscienza storica sulla Shoah.

“Il treno è un generatore di impegno” – ha affermato Paolo Paticchio, tra i fondatori del progetto.

Questo è il racconto del “mio” salone, frutto di quattro giorni pieni ed emozionanti.
Spero invogli qualcuno a fare un salto, il prossimo anno, perché ne vale la pena e perché ne abbiamo bisogno.