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Call for Papers

Meleinsane di tutto il mondo, unitevi!

In questa sezione vi presentiamo tutte le nostre Call for Papers, ovvero le nostre proposte mensili a cui ognuno, te compresǝ, può rispondere con un contenuto (scritto, audio o video). In fondo alla pagina tutti i dettagli.

Giugno 2024. Diritti

Il termine “diritto” deriva dal latino medievale directus, cioè dirigere. La radice “rec” è possibile ritrovarla anche nelle parole: “rex” (re); “regere” (governare); “regula” (regola). Questa radice, quindi, evidenzia una relazione tra l’idea di diritto e la funzione di dirigere una società e le norme delle quali si compone.

Secondo Pierre-Joseph Proudhon “La giustizia è la stella centrale che governa la società, il polo intorno al quale ruota il mondo politico, il principio e la regola di tutte le transazioni. Nulla avviene fra gli uomini che non sia in nome del diritto, nulla senza invocare la giustizia.”

La parola, quindi, ha origini molto antiche, facendo riferimento in primis al carattere governativo del termine. Però, nel tempo, il suo significato si è districato in settori molto più ampi. Infatti, i diritti possono essere intesi anche in termini sociali, economici e culturali. Nel primo caso, il significato è molto generico, facendo riferimento a quelle leggi che tutelano gli individui e che mirano a costruire una società equa e basata sulle pari opportunità. Purtroppo, tutt’ora non c’è una completa tutela delle minoranze e la lotta alle diseguaglianze continua tutti i giorni grazie numerosi movimenti: femminismo, rivendicazione LGBTQIA+, lotta alla discriminazione razziale e xenofoba, e molte altre.

In seguito, sono presenti i diritti economici, che normalmente comprendono le norme che garantiscono un minimo di sicurezza materiale come il diritto al lavoro, ad adeguati standard di vita, all’abitazione. Quindi solo solitamente accompagnati da azioni e interventi più concreti. 

I diritti culturali sono poi riferiti al “modo di vivere” culturale di una comunità. Comprendono il diritto a partecipare liberamente alla vita culturale della comunità e, possibilmente, anche il diritto all’educazione. Essi sono sicuramente oggetto di minor attenzione rispetto ad altri tipi di diritti.

Infine, è possibile individuare anche, per esempio, i diritti legati alla proprietà intellettuale, che mirano a tutelare ciò che viene generato dalla mente umana, andando a conferire i giusti meriti al soggetto creatore dell’opera. Argomento che si trova al centro di numerose discussioni in questo momento storico grazie all’IA, che sta rimodellando le norme del diritto al riconoscimento delle proprie creazioni.

Per il mese di giugno, Melainsana propone una call sul significato di diritti, che parte dalla sua origine e riflette sulle varie tematiche che tocca:

  • origine dei diritti, diritti politici, governare;
  • diritti sociali, lotta alla discriminazione e movimenti di tutela
  • diritti economici e alla dignità di possedere un numero minimo di beni materiali
  • diritti culturali e all’educazione

Maggio 2024. Post Verità

Il concetto di post-verità è relativamente nuovo, coniato all’inizio degli anni Novanta dal drammaturgo Steve Tesish, per parlare della bassa copertura dello scandalo Iran-Contra, durante il quale l’amministrazione Reagan fu accusata di trafficare armi con l’Iran, sul quale vigeva l’embargo. Sulla rivista The Nation Tesish scrive che, come popolo libero, “abbiamo scelto di vivere in una specie di mondo post-verità”. Il termine poi esplode attorno al 2016, tra le presidenziali statunitensi e la Brexit, dimostrando che la post verità viene spesso legata alla diffusione di notizie, alla politica e all’utilizzo dei media. Viene definito dalla Treccani come “un’argomentazione che si appella all’emotività piuttosto che a fatti verificabili”. Questo forte legame con le emozioni crea una sorta di resistenza ad ogni tipo di chiarificazione successiva, che rende la post-verità un concetto subdolo, difficile da smontare. Il prefisso post- starebbe quindi ad indicare che siamo arrivati ad un momento storico in cui la verità, come valore guida, viene superata.

Ma siamo davvero la generazione della post-verità? Si tratta davvero di un concetto nuovo o semplicemente abbiamo trovato un modo per parlare di un fenomeno sempre esistito? Il concetto di post verità è legato a doppio filo all’idea di verità, su cui dibattono da secoli filosofi di tutte le risme. Di cosa si parla quando si parla di verità? Di una pura corrispondenza con il reale, di un modo di disvelarsi dello stato delle cose o di un concetto che non ha a che fare con l’essere, quanto con l’essere umano e il modo che ha di comunicare e concettualizzare la propria conoscenza?

