Che cos’è la mente? Sembra una domanda apparentemente facile, poiché utilizziamo questo termine quotidianamente senza porci profonda attenzione. E se invece dovessi chiedervi di darmi una risposta, quale sarebbe? Potrebbe aiutarvi un polpo a rispondere!
Che cos’è la mente? Sembra una domanda apparentemente facile, poiché utilizziamo questo termine quotidianamente senza porci profonda attenzione. E se invece dovessi chiedervi di darmi una risposta, quale sarebbe? Probabilmente mi direste che la mente è dove avvengono tutti i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre sensazioni. Bene, sarebbe già una buona risposta, ma se dovessi chiedervi di essere un poco più diretti e semplici? Allora probabilmente mi direste che la mente è il cervello. Usiamo i termini "mente" e "cervello" come sinonimi anche se con accezioni abbastanza differenti . Usiamo il primo, ovvero "mente" quando parliamo dei nostri pensieri e delle nostre sensazioni, mentre il secondo, ovvero "cervello" quando parliamo dell’aspetto fisiologico, della materia grigia per intenderci.
In realtà questa risposta non solo può essere considerata corretta, ma corrisponde ad una accreditata teoria sulla mente, appoggiata dalla maggior parte dei filosofi della mente e neuroscienziati. Le concettualizzazioni che vedono una tale relazione tra stati mentali e stati neurofisiologici sono chiamate teorie dell’identità e considerano ogni stato mentale un processo fisico. Seppur questa teoria sia quella più condivisa e accreditata, lo scopo di questo breve articolo è tentare una critica a questa idea per cercare delle vie alternative ugualmente percorribili. Per poterlo fare cerchiamo di capire un attimo meglio in cosa consiste questa relazione di identità.
La teoria dell’identità dei tipi individua un'uguaglianza tra tipi di stati che avvengono in occorrenze diverse, uno nel cervello, l’altro nella mente. Per fare un esempio, il tipo mentale dolore è identico al tipo neurofisiologico stimolazione di fibre-C. Ogni occorrenza mentale è quindi una occorrenza neurofisiologica.
Questa è una teoria fisicalista, ovvero che individua una causa materiale in ogni evento psichico: uno dei lati positivi di questa visione è la traducibilità degli stati mentali in un linguaggio neurofisiologico.
Questa teoria permette una lettura scientifica e quindi oggettiva degli stati mentali, potendoli trattare in maniera meno oscura, grazie alle neuroscienze. La necessità di questa traducibilità nasce da una risposta all'oscurità dei processi della mente (e non del cervello) e il conseguente bisogno di capirci qualcosa. grazie a questa teoria sulla mente possiamo sperare in una chiarificazione di questa foresta buia. Facciamo un esempio:
Prendiamo in esempio lo stato mentale del dolore, esso secondo questa concezione può essere traducibile in un linguaggio chiaro e oggettivo (neurofisiologico), e ipotizziamo di scriverlo in un linguaggio matematico binario con i numeri 001 (questa associazione è puramente esemplificativa). Formalizzando, ovvero traducendo in un complesso di simboli, in questo modo lo stato mentale è più facile trattarlo conferendogli una stabilità necessaria all'indagine. Seguendo questa proposta possiamo fare la stessa cosa con tutti gli stati mentali:
Dolore - 001 Gioia - 011 Rabbia - 111 Tristezza - 110
Avere una serie di codici formali per ogni stato mentale rende più leggibile lo stato mentale stesso, lo rende indagabile con più sicurezza e ci da una speranza in più di comprensione di quel luogo buio che è la mente.
