Wenders, attraverso un film che celebra la vita, ci dice che abbiamo smesso di vivere portando un film che celebra la vita.
Come ci immagineremmo i nostri Perfect Days? Di certo non passando la maggior parte del nostro tempo a pulire i bagni pubblici in un quartiere di Tokyo. La vita di Hirayama, in effetti, è una di quelle che non ci aspetteremmo di vedere al centro di un film candidato agli Academy Awards nella categoria di Miglior Film Internazionale, in rappresentanza del Giappone. Inizialmente concepito come un documentario che avrebbe dovuto promuovere la costruzione e la diffusione di nuovi bagni pubblici, con regia affidata proprio a Wenders, successivamente il corto è stato trasformato in un film. Hirayama, attorno a cui ruota tutta la storia, è un operaio addetto alla pulizia di questi bagni pubblici: come leggiamo nel sito web del Tokyo Toilet Project, questi sono bagni pubblici “come non li avete mai visti”, e ci crediamo! Il film rende perfettamente giustizia a quello che i giapponesi chiamano “il simbolo della rinomata cultura dell’ospitalità giapponese”. Segue una struttura circolare che orbita, come abbiamo detto in precedenza, intorno alla vita di Hirayama, un uomo apparentemente invisibile agli occhi di molti, anche perché, non tutti lo ammetteranno, ma è raro che ci si chieda qualcosa riguardo all'identità di chi pulisca i bagni pubblici. Hirayama si sveglia ogni mattina seguendo sempre la stessa routine: si alza e rifà il letto, si prende cura delle sue piante, si lava e, prima di uscire, prende le sue chiavi, l’orologio, il cellulare, la macchina fotografica e qualche moneta per comprare il caffè da una macchinetta automatica che si trova nel suo cortile. Tutto ciò sempre nello stesso, meticoloso ordine cronologico.
Uno dei temi centrali è la solitudine, non in una tradizionale luce negativa, ma piuttosto come rappresentazione di indipendenza e soddisfazione: Hirayama, infatti, vive per sé stesso, si prende cura del suo corpo e della sua anima, tenendo viva la mente attraverso la lettura e trova gioia nel suo legame di profondo rispetto con la natura. Parla poco e soltanto se necessario e quando questo accade, non inizia né si inserisce in lunghe conversazioni, il che alimenta la vaghezza e l’ambiguità che caratterizza tutto il film, esattamente come ha voluto Wenders. Appare quasi come un film silenzioso, nel quale ogni messaggio viene trasmesso attraverso gli occhi e il linguaggio del corpo: siamo infatti completamente immersi nella dimensione pacifica in cui vive e, una volta usciti dal cinema, è come se qualcosa in noi fosse cambiato.
Un altro tema che emerge è quello della nostalgia: vediamo rappresentata nel film quella del regista stesso! Questa malinconia sembra rappresentare tutto ciò che la società odierna ha perso. Ad esempio, ci manca un vero rapporto con la natura, che è estremamente importante, invece, nella vita di Hirayama. Di fatto, la prima cosa che fa quando si sveglia al mattino è proprio annaffiare le sue piante. Tuttavia, quello che personalmente trovo emblematico del suo legame con la natura emerge quando, nella sua pausa pranzo, Hirayama si guarda intorno e scatta delle fotografie delle cime degli alberi con lo sguardo sempre direttamente rivolto verso l’alto, mai filtrato dalla sua macchina fotografica. La nostalgia di cui si è parlato si trova anche nella scelta musicale di Wenders, non soltanto per la selezione delle canzoni che compongono la colonna sonora del film (Lou Reed, Animals, Patti Smith…), ma specialmente nell’utilizzo delle cassette, ormai estremamente rare. Inoltre, ci sono tracce di una nostalgia di Wenders per la dedizione che molti giovani faticano a mettere, ad oggi, nel loro lavoro, perfettamente rappresentato attraverso il gap generazionale che si evince dalla relazione tra Hirayama e Takashi, suo collega più giovane, il quale non prende seriamente il suo lavoro: non ci vorrà molto, infatti, prima che si licenzi.
L’intero film è carico di ambiguità e mistero. Infatti, molti dettagli, specialmente quelli che riguardano la vita di Hirayama prima che diventasse addetto alle pulizie per la Tokyo Toilet, vengono taciuti. Non sappiamo niente del suo passato e non siamo interessati a venirne a conoscenza, non ci poniamo alcuna domanda, perché siamo rapiti da questa routine contagiosa che descrive la vita di quest’uomo e che, oltretutto, è celebrativa della cultura giapponese. La sua vita sembra girare intorno alle medesime azioni per l’intera durata del film, ma se prestiamo attenzione al finale saremo in grado di vedere che qualcosa dentro di lui è cambiato: non sembra più così composto, e a mano a mano che il film procede ci sentiamo coinvolti nelle emozioni di Hirayama, le quali diventano sempre più vivide. Non è più così distante dallo spettatore come sembrava all’inizio: è un uomo come tutti noi. Da questo aspetto emerge un altro importante tema: la celebrazione della vita. Infatti l’intero film, prima di tutto, è un’esaltazione della vita nelle sue manifestazioni più piccole e apparentemente più insignificanti. Siamo circondati dalla natura e da persone con tantissime storie di cui non sappiamo nulla, immersi in un mondo pieno di letteratura, arte e musica, e comunque passiamo la maggior parte del nostro tempo sui cellulari, davanti alla televisione, dimenticandoci di interagire con cosa ci offre la vita ma, soprattutto, con noi stessi. Wenders ci dice che abbiamo smesso di vivere portando un film che celebra la vita, attraverso un protagonista che ancora sa come vivere! Qualcosa che molti di noi non sanno più fare.
Inoltre, è un film che celebra anche il presente, sempre attraverso un protagonista che ha scelto di andare avanti: di fatto, tutto ciò che sappiamo del passato di Hirayama è soltanto che ha avuto un rapporto complesso con il padre, e, nonostante ciò, ha deciso di condurre una vita isolata e indipendente superando ciò che lo ha ferito. In una realtà ancorata al passato, Wenders torna con un film che celebra il nostro presente, l’hic et nunc, nel quale il passato non ha alcuna rilevanza, mentre ciò che è davvero importante è la dedizione all’adesso, al proprio lavoro, alla cura di sé, celebrando ogni giorno la semplicità delle piccole cose. Wenders ci sta dicendo di accorgerci che abbiamo smesso di vivere: soltanto perché questa è l’unica strada per cominciare a vivere di nuovo.
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