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Post-verità e antichi astronauti di Thomas Rosati.

#2 "Eh ma la Cina..." e altre sbadate narrazioni del nuovo negazionismo climatico di Andrea Zazzera.

#3 Idee più vere della verità di Giuseppe Scaletta.

Aprile 2024. Transizione

Febbraio 1991: in Sudafrica vengono abolite le leggi razziali e termina l'Apartheid. Luglio 1991: viene sciolto il Patto di Varsavia. Un mese dopo, agosto 1991: Tim Berner's Lee crea il World Wide Web e dà inizio all'era di Internet. Il 1991 è un anno pescato a caso in tutta la storia dell'umanità, uno degli innumerevoli anni trascorsi dalle sue origini. Quanti punti di transizione, di passaggio o di trasformazione sono seminati lungo l'arco di un unico, singolo anno?

La transizione, il passaggio e la trasformazione sono concetti che hanno segnato tutta la storia dell’umanità e che, anzi, si collocano proprio alle sue fondamenta. Basti pensare alle transizioni che hanno segnato la fine di un periodo storico e l’inizio di un altro, come quella avvenuta tra il Medioevo e il Rinascimento. Anche la parola “passaggio” ha segnato importanti fasi storiche: quanti passaggi di ponti che segnavano confini hanno dato inizio a battaglie e guerre o ancora, quanti passaggi di fiumi e mari hanno segnato flussi migratori o esodi, come il passaggio del Mar Rosso nell’esodo degli Ebrei dall’Egitto.

L’atto della trasformazione, invece, a differenza dei due concetti precedenti, come scrive l’enciclopedia Treccani “comporta un cambiamento, per lo più profondo e definitivo, di forma, aspetto, strutture o di altre qualità e caratteristiche.” Nella maggior parte dei casi, quando si parla di tali concetti si intendono una transizione, un passaggio o una trasformazione da uno stadio qu

alitativamente inferiore a uno superiore. Per fare alcuni esempi, oltre al sovra citato passaggio tra Medioevo e Rinascimento, anche la più recente transizione ecologica, il processo di trasformazione della società e l’economia verso lo sviluppo sostenibile e la decarbonizzazione. O, ancora, le trasformazioni e i cambiamenti che segnano le nostre vite: traslocare, trasferirsi in un altro Paese, lasciare un lavoro insoddisfacente per seguire i propri desideri.
Nonostante si tratti quasi sempre di un traguardo positivo, transizioni, passaggi e trasformazioni portano con sé ansia e paura del cambiamento: in psicologia si parla di resistenza al cambiamento, la tendenza dell’essere umano ad agiarsi comodamente sulla routine e sulle tradizioni.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Le neuroscienze della metamorfosi di Giovanni Occhipinti.

#2 Arianna: un film sulla costruzione dell'identità di Angelica Casanova.

Marzo 2024. Confini

Parlando di confini, quasi sicuramente la prima immagine che ci verrà in mente è una linea che delimita un territorio dall’altro. I confini, infatti, sono generalmente intesi come qualcosa di concreto e fisico, una barriera tra due spazi, impercettibile ma presente. 

Varcare i confini è sempre stato un desiderio centrale per l’uomo, non solo come tentativo di allargare il proprio dominio sul territorio fisico, ma anche come desiderio di arrivare a nuove scoperte scientifiche, superando sempre i propri limiti e cercando una soluzione all’ignoto della conoscenza. Ciò ci ha regalato spesso conclusioni positive ma, talvolta, ci ha condotto a risvolti opposti.

La voglia di superare i confini ha spinto Icaro, secondo la mitologia greca, ad avvicinarsi troppo al Sole, nonostante gli avvertimenti. La sua sete di conoscenza e l’eccitazione allo sconosciuto lo hanno condotto, così, alla sua fine. Allo stesso modo, migliaia di anni dopo, la voglia di superare i limiti ci ha condotto a sperimentare lo strumento in grado di portarci all’autodistruzione, la bomba atomica. Il filosofo tedesco Anders, nel saggio “L’uomo è antiquato”, riconosce nell'invenzione della stessa atomica un punto di non ritorno: quando la potenza della tecnica supera quella del suo creatore, è necessario riflettere sulla possibilità che forse ci sono confini scientifici che non andrebbero sorpassati.

Il confine può anche essere esteso a una visione culturale, inteso come barriera intellettuale, che spesso porta a classificare un individuo come migliore di un altro, solo in quanto tale. Confine come quello mentale, che spesso innalza un muro di pregiudizi. I confini associati alla non apertura verso il diverso e l’ignoto, che formano una frontiera che si pone tra i miei pensieri e le tue visioni. 