Per sollevare una critica rilevante chiamiamo in causa il filosofo statunitense Hilary Putnam che ha proposto un'obiezione a questa teoria, nota come realizzabilità multipla degli stati mentali: lo stesso tipo di stato mentale può esser realizzato da stati neurofisiologici diversi. Un caso paradigmatico è rappresentato dai polpi, i quali hanno un sistema nervoso differente dal nostro. I polpi, a differenza degli esseri umani, hanno il doppio del numero delle cellule nervose presenti nel cervello distribuite nelle braccia, che godono di una certa indipendenza. È probabile che gli stati neurofisiologici dei polpi siano differenti dai nostri. Il loro comportamento, inoltre, (il contorcersi quando vengono feriti) ci suggerisce che possano provare dolore. In questo caso il tipo di stato dolore è causato da due stati neurofisiologi diversi: quello nostro e quello del polpo.
Questa idea implica una realizzabilità multipla del dolore. La teoria dei tipi asserisce che il tipo mentale dolore è il tipo fisico stimolazione di fibre-C. Ma il caso del polpo mostrerebbe la non correttezza di questa teoria: poiché il sistema nervoso del polpo è diverso abbiamo ragione di credere che il tipo di stato mentale dolore non ha luogo nel suo organismo nel tipo fisico stimolazione di fibre-C. Si potrebbe replicare facendo una distinzione tra tipo dolore umano e tipo dolore del polpo, ricollegando poi il primo al tipo fisico stimolazione di fibre-C e l’altro a una stimolazione di altro tipo fisico.
Questo tentativo è però criticabile, sempre seguendo l’idea di Putnam. È, infatti, ragionevole supporre che vi siano delle differenze neurofisiologiche tra individui conspecifici (ad esempio due esseri umani), in questo caso vedere una corrispondenza diretta tra tipo dolore umano e tipo stimolazione di fibre-C sarebbe troppo generico, dovremmo, infatti, creare un nuovo tipo di dolore per ogni singolo individuo: dolore Thomas, dolore Lucia ecc. Infatti, non faremmo altro che aggiungere continuamente degli accorgimenti artificiali alla teoria per farla quadrare, incastrando i fatti allo schema e non viceversa. In conclusione, è assai complicato parlare di identità dei tipi, essendo questa una relazione troppo forte e rigida da applicare. La teoria dell'identità delle occorrenze, invece, risulta più flessibile e resistente di fronte alle critiche sollevate da Putnam.
Per fare uno schema chiaro: al tipo dolore nell'uomo corrisponde il tipo neurofisiologico stimolazione di fibre-C e allo stesso tipo dolore ma nel polpo corrisponde il tipo neurofisiologico stimolazione di fibre-D. Questa è la teoria dell’identità delle occorrenze. Questa congettura è molto più debole della prima ma a suo compenso sembra sopravvivere alle critiche, anche se purtroppo non riesce a rendere conto della realizzabilità multipla, pur essendo compatibile con essa: in altre parole, questa visione non riesce a spiegare perché due diversi tipi di stati neurofisiologici (stimolazione di fibre-C negli uomini e stimolazione di fibre-D nel polpo) realizzino lo stesso tipo di stato mentale dolore. La teoria dell’identità delle occorrenze, che è una variazione della teoria dell’identità dei tipi, non riesce a soddisfare, quindi, la traducibilità degli stati psicologici in un linguaggio neurofiologico.
Riprendendo l'esempio di prima: se il tipo di stato mentale dolore non può essere tradotto in tutti i casi con il codice simbolico 001, ma solo in un caso, quello umano, allora non è possibile questa oggettività scientifica della mente.
In questo nuovo caso potremmo avere: dolore - 001 dolore - 100 dolore - 110
La pretesa e la speranza di questa chiarificazione in questo caso svanisce. E a questo punto non ci resta che auspicare la percorrenza di altre vie per cercare comunque una conoscenza affidabile di questi stati mentali, e quindi della mente.
Bibliografia:
- PUTNAM, H. (1967), Psycological Predicates, in W. H. Capitan e D. D. Merrill (a cura di), Art, Mind, and Religion, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh (Penn.), pp. 37-48.
- RAIMONDI, A. (2022), Teorie dell’identità, in Il primo libro di filosofia del linguaggio e della mente, (a cura di) Paganini, E. Einaudi editore s.p.a., Torino.
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