Il linguaggio evolve, riflettendo cambiamenti culturali e sociali. Dalle metafore al neologismo, fino al linguaggio inclusivo, la lingua plasma il pensiero e il potere. Accettare l’inclusività significa riconoscere il diritto di tutti a partecipare alla trasformazione del linguaggio e della società.
È cosa nota e universalmente riconosciuta che la lingua che parliamo sia in evoluzione e in trasformazione.
Il linguaggio è ciò con cui l’essere umano riesce a navigare un mondo complesso e a creare significato. Corrisponde a pattern di attivazione neurale con cui esploriamo l’ambiente e lo nominiamo: il linguaggio crea, anche solo per il fatto di cambiare il modo in cui si pensa.
Un esempio molto interessante rispetto al tema è il fatto che la cultura occidentale utilizzi la metafora del denaro per concettualizzare il tempo. “Il tempo è denaro” raffigura il tempo come una moneta spendibile, limitata: possiamo investirlo, perderlo, guadagnarlo. Questo è legato alla concezione capitalista di produttività e deriva da duecento anni di rivoluzione industriale. Molte culture non industrializzate non hanno al loro interno questa metafora (Lakoff e Johnson, 2003).
Sempre legato al tempo, si tende a concepire il futuro come di fronte a noi e il passato alle nostre spalle, mentre nell’Aymara, una lingua cilena, avviene l’opposto. Questo, viene ipotizzato, perché si conosce quello che hai davanti (il passato), ma non quello che hai alle spalle (il futuro). Il linguaggio è perciò un’espressione del nostro modo di concepire il mondo e deriva dalla nostra corporeità e la nostra immersione in essa, dagli scambi che avvengono con altre culture e all’interno delle stesse. Cambiando la posizione dell’uomo all’interno del mondo, è normale che il linguaggio cambi di conseguenza.
All’interno dell’italiano sono avvenuti molti più cambiamenti e trasformazioni, sono stati introdotti innumerevoli neologismi, cosa che non si riuscirebbe a trattare in un articolo come questo, ma comunque cercheremo di coprire alcuni di questi con degli esempi.
Innanzitutto, con l’unificazione dell’Italia viene introdotto l’Italiano standard nelle scuole come insegnamento obbligatorio e vengono progressivamente abbandonati i dialetti. La nostra stessa lingua nazionale, come la parliamo e pensiamo noi, non è stata ufficializzata fino al 1861 e viene introdotta dall’alto per motivi burocratici, questo dimostra come a volte la lingua non sia una questione religiosa, non sia santa e inviolabile.
Un’altra grande trasformazione avviene con l’incontro con altre lingue, a causa di un mondo sempre più globalizzato, in particolare con l’aggiunta di neologismi, specialmente inglesi. Alcuni neologismi come: brioche, bisque, cocktail, yoghurt, marketing, startup o più recentemente triggerare, settare, infowar, incel, movida, padel, smishing o underdog. Lo sviluppo di neologismi non deriva solo dallo scambio linguistico, ma anche da evoluzioni in campo tecnologico, di ricerca o semplicemente da avvenimenti collettivi che segnano la nostra percezione del mondo: computer, smartphone, e-mail, subatrofia, iperrealtà, ecoansia, coronavirus, lockdown, ipermedicalizzazione, distanziamento sociale, etc. L’essere umano è un essere creativo per natura ed è creando nuovi significati e trasformandosi assieme a questi che riesce ad adattarsi a un mondo in evoluzione.
Uno dei cambiamenti che sta avvenendo recentemente riguarda l’utilizzo di un linguaggio inclusivo rispetto al genere. Si tratta di utilizzare forme come la schwa (ə), l’asterisco (*) o la “u” per sostituire il maschile plurale generico o per riferirsi a persone la cui identità di genere non rientra nel frame classico del binarismo di genere.
Di base l’utilizzo di questo tipo di linguaggio è sintomo di uno sviluppo nella coscienza collettiva che rispecchia una sempre crescente critica alle dinamiche di potere e discriminazione insite nel modo di parlare di tutti i giorni. L’introduzione di questo linguaggio, oltre all'inclusività, mira a trasformare il modo stesso in cui vediamo il mondo e questo spiega la reazione.
Per ogni cambiamento ci si aspetta sempre un po’ di resistenza; tuttavia, la resistenza verso queste forme inclusive assume anche una forma di rifiuto verso un determinato tipo di questioni che hanno a che fare con mondo del transfemminismo e della comunità LGBTQ+. Solitamente, chi critica questo tipo di linguaggio lo fa appellandosi al corretto utilizzo della grammatica.
Si vuole apparire paladini difensori dell’italiano corretto, cavalieri del Sacro Ordine della Crusca, senza comprendere che cambiamenti di questo tipo sono sempre avvenuti.
Una delle critiche che viene fatta più spesso alla schwa e all’asterisco è che non siano lettere; perciò, non possano apparire nel linguaggio scritto. Dato che nessuno si è mai sconvolto per la presenza di una barretta o di un numero in una frase, questa critica è nulla e probabilmente in malafede.
Un altro tipo di critica riguarda l’utilizzo dei pronomi per persone transgender. Si sostiene spesso che il pronome faccia riferimento al sesso biologico, ma è impensabile chiedere il corredo cromosomico a una persona prima di riferirsi correttamente a essa. Molto più probabile fare affidamento a come si autoriferisce la persona e a indizi sociali riguardo alla sua presentazione di genere.
Altro punto è l’utilizzo di parole con un genere specifico per intere categorie: “guardia” e “guida” si riferiscono spesso a persone di genere maschile, come “presidente” si riferisce a persone anche di genere femminile. Il genere di una parola e i pronomi, quindi, non fanno riferimento al sesso biologico della persona e non dovrebbero essere pensati in questi termini.
Se l’essere umano crea significato con il linguaggio, modificarlo significa avere il potere di plasmare le menti di chi lo utilizza e questo può spaventare. Chi si propone come difensore della lingua, non lo fa davvero in nome della “corretta” grammatica, ma in nome del potere che deriva dalla trasformazione di essa. Non c’entra nulla il giusto utilizzo dell’italiano, ma l’esclusione di categorie minorizzate dall’accesso al potere di trasformare il modo con cui noi pensiamo.
È cosa nota e universalmente riconosciuta che la lingua che parliamo sia in evoluzione e in trasformazione e bisogna rivendicare l’utilizzo del linguaggio inclusivo in modo che la possibilità di trasformarlo non sia limitata solo a determinate categorie di persone.
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