I confini hanno una rilevanza anche nell’universo artistico, inteso come delimitazione del creativo, abbattimento della realtà e introduzione delle fantasia. I confini sono ciò che rendono l’irreale tale e aprono la mente verso prospettive immaginarie e bizzarre.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Confinamenti e sconfinamenti artistici: la cornice che scompare di Margherita Pisoni.

#2 Cosa significa "confine" oggi? di Emanuela Casa.

#3 Confini e sovranità umana di Nicole Gozzi.

Febbraio 2024. Città

Heidegger definisce la città, intesa come polis, come “il sito essenziale dell’uomo storico”. Proprio del permanere nella polis è il soggiornare dell’uomo in un “al di qua” inteso come il presente storico: l’esserci. La polis diventa perciò il polo attorno al quale la verità, l’essenza stessa dell’essere umano, può dischiudersi. La città, e l’abitare all’interno di essa, è quindi una possibilità per l’essere umano di intraprendere relazioni, di scambiare idee e in generale di costruire la propria identità. Ma la città non è semplicemente qualcosa da intendersi come politico, quanto la possibilità stessa per l’uomo di concepirsi come ente politico, essendo lo spazio essenziale di convivenza.

Ovviamente, nella vita quotidiana l’essere umano non concepisce il vivere lo spazio cittadino come la possibilità di costituire un corpo politico e la vita all’interno della città non assume unicamente tale coniugazione. La città può assumere la dimensione all’interno della quale costituire dei legami familiari, di edificare la propria strada, può essere vista come un’opportunità o come la contrapposizione ad un tranquillo stile di vita bucolico. Può essere percepita come un’opera d’arte, una scultura collettiva costruita attraverso l’impegno di architetti e abitanti in periodi storici diversi e incisi nei marmi dei centri.

Tutte queste possibilità sono strettamente collegate all’essenza stessa della città come agglomerato di persone, di occasioni ma anche di problematiche. Un gioco di specchi che fa percepire lo spazio cittadino come mutevole e deforme in base alla prospettiva adottata. Un’abbondanza di significato che fa pensare alle “Città invisibili” di Calvino: Marco Polo, per parlare della sua città, ha bisogno di farla ridondare in tutte le città di cui parla.

Per la call di febbraio, Melainsana si propone di riflettere sul tema della città e delle varie interpretazioni che ognunə di noi ha di questo spazio.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Balade/Ballade: interstizi di una città di Martina Pontello.

#2 Il mondo d'asfalto: punti di vista alternativi su una realtà a misura di auto di Andrea Zazzera.

#3 Se Abdel muore. Banlieues e città di Emma Traversi.

#4 Fuga dei cervelli: che colpa ne hanno le città? di Margherita Manica.

Gennaio 2024. Inizio

Nel segno dell’eterno ritorno nietzschiano un altro anno è cominciato, e con esso una nuova Call for papers! Gennaio è il mese dei buoni propositi e dei nuovi slanci. In occasione dell'anno nuovo, ad aprire le danze del 2024 è il tema "inizio".

Etimologicamente il termine latino initium deriva da inire, cioè entrare, cominciare. Il primo momento o la prima azione può segnare l'inizio di un cambiamento collettivo – l'ingresso in un nuovo periodo storico, una rivolta sociale, una rivoluzione intellettuale – o individuale – l'incipit di un'avventura romantica, una svolta interiore, una scoperta personale.

La prima call del nuovo anno si apre dunque a ogni forma di riflessione sull'inizio e sugli inizi.

"Per l'anno nuovo […] Oggi ognuno si permette di esprimere il suo augurio e il suo più caro pensiero", e come Nietzsche in La gaia scienza anche il team di Melainsana desidera rivolgervi i suoi più sentiti auguri: che sia un inizio d'anno curioso e aperto a nuove avventure!

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 L'inizio della filosofia di Thomas Rosati.

#2 Quando abbiamo iniziato ad essere umani di Andrea Zazzera.

#3 Iniziamo dalla fine di Margherita Manica.

#4 Non nascere, ecco la cosa migliore di Gaia Bertotti.

Dicembre 2023. Fine

Il mese di Dicembre è, per consuetudine, il mese dedicato alle riflessioni finali. La fine dell'anno coincide tradizionalmente per ciascunə di noi con un tentativo, più o meno onesto, di "tirare le somme" di ciò che si è fatto o si è procrastinato. Nell'immaginario collettivo dunque la fine è tanto un momento da celebrare per lasciarsi alle spalle tutto ciò che è accaduto, quanto il preludio di ciò che prospetta: la possibilità di un ulteriore inizio, della novità, della possibilità di far prendere alle cose un nuovo corso. Fine è dunque conclusione, ma inevitabilmente anche inizio. Se essa è riflessione sulla fine per eccellenza, la morte, è sempre anche per contrasto riflessione sul suo opposto, la vita.

