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Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare

Tutti parlano ma pochi comunicano: teoria e pratica per tradurre parole in fatti.

Fin dagli albori del genere umano, il bisogno di comunicare con i propri simili si è manifestato attraverso la necessità di soddisfare bisogni primari come sfamarsi, dormire o stare al caldo.
Il tutto è iniziato con suoni inarticolati, segni sulla roccia, pitture rupestri e altri metodi rudimentali che si sono evoluti nel corso degli anni insieme all'uomo stesso, proprio come se la comunicazione e le sue molteplici forme fossero parte integrante dell'organismo umano, se non il suo più importante lascito su questo pianeta.

Compiendo un ampio salto temporale e atterrando nella contemporaneità, si può affermare con sicurezza che tutto è comunicazione: lo confermano gli studi di psicologia sulla comunicazione non verbale e para verbale, lo sviluppo della tecnologia e del web, con annessi e connessi di social network, l'ampio spazio che questo tema occupa nella gestione aziendale della maggior parte delle imprese e più in generale delle realtà lavorative.
La comunicazione insomma è il fulcro attorno cui ruota una fetta consistente della vita umana.

Basta pensare all'ampio spettro di percorsi di studi universitari che vertono proprio sul tema comunicazione, declinato in vari ambiti: arte, marketing, pubbliche relazioni, psicologia, economia. I più disparati settori convergono sotto il tetto ampio della comunicazione. Uscendo dall'ambito degli studi ed entrando in quello del lavoro, la situazione è ancora più concentrata, perchè in questo caso si tratta di applicare concretamente sul campo concetti e competenze.
Ad oggi non esistono aziende o attività commerciali che possano pensare di ignorare il ruolo della comunicazione: sempre più le aziende si mobilitano sul fronte della comunicazione interpersonale tra le varie gerarchie di lavoratori. Si svolgono corsi, training e incontri di formazione sulle modalità più adeguate con cui relazionarsi con dipendenti, colleghi e pubblico, su tecniche sempre più affinate per concludere vendite e contratti di lavoro, su strategie sempre più vicine al margine dell'infallibilità per promuovere e diffondere prodotti e servizi.

Basandosi su queste premesse, sembrerebbe quindi che si possa tirare un sospiro di sollievo: viviamo in un mondo di connessioni dove la comunicazione la fa da padrona, tutti sono in contatto con tutti e le nostre potenzialità non possono che prendere la deriva del miglioramento e del progresso costante.
Eppure, di questo scenario idilliaco di connessioni, comunicazioni e comprensione bisogna sottolineare un aspetto non secondario. Fino ad ora si è parlato di come dovrebbero andare le cose in termini teorici. Ma tutto ciò si riflette anche nella pratica? Se sì, come?
Senza il bisogno di avere alle spalle grandi studi di comunicazione e di psicologia, a questa domanda si può rispondere con un detto, forma di linguaggio popolare e rudimentale quanto mai efficace, che ci ricorda che "tra il dire e il fare, c'è di mezzo il mare."

Spesso infatti capita che tutto questo grande arsenale di strumenti, metodi e tecniche, finisca maneggiato da chi scollega la bocca dal cervello, padroneggiando teorie e metodi di comunicazione senza applicarvi la ragione e il buon senso.
Il risultato è molto simile a quella situazione snervante che si verificava alle scuole superiori durante lo svolgimento degli esercizi di matematica: tutta l'operazione appare svolta correttamente, eppure il risultato è diverso da quello indicato sul libro.
Che fare dunque?

Innanzitutto, non disperare. In secondo luogo, è bene ricordare che la comunicazione è un processo che implica un rapporto tra esseri umani, pertanto approcciarne i metodi come si approccerebbe un'equazione di secondo grado non è la via migliore per sperare in un risultato positivo.
In terzo luogo, oltre a studiare concetti e teorie, è necessario concentrarsi sulla loro applicazione concreta nel mondo reale, valutando non solo l'ordine degli addendi della singola operazione, ma anche la loro natura, il contesto e il significato di ciò che emerge da questa relazione.

Per affrontare questo tema, torniamo agli albori dello studio sulla comunicazione. Nel 1967 Paul Watzlawick, studioso della Scuola di Palo Alto (California), pubblica il volume “La pragmatica della comunicazione umana”[1], divenuto in seguito la base teorica per ogni studio inerente a questa materia.

