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Se Rousseau avesse ragione? Le disuguaglianze sociali oggi

Come migliorare il ruolo di ognuno di noi in società e quale politica meglio ci può rappresentare? Attraverso i discorsi di Rousseau, un parallelismo ai giorni nostri con le parole di Carlo Trigilia affronto il discorso delle disuguaglianze sociali e i vari problemi legati a esse.

Alle porte del nuovo anno una riflessione attenta sulla società attorno a noi viene naturale: come migliorare il ruolo di ognuno di noi in società e quale politica meglio ci può rappresentare? Affrontando in particolare la lettura dei due Discorsi scritti da Rousseau per l'Accademia di Digione nel lontano 1700, una domanda mi attanaglia. E se Rousseau avesse ragione?

Nel "Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini", Rousseau fa un' analisi antropologica, in cui illustra il processo di alienazione dell'intera umanità. Ne risulta un processo similare a ciò che succede nella nostra società contemporanea: un aumento dell'individualismo dato dall'interesse esclusivo verso un tornaconto personale. Le basi di quest’atteggiamento sono rintracciate nell’ipocrisia e nell’amor proprio umano. Domina, secondo Rousseau, una mistificazione dei sentimenti e dei rapporti umani:

"Gli uomini danno luogo al vivere fuori di sé, dipendenti esclusivamente dell'opinione altrui, schiavi del denaro, delle convenzioni, e delle loro stesse ambizioni reciprocamente l'uno dell'altro."

Secondo Rousseau infatti la causa primaria di questa alienazione dall'altro è l'ineguaglianza giuridica ed economica, che si lega a cause più remote nella storia e nelle passioni degli uomini. Rousseau parla di perfettibilità umana, caratteristica che permette di distinguere gli uomini dagli animali. L’uomo ha la possibilità di compiere salti qualitativi, che possono condurre verso uno stato virtuoso così come verso uno vizioso, rendendo così l’uomo tiranno di se stesso e della natura. Il moltiplicarsi dei bisogni umani, l'affinarsi dei gusti e dei costumi, le intricate relazioni sociali e civili sono la reale motivazione dell’infelicità umana.

Ai giorni d'oggi questo può essere paragonato alla continua corsa verso la perfezione, il guadagno e il voler apparire a tutti costi realizzati, impegnati e irraggiungibili. Desideri che creano di fatto un' infelicità che, se in alcuni casi porta alla solitudine sociale, in altri porta a una solitudine interiore che sfocia, come possiamo vedere nei telegiornali, nelle più terribili storie di cronaca nera. Solitudine ironica e paradossale se pensiamo che rispetto a 300 anni fa, grazie alla tecnologia, i media e le app abbiamo tutti i mezzi per rimanere costantemente in contatto con la società e le persone.

Ma come risolvere tutto ciò? Come vivere in maniera equa e giusta? Per Rousseau la soluzione è nella politica, come si evince dalla parte finale del Discorso e nel Contratto sociale, dove getta le basi del diritto politico in un patto sociale:

"Chiunque rifiuti obbedienza alla volontà generale sarà costretto ad obbedire da tutto il corpo, costringendolo ad essere libero dando ciascun cittadino alla patria."

Il problema della disuguaglianza sociale ed economica è quanto mai attuale e politico. Di questo parere è anche Carlo Trigilia, Professore emerito di Sociologia economica presso l' Università di Firenze e già Ministro per la Coesione Territoriale. Sulla scia delle ricerche specialistiche effettuate sul tema, Trigilia ha dedicato un'opera all'urgenza di queste riflessioni. La sfida delle disuguaglianze (il Mulino 2022), infatti, si propone di analizzare l’incalzante crescita delle disuguaglianze sociali all’interno delle democrazie occidentali, a fronte dello sviluppo economico, industriale e tecnologico di cui esse continuano complessivamente a godere, nonostante gli effetti della crisi pandemica e il dramma della guerra in Ucraina.

Innanzitutto, Trigilia , per comprendere gli evidenti squilibri sociali di oggi, ripercorre la storia dell’Occidente a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, adottando un metodo di analisi in grado di identificare gli effetti della convivenza tra le democrazie occidentali e l’economia di mercato capitalista a cui si sono affidate. Trigilia delinea cosi quattro “ideal-tipi” di modelli di sviluppo, a cui ciascuna democrazia si è avvicinata nel tempo, assumendo come parametro il rapporto che intercorre tra la crescita annua del prodotto interno lordo e la disuguaglianza di reddito tra i suoi cittadini.

Al giorno d’oggi, la gravità della situazione è evidente: sono sempre di più i lavoratori che vivono sul baratro della precarietà e, per contrasto, diminuisce la rilevanza dei partiti politici capaci di difenderli. Si ripropone con spontaneità un quesito tanto classico quanto urgente: i “capitalismi” – intesi idealmente quali “mezzi di sviluppo del benessere collettivo” – e la “democrazia” – intesa idealmente quale “tutela dell’uguaglianza sociale” – si possono in definitiva considerare conciliabili? Secondo l’opinione di molti esperti di scienze economiche la risposta alla domanda è negativa.

Trigilia, invece, indica le cosiddette “democrazie negoziali” del Nord Europa come modello a cui i progressisti europei dovrebbero guardare, per imitarne la peculiare convivenza tra un’economia capitalista sviluppata e una struttura democratica ancora stabile. Esse hanno ottenuto questi risultati innanzitutto grazie all’omogeneità della propria tradizione politica, lontana dagli scontri tra forze di ideologia radicalmente opposte, come quelli tra i partiti comunisti e i partiti democristiani dell’Europa continentale; in secondo luogo, grazie alla capacità di istituzionalizzare la collaborazione tra lo Stato, le imprese e i sindacati, accomunandone con efficienza gli obiettivi di sviluppo; e infine, grazie a un sistema elettorale a base “proporzionale”, garante di ampia rappresentanza e di inclusività, come studiato dagli economisti neo-istituzionalisti.

Difatti solo davanti a una democrazia forte e largamente rappresentativa – detta perciò “negoziale” – il capitalismo non prende il sopravvento e trova impulsi per innovarsi. Viceversa, la democrazia può promuovere la redistribuzione del reddito e dunque una maggiore uguaglianza sociale soltanto grazie a un capitalismo forte, evitando così di subire crisi che favoriscono l’ascesa di forze politiche “populiste” o appartenenti all’estrema destra.

Secondo lo studioso, l’azione che espone alla comunità politica i problemi attuali e ne indica soluzioni possibili, per quanto complesse, permette agli attori in campo di impiegare la propria creatività per adottarle o addirittura per elaborare percorsi fino a quel momento inesplorati. Ciò si rivela molto più utile rispetto all’adozione di un punto di vista pessimista, che interpreti il cammino ormai percorso dall’Italia come austero dittatore del presente, e i futuri possibili come semplici utopie, tanto da scadere nell’auto-determinismo.