Per l'ultima call del 2023 Melainsana ha deciso dunque di invitare le sue lettrici e i suoi lettori a giocare con la polisemia della parola "fine" per riflettere su cosa, nell'immaginario personale e collettivo, essa sia: conclusione, come appena detto, ma anche limite, confine, traccia di una differenza, o ancora scopo, obiettivo raggiunto o mancato personalmente o collettivamente.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Fini aforismi di Giuseppe Scaletta.

#2 Allen zum Ginsberg: una festa di fine di Sara Nocent.

#3 Iniziamo dalla fine di Margherita Manica.

#4 Non nascere, ecco la cosa migliore di Gaia Bertotti.

Novembre 2023. Paradossi

Un paradosso è, nel linguaggio ordinario, un cortocircuito del pensiero. Un'affermazione in contrasto con le nostre comuni opinioni o credenze, una situazione illogica, dall'esito assurdo, o una conclusione inaspettata, sono tutti casi paradossali. In ciascuno di questi esempi d'uso, paradossale è ciò a cui giungiamo dopo aver assentito a premesse apparentemente ovvie e corrette, e dopo aver ragionata nel modo apparentemente corretto; tuttavia sbarchiamo nell'inatteso. La sensazione che ci lascia addosso un paradosso è paragonabile a quella di un viaggiatore che, acquistato il biglietto corretto e imbarcatosi sul volo corrispondente, varchi le porte di una città diversa dalla sua destinazione: un incrocio tra la sorpresa e lo sgomento.

In filosofia, un paradosso ha due possibili definizioni tra loro conciliabili, e con le giuste accortezze, convertibili: un argomento apparentemente corretto (sound) con una conclusione inaccettabile, o una domanda, un problema con due o più risposte o soluzioni ammesse ma contraddittorie tra loro. Del primo tipo sono i classici paradossi di Zenone, in cui appare inaccettabile concludere che una tartaruga possa mettere in seria difficoltà Achille piè veloce. Al secondo appartiene invece il paradosso del barbiere, nel quale o si ammette che il barbiere si rada da solo o che lo faccia qualcun'altro, ma in ogni caso si violano le premesse iniziali del ragionament0.

Le due definizioni mettono in luce due aspetti peculiari del paradosso: da un lato il paradosso ci mette di fronte a un obbligo logico di accettare l'inaccettabile, il controintuitivo; dall'altro ci offre (nostro malgrado) un eccesso epistemico destabilizzante, una sovrabbondanza di opzioni risolutorie tra cui non sappiamo orientarci.

Questa combinazione di fattori rende, di fatto, ogni paradosso una sfida del pensiero, un esercizio a confrontarsi con ciò che appare inverosimile, incongruente.

Per una lettura introduttiva sul tema, a cui è ispirata la presente introduzione: D'Agostini, Franca. Paradossi. Roma: Carocci, 2009.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Paradosso blu di Emma Traversi.

#2 Nessuno ha sentito l'albero cadere di Simone Paolo Roca.

#3 Il paradosso della felicità contemporanea di Emanuela Casa.

#4 Il paradosso di Russell di Thomas Rosati.

Giugno 2023. Comunicare

Secondo Paul Watzlawick, psicologo americano dello scorso secolo, "tutto è comunicazione". Se concentriamo l'attenzione sulla comunicazione umana notiamo infatti come tanto le parole che diciamo (il linguaggio verbale), quanto quelle che non diciamo, i gesti che compiamo, la postura che adottiamo (linguaggio non verbale), trasmettono un messaggio. Due vicini di casa che compiono lo stesso tragitto in ascensore evitando di incrociare i propri sguardi tradiranno insofferenza uno verso l'altro, pur non verbalizzando questo sentimento.

La valenza comunicativa del nostro agire risponde alla necessità fondamentalmente umana di interagire in contesti sociali, condividere con altri le nostre esperienze e conoscenze, raggiungere obiettivi o risolvere conflitti.
Comunicare richiede prima di tutto, e a partire da un punto di vista matematico-informatico, la conversione del messaggio in un "codice", definibile come un insieme di corrispondenze che associa un dato insieme di elementi a un altro: i colori del semaforo e la loro associazione a diversi comportamenti (verde = libera circolazione, giallo = preavviso di arresto, rosso = obbligo di arresto) sono un codice tanto quanto una lingua come l'italiano o l'alfabeto Morse.

