La tecnologia informatica invade ormai ogni momento della nostra vita e di questa ne abbiamo naturalizzato il comportamento e invisibilizzato il funzionamento. Eppure, queste tecnologie non sono neutrali, ma bensì si nutrono della società che le ha create e in cui dominano determinate gerarchie.
Lilia Giugni, in La rete non ci salverà (2022), ci mostra come le innovazioni tecnologiche e la rivoluzione digitale hanno trasformato in profondità le dinamiche politiche, economiche e sociali. Questi cambiamenti non hanno risolto o attenuato le disuguaglianze di genere, come invece si sperava, anzi, le hanno rafforzate. Nello specifico, il femminismo digitale è un campo critico di analisi che risalta i rapporti che intercorrono fra patriarcato, capitalismo e tecnologia.
L’innovazione tecnologica è stata vista inizialmente come una forma emancipatoria, un accesso democratico alla conoscenza e come una nuova opportunità di partecipazione sociale anche per categorie
discriminate. La tecnologia non è cattiva o buona di per sé, ma non è neppure considerabile neutrale.
Come scrive Luciano Floridi, «no technology is ever neutral, and every technology can have a more or less “static equilibrium” of values, that is, being subject to forces that push it in morally evil or good directions» [1]. Come ci ricorda anche Marzia Vaccari, in Appunti di femminismo digitale (2021), «la legge sulla relazione tra tecnologia e società proposta da Kranzberg secondo il quale la tecnologia non è né buona né cattiva, nemmeno neutrale, dovrebbe accompagnare ogni ricostruzione per essere veritiera» [2].
Il digitale offre nuove possibilità di emancipazione e partecipazioni politica, ma, allo stesso tempo, riproduce e amplifica le strutture di potere preesistenti e dominanti nella società.
Episodi di violenza e misoginia sono sempre esistiti anche prima della rivoluzione digitale, ma è inquietante osservare come questi episodi siano cresciuti. Pratiche come il cyberstalking, il revenge porn e il doxing sono ormai caratteristiche del sistema digitale. La possibilità e la facilità con cui si possono creare contenuti violenti e misogini ha reso Internet un luogo particolarmente ostile per donne e altre minoranze, soprattutto se queste hanno un profilo pubblico.
Inoltre, la misoginia online diventa prodotto di reti coordinate di odio, come possono essere la piattaforma 4chan e i gruppi Incel. Queste comunità seminano rancore e teorie misogine in rete. Le statistiche dimostrano poi come le donne nere, brown e queer sono vittime di abusi non solo per il loro genere, ma anche per la loro etnia e sessualità.
La rivoluzione tecnologica ha fornito nuovi strumenti per chi fosse deciso a compiere atti violenti e misogini contro le donne. Per quantificare questo fenomeno, non basta pensare a quante e quali piattaforme possono essere utilizzate, ma ad altri svariati aspetti che rendono la violenza digitale unica nelle sue caratteristiche e pervasiva in ogni momento della giornata.
Purtroppo, questi attacchi portano le vittime a temere non solo sul web, ma anche preoccuparsi per la loro integrità fisica e la loro salute mentale. Se le vittime con profili pubblici hanno possibilità di chiedere aiuto, gli altri milioni di donne non hanno le stesse risorse.
Il femminismo digitale nasce come risposta alle discriminazioni di genere che vengono riproposte e amplificate nel mondo tecnologico e digitale. L’innovazione tecnologica si inserisce in una relazione stringente con le strutture che dominano la società: capitalismo e patriarcato. Entrambe queste logiche si sono evolute negli anni, modificando alcuni dei loro aspetti ma mantenendo sempre i loro principi fondamentali.
Il capitalismo continua a fondarsi sul lavoro salariato, l’accumulazione di capitale e l’appropriazione delle risorse. Il patriarcato continua a fondarsi su gerarchizzazioni di genere che rimangono ancora molto influenti nella società. Queste due logiche sono insite negli strumenti tecnologici che utilizziamo quotidianamente e «portano scritte a fuoco sia capitalista che patriarcale» [3].
Le donne, pur avendo la possibilità di essere presenti nel digitale, sono comunque sistematicamente esposte a molestie online, discriminazioni algoritmiche e sfruttamento lavorativo, sia dalle piattaforme digitali che dalle industrie tecnologiche. Il capitalismo digitale, parallelamente, si alimenta attraverso meccanismi di raccolta e mercificazione dei dati degli utenti, oltre al lavoro precario e non tutelato nelle piattaforme.
Per concludere, per le donne ma anche per le altre minoranze, Il progresso digitale ha ridefinito e amplificato le disuguaglianze strutturali della società odierna.
Luciano Floridi, On Good and Evil, the Mistaken Idea That Technology is Ever Neutral, and the Importance of the Double-charge Thesis (August 25, 2023). Philosophy & Technology,September 2023, p.1. http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4551487 ↩︎
Marzia Vaccari, Appunti di femminismo digitale #2 Algoritmi, independently published, 2021, Kindle Edition, p.53. ↩︎
Lilia Giugni, La rete non ci salverà. Perché la rivoluzione digitale è sessista (e come resistere), Milano, Longanesi, 2022, Ebook, p. 15. ↩︎
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