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La comunicazione può essere ripartita in due grandi insiemi.
Innanzittuto troviamo la comunicazione di massa, anche detta univoca, che consiste nel trasmettere il messaggio da una fonte a molti riceventi, spesso attraverso mezzi che ne consentono l'ampia diffusione, come la televisione. In secondo luogo si parla di comunicazione interpersonale, che riguarda i rapporti tra le persone e che rappresenta il focus di interesse di questo discorso.

Seguendo il discorso teorico, si vede che questo ultimo insieme racchiude tre tipologie di comunicazione: verbale, non verbale e para verbale.
La comunicazione verbale, si spiega da sé, è la comunicazione che avviene attraverso l'uso della parola, orale o scritta.
Sebbene si potrebbero svolgere infiniti approfondimenti anche su questo sotto gruppo, è molto importante passare ai successivi sotto gruppi, poiché dettano regole e modalità di comunicazione non trascurabili.
La comunicazione non verbale passa per tutto ciò che è gestualità, postura, movimento, gestione dello spazio: parliamo di noi e con gli altri attraverso un linguaggio alternativo, la cui potenza comunicativa è irrinunciabile.
La stessa importanza è ricoperta dalla comunicazione para verbale: essa riguarda il modo in cui vengono dette le cose, pertanto riguarda aspetti come il timbro della voce, il volume, la rapidità di enunciazione, etc.
Alla luce di queste brevi spiegazioni, emerge che comunicazione non verbale e para verbale sono fondamentali poiché forniscono gli elementi che determinano il contesto entro cui si verifica la comunicazione. Si tratta quindi di indizi che bisogna imparare a captare e leggere dagli altri e gestire in se stessi, perché raccontano molto di più sulla comunicazione che si sta consumando in quel momento delle parole stesse.

Se riflettiamo per un istante, tutti questi aspetti della comunicazione popolano vari aspetti della vita quotidiana. Il primo esempio, e forse anche quello più simpatico e attuale, è offerto dal web. Tra i suoi contenuti, i meme, particolarmente popolari negli ultimi tempi, risultano divertenti proprio perchè si basano sulla discrepanza che si crea tra la situazione presentata e la reazione del protagonista della scenetta. Un esempio è quello del meme che segue: l'immagine di una stanza in fiamme entra in contrasto con il fatto che il suo protagonista sostenga di "stare bene". Grazie al sottotesto metaforico e ironico che caratterizza questo tipo di contenuti mediali, al lettore arriva direttamente il messaggio paradossale di una situazione prossima al collasso a cui però il protagonista, che può rappresentare chiunque di noi, reagisce in maniera del tutto inadeguata.

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Quello che interessa alla nostra prospettiva è sottolineare che la comunicazione interpresonale crea tra i comunicanti un rapporto circolare per cui ogni individuo influenza l'altro.
Partendo da questa consapevolezza, bisogna introdurre nel discorso i 5 assiomi della comunicazione di Watzlawick, ovvero cinque capisaldi che definisco la natura della comunicazione.

Riassumiamoli per averne un'idea generale:

  1. è impossibile non comunicare;
  2. ogni comunicazione presenta una metacomunicazione, ovvero informazioni sul contesto entro cui avviene la relazione tra le persone che stanno parlando;
  3. la realtà si crea mentre la stiamo comunicando, pertanto la realtà tende a definirsi in base alle prospettive di ciascuno;
  4. la comunicazione è efficace quando comunicazione verbale, non verbale e immagini coincidono;
  5. si parla di comunicazione simmetrica quando i parlanti sono sullo stesso grado, e di comunicazione complementare quando uno dei due è in una posizione di subordinazione rispetto all'altro.

Eccoci dunque nella sala riunioni del nostro ufficio in cui il capo sta presentando un PowerPoint intitolato "COMUNICAZIONE EFFICACE", ma che a lui serve fondamentalmente per gloriarsi del suo ultimo training svolto con il comparto direzionale su questi temi, che tendenzialmente vengono un po' goffamente definiti con descrizioni come "queste cose moderne come la comunicazione che sono il futuro quindi dobbiamo andare anche noi in quella direzione."