Diverse altre discipline tuttavia hanno guardato alla comunicazione in una prospettiva più ampia, focalizzata non solo sul "messaggio" trasmesso, ma anche, per esempio, sul rapporto tra i segni e i loro utilizzo (nel caso della semiotica), sul rapporto tra segni, parlanti e uso nel contesto (nel caso invece della pragmatica) o ancora sugli effetti della comunicazione persuasiva tramite i mass media (si pensi ad esempio al fenomeno della pubblicità o delle fake news). Allo stesso tempo una riflessione sulla comunicazione richiede non solo un'analisi circa la sua buona riuscita, ma anche sui suoi possibili fallimenti o abusi: fenomeni quali l'ambiguità, l'incomprensione, l'implicito ma ancora la persuasione, la retorica, le fallacie argomentative rappresentano aspetti non secondari del fenomeno comunicativo.

Per il mese di giugno Melainsana sceglie di riflettere sul tema del comunicare, sulle sue forme, i suoi modi e scopi.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Isola(ti) dagli autori di FiatLux.

#2 L'invenzione della tradizione culinaria di Annalisa Di Tuoro.

#3 Le fallacie argomentative di Francesca Schiesari.

#4 Il mondo dell'altro: il linguaggio intersoggettivo di Emanuela Casa.

#5 L'incomunicabilità del sentirsi liberi è la cosa più umana che c'è di Simone Roca.

Maggio 2023. Lavoro

Il termine "digital nomad" appare per la prima volta nel 1997: è il titolo di un lavoro accademico condotto dallo scienziato informatico Makimoto e dallo scrittore professionista David Manners, oltre che un'espressione destinata ad avere grande fortuna. La tesi centrale dello studio ruota intorno a due fattori fondamentali: da un lato la necessità umana e antropologica di muoversi e spostarsi, e dall'altro l'impatto degli inevitabili cambiamenti determinati dallo sviluppo delle nuove tecnologie digitali. La concomitanza di questi due fattori avrebbe presto portato, secondo gli autori, alla nascita di nuove comunità di lavoratori remoti itineranti, che Makimoto e Manners definiscono per la prima volta "nomadi digitali".

Meno di trent'anni dopo la pubblicazione del lavoro, la tesi dei due autori appare se non profetica, quantomeno lungimirante. In un articolo de Il Sole24ore del 17 ottobre 2022 si afferma infatti, per esempio, che: "Oggi circa 10.2 milioni di americani si definiscono nomadi digitali e il numero è in crescita costante", ma già nel 2017 sulla stessa testata si sottolineava come i nomadi digitali avrebbero potuto essere (secondo alcuni studi) almeno un miliardo entro il 2035 a livello mondiale. Numeri quindi che descrivono una tendenza dirompente.

Quello del nomadismo digitale è solo uno dei tanti esempi di fenomeni che oggi caratterizzano in modo peculiare il mondo del lavoro, sia come risposta alle sue sfide interne che come nuova possibilità di esperire il lavoro in linea con il proprio benessere personale. Fenomeno in crescita, ma non isolato: si pensi per esempio anche a workation, quiet quitting, YOLO economy, o ancora il ruolo dei giovani, il rapporto tra merito e meritocrazia, soddisfazione contro necessità, come alcuni dei tanti temi su cui oggi è necessario riflettere per comprendere come il mondo del lavoro si stia evolvendo in maniera esponenzialmente più rapida.

Per il mese di Maggio, in occasione della Festa dei lavoratori, Melainsana Magazine si propone quindi di gettare uno sguardo sui fenomeni socio-economici che ruotano intorno all'ambito del mondo del lavoro.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Content creators, sharenting e lavoro inconsapevole: come i figli diventano fonte di profitto di Lucia Cerulo.

#2 Intervista a YourWilde Side: giovani, nomadi e digitali di Francesca Schiesari.

#3 Vivere per lavorare o lavorare per vivere? di Clara Donati.

#4 Intervista a Stefano Zamagni su Merito, Performanza e Felicità di Giuseppe Scaletta.

Aprile 2023. Utopie e distopie

Se alcuni neologismi hanno destini più fortunati di altri, si può dire che quello del termine "utopia", così come del suo composto "distopia", lo è stato in modo particolare. Termine ormai introdotto nel linguaggio ordinario - un progetto o un'aspirazione utopica, ma anche un romanzo o un futuro distopico - vede la luce in un anno e un momento sorprendentemente precisi. Nel 1516 l'umanista inglese Thomas More pubblica in latino il suo "Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia", più semplicemente noto come "Utopia". L'opera è la narrazione del viaggio che Raffaele Itlodeo, viaggiatore-filosofo, compie per primo nell'isola di Utopia, società ideale e perfetta in cui i contrasti sociali sono stati risolti e regna la pace. Il carattere ideale dell'isola viene argutamente sottolineato da More proprio nel neologismo creato, che presente una doppia etimologia giocata sulla sua ambiguità: se da un lato infatti le voci greche οὐ «non» e τόπος «luogo» significano letteralmente «luogo che non esiste», il prefisso εὐ- «bene» associato con lo stesso τόπος indica invece un «luogo bello, buono». L'utopia è dunque un luogo ideale, che però al contempo non è da nessuna parte.

