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Yves Klein e l'esposizione del vuoto

Tema centrale del percorso artistico di Yves Klein, il vuoto non si riduce a un campo neutro ma si differenzia radicalmente dal nulla in quanto contiene al suo interno i germi di un fermento creativo capace di rovesciare l’assenza nel suo opposto, la piena e densa presenza.

Yves Klein e l'esposizione del vuoto
"Voglio superare l’arte, superare la sensibilità, superare la vita: voglio raggiungere il vuoto".

Con queste parole assolute, pronunciate nel corso di una conferenza tenuta alla Sorbona nel 1959, l’artista emergente Yves Klein rende noto al pubblico l’audace e apparentemente irrealizzabile intento dell’opera presentata qualche anno prima alla galleria Iris Clert di Parigi: l’esposizione del vuoto – un bianco accecante, avvolgente e totalizzante che gli spettatori guardano senza vedere, interdetti di fronte all’irruenza dell’Arte che non scende a compromessi con i pregiudizi consolidati. Accompagnato dalle grida scandalizzate, dalle lacrime di commozione e dagli sguardi imbarazzati del pubblico accorso all’inaugurazione, il gesto rivoluzionario dell’artista si allontana dall’ormai banale e sdoganata provocazione post-duchampiana al canone estetico prestabilito, per assurgere invece al ruolo di missione profetica e civilizzatrice dell’umano stesso.

Produrre il vuoto, esibire il vuoto, saltare nel vuoto: sono questi i tre passaggi del movimento kleiniano all’interno dello spazio di creazione e di azione, tre gradini consecutivi di una ricerca personale che ha un impatto immediato sull’intera struttura sociale e artistica della scena internazionale degli anni Cinquanta. In maniera paradossale, la retrospettiva dal complicato titolo La specializzazione della sensibilità dallo status di Materia in Sensibilità Pittorica stabilizzata pone un concetto immateriale al centro dell’indagine artistica e filosofica, e attraverso la deliberata sottrazione dell’oggetto estetico porta allo scoperto i meccanismi solitamente invisibili che regolano il sistema dell’arte.

Ma che cos’è esattamente il vuoto di Yves Klein? È uno spazio reale o immaginario, un interstizio denso o aereo, un ambiente che è possibile attraversare o una creazione concettuale dalla quale lo spettatore rimane a rigor di logica escluso?

Teatralizzazione dell’a-rappresentazione, candida vetrina dell’assenza alla ricerca della vera presenza, catabasi nelle più sconosciute profondità trasparenti; sulla scia dei dibatti neo-avanguardistici volti a trovare nuove coordinate più aderenti ai bisogni estetici contemporanei, Klein affronta il problema dello spazio pittorico in maniera dissacrante, definitivamente eliminandolo. La galleria, una volta svuotata e ridipinta di bianco, si trova ad essere totalmente privata della sua funzione storica fondamentale di conservazione e fruizione; eppure, nella grazia con la quale l’artista si rinchiude per tre giorni nel museo per renderlo immacolato traspare una sorta di preparazione cerimoniale a uno sposalizio, come se quello di Klein fosse un tentativo di adornare la sala espositiva di una perduta verginità fremente di un futuro ricco di possibilità. Il vuoto, infatti, non è negazione, bensì perfezione, fonte di qualità e di valore; immersa in un unicum esperienziale tumultuoso e dinamico, l’opera-dispositivo non sussiste più autonomamente in se stessa e il campo estetico si amplia a dismisura, senza risolversi nel mero giudizio e nella fredda esplicazione concettuale.

“Apriamo le porte!” gridano in quegli stessi anni i tagli sulla tela di Lucio Fontana, “il nostro avvenire è nell’aria!” ribadiscono i lavori futuristi all’inizio del Novecento; seguendo gli insegnamenti della meditazione orientale, la performance di Klein si riempie di concetto e libera l’arte dai limiti della concretezza, dissolvendola nell’atmosfera. Nell’ottica dell’artista, infatti, ciò che realmente conta non è tanto l’oggetto in sé che viene prodotto, quanto le conseguenze del tutto concrete ed emozionali che tale dispositivo immateriale riesce a suscitare; il vuoto, milieu da attraversare per inseguire le tracce del suo creatore, si colloca in bilico nello stretto limbo tra assenza e presenza, partecipando attivamente all’espansione del campo percettivo. L’Epoca Pneumatica, fase della produzione kleiniana all’interno della quale si inserisce l’esposizione del vuoto, viene pioneristicamente definita come il momento inaugurale di una concezione nuova del fare artistico alla ricerca dell’intangibile souffle poétique che rende possibile la creazione. Se da un lato espressioni come pneumatico o aerostatico rimandano a modelli di ispirazione futuristica ormai desueti e disillusi, dall’altro l’origine etimologica di questi termini rinvia al respiro, all’aria, a un desiderio di sollevarsi dal polveroso e ristretto ambito del conosciuto per rivolgersi verso altri orizzonti e prospettive.

Dopo aver prodotto il vuoto e averlo reso contemplabile, ebbene, non resta che saltarci dentro – letteralmente tuffarsi al suo interno; attraverso questo gesto quasi beffardo e da prestigiatore, immortalato nelle celebri fotografie del 1960 realizzate da Harry Shunk e Jànos Kender, l’artista sembra riuscire a distaccarsi dalla superficie terrestre per lievitare nell’aria, ribelle a qualsiasi legge fisica della gravità. Nella cornice teorica di nuovo umanesimo a fondamento della filosofia estetica, l’“esploratore del vuoto”, simbolo del vero artista, è colui che riesce a conquistare l’assoluta libertà creatrice rimanendo immune a qualsiasi regola prestabilita sul piano rappresentativo, sociale e morale. Con lo sguardo puntato verso un invisibile orizzonte, il soggetto dello scatto suggerisce il bisogno di proiettarsi in avanti e insegna a non curarsi delle possibili cadute rovinose, fedele solamente all’inesauribile propulsione verso l’alto. In una visione evoluzionistica che concepisce in maniera nuova il rapporto tra l’uomo e la natura, l’artista parigino insegna così a negare la materialità e a trasformarsi in uomini aerei, imparando a padroneggiare uno spazio libero e impregnato di sensibilità per riuscire a toccare la forma più pura e reale della vita.


CORRELATI:

"Love, Death & Robots", stagione 1, episodio 14 "Zima Blue".

KLEIN, Yves, L’Évolution de l’art vers l’immatériel : conférence à la Sorbonne, prèsentation par Iris Clert (2020), Paris : Éditions Allia

MUSSO, Pierre, Yves Klein : Fin de représentation, Paris : Éditions Manucius, 2010

BERLEANT, Arnold, Il campo estetico. Una fenomenologia dell’esperienza estetica, Milano-Udine : Mimesis, 2020