Capi boomer a parte, gli assiomi della comunicazione sono le basi per poter parlare di comunicazione efficace, ovvero che raggiunge il suo scopo e si realizza. Ciò che però è veramente importante è il contenuto dei punti 2, 3 e 5. Essi dimostrano quanto sia di fondamentale importanza cogliere e considerare il contesto entro cui avviene una comunicazione, dove per contesto si intende una serie di fattori che danno informazioni sui parlanti e sul rapporto che li vede coinvolti.

Immaginiamo un contesto lavorativo X in cui, come può accadere ovunque, si verifica una situazione di emergenza/anomalia Y. Tendenzialmente in questi casi i sottoposti fanno riferimento al proprio superiore. Può accadere però che il superiore stesso non sia in grado di risolvere il problema.
A questo punto, una serie di fattori inizia ad impilarsi uno sopra l'altro, creando una torre di incombenze e aspettative che barcollano pericolosamente, minacciando l'equilibrio emotivo di quel contesto. Questa è la panoramica sull'ambiente.
Spostando la prospettiva di analisi sugli attori di questa vicenda, le cose vanno più o meno così: i dipendenti sono in allarme perché non hanno saputo gestire la situazione, magari aggravandola, e per gestirla hanno dovuto richiedere l'intervento del superiore.
Il superiore è stato interrotto mentre svolgeva altre mansioni per intervenire su qualcosa che in quel momento non doveva competergli, la cui buona o cattiva riuscita ora dipende dalle sue capacità. Le suddette capacità, nel nostro scenario immaginario, non risultano sufficienti per uscire dall'impasse.
Aggiungiamo che, in quanto superiore, tutti si aspettano che abbia la soluzione a portata di mano, e quindi, il fallimento graverà sulle sue spalle più pesantemente che sui sottoposti, poiché esistono altri piani più alti a cui il superiore deve rendere conto a sua volta.
È abbastanza facile immaginare che il collasso di questa situazione è prossimo e che il superiore, nel 99% dei casi, esploderà in una reazione (legittimamente) esagerata, che si manifesta con gesti a scatto, stizza e un tono di voce che richiede di mantenere la calma ma che di fatto non ha nulla a che vedere con quel concetto.
Inutile specificare che, a fronte di tale reazione, tutto si otterrà tranne che una situazione di effettiva calma, perdendo così ogni speranza di recuperare l'errore e portarne a compimento la risoluzione.

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Quello proposto è solo un esempio e la situazione comunicativa presentata può riguardare altri contesti oltre a quello lavorativo. Eppure questa situazione quotidiana riporta ciascuno di noi a un'esperienza simile vissuta almeno una volta. L'importanza di soffermarsi su episodi del genere non risiede tanto nel voler spiattellare una morale teorica sulla gestione del conflitto e della comunicazione nei momenti di emergenza. Altrimenti torniamo al livello di pensiero per cui la comunicazione è un'equazione di secondo grado.
Il senso di vivere e rivivere questo tipo esperienze e relazioni risiede nell'aggettivo che si affianca al sostantivo comunicazione, ovvero l'aggettivo "efficace". Gli assiomi della comunicazione che abbiamo enunciato sono regole inevitabili per il raggiungimento del risultato di quell'operazione matematica per cui talvolta la comunicazione viene spacciata.
Soprattutto, abbiamo constatato che la comunicazione è molto più di una somma di addendi: essa è la consapevolezza dell'uso e dell'effetto di quegli addendi, è la capacità di ascoltare e leggere oltre il suono e il segno, nonché l'accortezza di agire nel rispetto di regole imprescindibili.
Del resto, come indica anche Albert Mehrabian attraverso il suo modello "55, 38, 7", il 55% della comunicazione è non verbale, il 38% è para verbale e solo il 7% è comunicazione verbale.[2]


  1. Guida Psicologi, https://www.guidapsicologi.it/articoli/i-5-assiomi-della-comunicazione-per-imparare-a-comunicare-meglio ↩︎

  2. Serenis, https://www.serenis.it/articoli/i-5-assiomi-della-comunicazione-le-regole-per-uninterazione-efficace/ ↩︎