Se l'utopia ha quindi un carattere prettamente felice, il suo opposto, la distopia è per definizione una rappresentazione di stati di cose futuri dalle tinte fosche, negative, pericolose. Si pensi ad esempio al filone dei romanzi distopici di fantascienza, come "1984" di Orwell, "Il mondo nuovo" di Huxley o ancora "Il Racconto dell'ancella" di Atwood. In tutti questi scenari il mondo, l'umanità e la società sono generalmente sopravvissuti a qualche evento catastrofico, e sulle proprie macerie hanno eretto nuove forme di società dai tratti opprimenti, totalitari, appunto distopici.

Per il mese tematico di Aprile, utopia e distopia ne sono i concetti chiave. Se da un lato essi sono strumenti immaginativi molto potenti per capire come le cose potrebbero essere (sia nel loro migliorare che nel peggiorare), e dunque vettori di critica per le società o le realtà presenti, dall'altro sono legati a una nutrita tradizione filosofico-letteraria di autori che si sono cimentati nel modellare le proprie versioni di entrambi i concetti.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Cina: tra 1984 e 2023 di Gaia Bertotti.

#2 La Distopia più vecchia della storia o "πολιτεία" di Iacopo Comelli.

#3 "La strada" di Cormack Mc Carthy (libro) di Federico Montagner.

#4 The Road attraverso Lopušanskij: le dominanti dell'apocalisse di Sara Nocent.

#5 "APRIAMO LE PORTE!" L'utopia dell'arte nello spazio pubblico di Martina Pontello.

Marzo 2023. Ambienti

Se parlare oggi di ambiente sembra evocare in primo luogo il binomio ambiente-natura e le problematiche climatiche connesse, la Call for paper di questo mese vuole indagare anche le sfaccettature più ampie di questo termine. Con "ambiente", infatti, si intende in generale un sistema ordinato di regole. In base agli attori e alle regole che prendiamo in considerazione possiamo parlare di diversi tipi di ambiente: ambiente naturale, ambiente antropologico o culturale, ambiente familiare, ambiente digitale e virtuale... In questa prospettiva la crisi climatica diventa solo uno (fra i tanti) esempi del rapporto che lega l'essere umano e ciò che lo circonda e esperisce.

«Come è già accaduto, d’altronde, nel secolo scorso, quando si parlava di “ambiente” e si designavano con questo termine gli esseri della natura considerati da lontano, al riparo di una teca di vetro. Ma oggi, siamo tutti noi – dall’interno, nell’intimità delle nostre preziose, piccole esistenze – a essere toccati, coinvolti in prima persona, dicono gli esperti, dai bollettini che ci mettono in guardia su quel che dovremmo mangiare e bere, sul nostro modo di sfruttare i terreni, di spostarci da un luogo all’altro, di vestirci. Di solito, di fronte a notizie sempre più sconfortanti, dovremmo sentire intimamente di essere scivolati da una semplice crisi ecologica a quel che bisognerebbe piuttosto chiamare una profonda mutazione nel nostro rapporto con il mondo. E, tuttavia, non credo sia questo il caso. Prova ne è che accogliamo tutte queste notizie con straordinaria tranquillità e persino una buona dose di stoicismo…»
[Bruno Latour, La sfida di Gaia]

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 L'uomo globale e il tramonto dell'Occidente di Emanuela Casa

#2 Una lettera d'Amore alla Terra di Angelica Casanova

#3 Ricreazione scolastica e ruoli di genere di Marta Massera

#4 Dai meandri della terra alle meraviglie del cielo di Francesco Marchese

#5 Ferite riflesse di Clara Donati

Febbraio 2023. Arte

Se la filosofia nasce nella prima gioventù dell'umanità come forma di evoluzione del pensiero, la nascita dell'arte va collocata in una fase ancora precedente, pressocché aurorale, nel dispiegarsi della storia degli esseri umani. Per dare un'idea dello stacco temporale che intercorre tra le due si possono confrontare due date indicative.

La Venere di Willendorf, statuetta paleolitica dalle sembianze femminili e immancabile personaggio di qualsiasi manuale di storia dell'arte, viene fatta risalire ad un periodo compreso tra i 30 000 e i 25 000 anni prima della nascita di Cristo. La nascita della filosofia invece viene tradizionalmente fatta corrispondere alla Grecia del V secolo a.C., solo 500 anni prima della nascita di Cristo. Rispetto all'arte dunque, la filosofia ha una vita piuttosto giovane.

Come appare chiaro, l'arte ci accompagna da sempre come mezzo di espressione del nostro pensare e del nostro sentire, ancora prima del pensiero ragionato e sviluppato, declinandosi in varie forme, epoche e culture. E proprio la varietà e l'eterogeneità di tale produzione porta a domandarsi cosa accomuni tutte queste manifestazioni artistiche, cosa appunto renda l'arte tale in tutto il suo sviluppo. In altre parole filosofia e arte si incontrano in quella che diviene una nuova domanda socratica: "Che cosa è l'arte?". O ancora, in che modo possono rapportarsi arte, pensiero e filosofia? In che modo l'esperienza artistica è fenomeno peculiare dell'esperienza umana? Perché di fronte al quadro di un museo concordiamo su ciò che è arte ma di fronte a un murale per strada no?

Per il mese di Febbraio Melainsana si propone di dispiegare il tema dell'arte, della sua produzione e della sua fruizione sia nel suo rapporto con la filosofia che nella sua autonomia.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 La luce attraverso le vetrate di Thomas Rosati

#2 L'escamotage di Simone Paolo Roca

#3 Pollock e Deleuze a confronto: un'esperienza virtuale di Sara Nocent

#4 Oriente e Occidente a confronto: l'evocazione del mondo di Federico Montagner

Dicembre 2022-Gennaio 2023. Mente

Nella Seconda delle sue Meditazioni Metafisiche, Cartesio afferma:

Io sono, io esisto, è necessariamente vero ogni volta che viene da me pronunciato, o concepito con la mente.

Non intendo però ancora a sufficienza chi mai sia quell'io, quell'io che necessariamente già sono; e debbo quindi evitare di scambiare forse imprudentemente per me qualcos'altro. E a non perdermi così persino in quella conoscenza che sostengo essere la più certa ed evidente di tutte.

Nelle parole di Cartesio è contenuto quell'interrogativo tanto fondamentale quanto antico riguardo la natura dell'io. Nel porre la domanda il filosofo francese già assume il ruolo centrale che la mente svolge in questa indagine, sia come strumento che come punto d'arrivo: l'io è la nostra mente, intesa come autocoscienza. Questa è per Cartesio "la più certa ed evidente" delle conoscenze.

Non appena però guardiamo più attentamente questa evidenza, incappiamo nel pericolo di "scambiare forse imprudentemente per me qualcos'altro".

Nel corso della storia della filosofia e della psicologia, sono state date innumerevoli definizioni di cosa la mente sia, del modo in cui essa possa essere indagata, fino a negarne sia la conoscibilità che, addirittura, l'esistenza.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 1899, o Platone sul Titanic di Francesca Schiesari

#2 Facio ergo cogito di Giuseppe Scaletta

#3 Estetica-mente: un connubio possibile? di Martina Pontello

#4 Mente e cervello di Thomas Rosati

#5 Un pensiero ingannevole di Giovanna Di Nuzzo

Novembre 2022. Legge e giustizia

Nel Libro Primo del suo Contratto Sociale, Jean-Jacques Rousseau si propone di "ricercare se nell'ordine civile possano esservi regole di amministrazione legittime e sicure, prendendo gli uomini come sono e le leggi come possono essere". Nel far ciò, Rousseau continua, egli terrà conto "di combinare ciò che il diritto permette con ciò che l'interesse prescrive, affinché la giustizia e l'utilità non si trovino separate".

La giustizia, il diritto e le sue leggi dunque, nelle parole di Rousseau, devono guardare a ciò che è utile all'uomo, a quello che è il suo interesse, e dunque in ultima analisi, devono rispondere alla domanda fondamentale "Chi è l'essere umano e da che cosa è mosso?".

Tuttavia, dire che il diritto deve curarsi dell'interesse della persona non può prescindere dal riconoscere che la persona è sempre situata in una comunità, una società che tanto offre al singolo, quanto richiede in cambio. Come può dunque il diritto combinare le aspirazioni dei singoli individui con la necessità di mantenere ordine e unità in una società variegata e plurale?

L'essere umano infatti vive sempre secondo principi e credenze etiche, morali e religiose, anche se raramente in maniera continua e quasi mai in accordo con gli altri. Alcuni di noi credono, ad esempio, che la vita sia sacra e vada protetta ad ogni costo, altri che sopra ad essa si affermi prima di tutto un principio di autodeterminazione altrettanto inviolabile. Tali posizioni morali, non sono e non restano mai semplici credenze su cui meditiamo nella nostra interiorità, ma diventano istanze che influenzano il nostro agire, che chiedono di essere riconosciute, rispettate e integrate nel modo di vivere della nostra società, ovvero nel diritto e nelle leggi della comunità.

Nel mese di novembre Melainsana si propone dunque di riflettere sul tema della legge, del diritto e della giustizia: come può il diritto coniugare l'unità di una società e il pluralismo? Qual è il rapporto tra il diritto e la morale di una comunità e dei suoi componenti? E ancora, il diritto è in grado di affrontare le nuove sfide che le scoperte scientifiche e la tecnologia hanno raggiunto in questi anni e raggiungeranno in quelli a venire?

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Legge e giustizia di Gaia Bertotti. Link alla live

#2 Giustizia e retroattività di Margherita Pisoni. Link alla live

#3 Distruggere un Van Gogh di Marco Guerrieri. Link alla live

#4 Tecnica e precauzione di Marta Bugliosi. Link alla live

Ottobre 2022. Esperimenti mentali

Famosissimo è il presunto esperimento che Galileo Galilei eseguì dalla Torre di Pisa per provare la sua teoria intorno alla cosiddetta "caduta dei gravi".

Il colosso della fisica fino al tempo di Galilei era ancora Aristotele. Secondo il filosofo dell'ipse dixit la velocità di caduta dei gravi (ovvero i corpi dotati di massa) dipende dal loro peso. Un sasso, essendo più pesante di una piuma, raggiungerà più velocemente il suolo pur essendo lasciato cadere nello stesso istante della piuma.

Galilei, invece, sosteneva che tutti i gravi, indipendentemente dal loro peso, cadessero con la stessa velocità. Ora, capire come Galilei provò la sua teoria non ci interessa nel dettaglio, ma capire perché Aristotele sembra avere più ragione di Galilei, almeno secondo il senso comune, può rivelare qualcosa di interessante. La fisica aristotelica sembra apparentemente più corretta e condivisibile rispetto a quella galileiana per il semplice fatto che concorda con la nostra esperienza quotidiana: infatti vediamo tutti i giorni le piume cadere meno velocemente dei sassi! Ciò che tuttavia il senso comune non scorge, è quella che possiamo definire una questione di variabili.

Nella fisica aristotelica, infatti, agisce una variabile che il filosofo di Stagira ignorava ma che, invece, Galilei attenziona: la resistenza dell'aria. Non è il peso di un oggetto a determinarne la velocità di caduta, ma la presenza di aria tutto intorno alla superficie di contatto dell'oggetto stesso: l'aria infatti funge da attrito, ed è dunque una sorta di "freno" che influenza la caduta del grave. Galilei, infatti, ha ragione se effettuiamo l'esperimento nel vuoto, dove la variabile relativa alla resistenza dell'aria è azzerata.

Nel 1971 l'astronauta David Scott, appena allunato, fece cadere sul suolo lunare un martello e una piuma contemporaneamente: entrambi i gravi toccarono il suolo nello stesso istante, essendo la Luna quasi priva di resistenza aerea.

Ecco quindi quale problema vuole aggirare l'esperimento mentale: la presenza di variabili impossibili da evitare nella realtà (come l'aria ai tempi di Galilei) ma che rendono difficile vedere i fenomeni "così come sono realmente", in modo chiaro e distinto. L'esperimento mentale, quindi, immagina un ambiente controllato, ovvero una situazione in cui tutte le variabili in gioco sono determinate e conosciute dallo sperimentatore, che non potrebbe verificarsi nella realtà, al fine di trarre informazioni maggiori da quelle stesse variabili immesse artificialmente.

Ad esempio, si immagini di essere di fronte ad un bivio e di dover scegliere tra un cammino irto di spine che porta ad un bellissimo giardino e un altro cammino spianato che però non sappiamo dove porti. Quello che ci interessa è capire come ci comportiamo di fronte a queste variabili, non ci interessa sapere se piove o se c'è il sole, quanto è lungo il percorso spinoso o per quale ragione le spine siano presenti. La situazione è controllata perché vogliamo capire, in assenza di determinate influenze, cosa sceglieremmo. Da qui poi possiamo mettere alla prova i risultati con la realtà, nella quale, nostro malgrado, le variabili non sono soggette ad alcun controllo.

Per il primo mese della Call for Papers Melainsana propone ai propri sperimentatori di cimentarsi nell'utilizzo di alcuni esperimenti mentali come strumento di riflessione.

Su questa proposta lǝ autorǝ hanno scritto:

#1 Il problema del carrello ferroviario di Francesca Schiesari. Link alla live

#2 Il problema del free rider di Nicole Bozzi. Link alla live

#3 Il violinista di Giovanna Di Nuzzo. Link alla live

#4 La stanza cinese di Marco Guerrieri. Link alla live


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